Philip Roth, Il fantasma esce di scena


di Roberto Tortora


Un libro per tutti? No, decisamente.
Sì, un libro che tutti dovrebbero leggere.
Perché non ci sono cadaveri fatti a pezzi, né lotte tra il bene e il male nei sotterranei del Vaticano. E poi l’autore, Roth, non furoreggia in tivù. Ma per capire quanta intelligenza, quanta ironia, quanta acribia possano essere dispiegate in ogni rigo di ognuna delle 226 pagine che lo compongono. Qui, come solo nell’alta e rara letteratura, tutto è perfetto e tutto è necessario.
Nathan Zuckerman è uno scrittore affermato, ammirato, che per undici anni si è isolato in una ostinata solitudine montana. A settantun anni ha subito l’asportazione della prostata, è diventato incontinente e la sua prodigiosa memoria comincia a perdere colpi. Ritornato a New York per sottoporsi ad una cura farmacologica che promette di restituirgli il controllo della vescica, viene risucchiato in un vortice incontrollabile di ricordi e desideri. Nell’arco di una settimana farà tre incontri che sono un assalto al suo corazzato sistema di vita: 1. una coetanea che lo aveva incantato da giovane e che ora si aggira per le strade della città come uno spettro sfigurato, nel volto e nell’anima, da un tumore al cervello; 2. una scrittrice trentenne terribilmente sexi e 3. uno scrittore spregiudicato, bello, giovane, atletico, in cerca di notorietà. Zuckerman si prodiga per assicurare una fine dignitosa all’inferma, affronta a muso duro – con tutta l’energia dei propri principi morali e culturali – le ambiguità del giovane scrittore e, infine, cede al desiderio di sedurre Jamie, la giovane scrittrice: proprio così, lui, Zuckerman, impotente, con un pannolone tra le gambe, brucia dal desiderio di strapparla al devoto marito per portarla via con sé.
Quattro personaggi avvinghiati l’uno all’altro più di quanto ciascuno di loro non riesca a credere, accomunati dalla volontà, consapevole e inconfessabile, estasiante e pericolosissima, di procedere come sonnambuli sul crinale che separa la vita dalla letteratura.
- Mi risparmi la lezione sulla linea impenetrabile che divide la finzione dalla realtà. Questa è una cosa che Lonoff ha vissuto. Questa è una tormentosa confessione mascherata da romanzo.
- Sempre che non sia un romanzo mascherato da tormentosa confessione.
Dove finisce l’una e dove comincia l’altra? E, soprattutto, può la letteratura sostituirsi alla vita nel tentativo di esaudire ogni desiderio? In altri termini, è possibile far accadere, nella letteratura, ciò che non è dato nella vita reale?
Dopo le fugaci, irrisolte, frustranti chiacchierate con la bella scrittrice, Zuckerman, nella sua camera all’Hilton, totalmente soggiogato dal desiderio, da un impossibile desiderio erotico, si rifugia nella scrittura di una breve piece, un dialogo con un LUI (Zuckerman) e una LEI (Jamie, la scrittrice), e noi per primi, noi lettori, siamo a tal punto avvinti dalla limpidezza, dalla lucidità, dalla verità di quei dialoghi che ad ogni battuta ci chiediamo se siano la registrazione fedele di qualcosa che è realmente avvenuto tra i due oppure la proiezione letteraria di una speranza o, ancora, il tentativo – anche questo letterario - di esorcizzare un desiderio irrealizzabile. Insomma, proprio durante la lettura del romanzo, proprio quando siamo completamente catturati dallo sviluppo di una vicenda che ci è data come fiction, che è fiction, noi per primi siamo lì a fare il tifo per Zuckerman, a sperare che le sue speranze si avverino, si siano avverate.
Allo stesso modo la debolezza di Zuckerman attrae tutta la nostra umana comprensione, accende la nostra solidarietà, perché in essa vediamo rispecchiato il destino delle creature condannate a provare desideri irrealizzabili, a sognare sogni che non diventeranno mai realtà.
(…) perché Jamie Logan, invece di appartenere a loro, non poteva essere mia? Perché aveva dovuto venirmi un cancro alla prostata? Perché avevo dovuto ricevere quelle minacce di morte? Perché il calo delle forze doveva essere così crudele? Oh, desiderare che sia ciò che non è, in altro modo che sulla pagina!
Roth, con una maestria linguistica che lascia senza parole, centra il bersaglio delle nostre angosce, smaschera l’eterna inadeguatezza dell’uomo alle seduzioni dell’esistenza; descrive la tragedia di vivere così ma ci mostra anche la possibilità di uscirne a testa alta affrontando con ironia, attraverso la letteratura, il nostro essere soccombenti alla malattia, alla vecchiaia, al destino capriccioso, alla morte.


Philip Roth, Il fantasma esce di scena, Einaudi, To, 2008, pp.226, € 19.

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