L'Italia una Repubblica fondata sul lavoro.....

di Enza Di Lallo

La fine della Prima Guerra Mondiale trovò il nostro Paese profondamente,inevitabilemente trasformato. Iniziò un periodo di intense agitazioni: operai contadini videro ridursi i loro salari,e aumentare la disoccupazione . Ebbe inizio una lunga crisi economica a cui sembrò possibile ovviare - secondo una visione tipica ottocentesca della dottrina classica- diminuendo ancor di più il numero di lavoratori, e per quanti ancora vantavano un posto,diminuendo le ore di lavoro.
Ci fu chi,a questo "fatalismo" oppose la propria volontà di favorire interventi riformisti,così da opporsi al corso storico degli eventi,e cercando, soprattutto, di arginare la grande libertà riconosciuta all' imprenditoria,in una sorta di scompenso classista.
Il liberalismo che caretterizzava quel periodo fu tale, che si vide solo, l'eliminazione del sovrannumero di operai in tutta la penisola, lasciati cadere ancora di più nello sconforto e nell'avvilimento, e costretti ad abbandonare le città, per far ritorno alle proprie campagne.
Mentre si andava rafforzando il concetto di salvaguardia delle apparenze, a totale beneficio di accordi interni ai gruppi politici, la nuova generazione che prendeva corpo, diveniva, sempre più, preda dell'ansia di agire,di usare violenza in risposta alla violenza se necessario,di non rimanere passiva ad aspettare,insomma partecipe di una resistenza volitiva e ferma.
I primi anni 20,tra la fine della Prima guerra e prima della Seconda guerra mondiale, portarono questo profondo disordine sociale ,le condizioni mutate , e l'inflazione molto pesante furono il passo più breve verso la ripresa degli scioperi. Lo sciopero,fu appunto,l'unico modo, per gli operai, di denunciare la mancanza di una vita dignitosa, cui erano stati condannati dal sistema,e la fatica che affrontavano quotidianamente, solo per sopravvivere, tra blocco dei salari e prezzi alle stelle. E così, la crisi persistente, intaccò proprio le piccole e medie imprese, crebbe il numero dei fallimenti,le piccole realtà commerciali si ritrovarono a dover combattere contro un vero e proprio monopolio di parte; e la legislazione, favorendo chi aveva già potere fiscale, lasciava, il singolo produttore, nella sua condizione di "affamato permanente", a vivere, disperandosi, senza previsioni per il proprio avvenire.
E la vecchia classe dirgente? Ferma, immobile.
Anzi. Laddovve intervenne, scelse di fare facile propaganda , di falsare la realtà, di destare immense aspettative, in un popolo già profondamente provato.
Ma è cosa risaputa....le illusioni disattese provocano solo grande sofferenza.
Quello che accadde fu di accentuare il malcontento e il malessere di una intera Nazione quando,all'indomani,abbagliato da tante promesse, non ricevette indietro neanche la metà dei benefici sperati.
Operai,studenti,contadini,donne,si unirono nell'unico grande desiderio di pace, di una vita garantita,più giusta,di un modo democratico di conoscersi e imparare a convivere, si unirono nella lotta e nel sacrificio.Quella che stava nascendo era una società nuova: il diritto di voto universale,i referendum, la nuova Costituzione che aveva eletto il "lavoro" al massimo valore. Ovunque si respirava intenso il bisogno di trasformare un Paese fortemente in ritardo nell'economia,nelle strutture,nella cultura, nel costume. Ovunque si respirava l'aria di una giovane Repubblica, di un'Italia nuova....quella che sarebbe risorta con la fine del secondo conflitto mondiale.
Ma, a distanza di centocinquant'anni dall'inizio della nuova società democratica,quel lungo processo sociale, a riguardarlo ora- nell'epoca del digitale- sembrerebbe aver subito quasi un'involuzione.
Ancora oggi infatti, nel ventesimo secolo, inseguiamo la mancanza di una esistenza dignitosa, ancora cerchiamo nella debole risposta politica un riscatto collettivo, con l'unica differenza per le condizioni più tecnologiche,le strategie utilizzate che, i lavoratori della prima metà del secolo scorso, non potevano garantirsi.

2 Commenti

  1. Gentilissima Enza, se mi fosse chiesto di esprimere con un solo aggettivo la qualità del servizio che ho appena letto, non avrei dubbi. Notevole. Come lettore affezionato, pur essendo molto lontano dall’essere un critico di professione, ho usato questo aggettivo perché molti lati del suo articolo me lo hanno suggerito. Sono fuori dal mondo del lavoro da molti anni ma riesco ancora ad apprezzare la continuità, la correttezza e l’importanza dei suoi interventi in questo apprezzato giornale online. Lei porge ai suoi lettori argomenti sempre nuovi per la riflessione. Non mi soffermo solo sulla cultura e sulla proprietà di linguaggio che traspaiono dai suoi servizi, sempre molto importanti e sempre decisamente presenti, ma anche e soprattutto per gli argomenti che commenta. Il suo pensiero aggiunge sempre qualcosa al dibattito che riesce ad aprire sull’argomento trattato. Ho anche potuto verificare che ha molta cura nel controllare le fonti dalle quali trae lo spunto per i suoi interventi. Lei fa toccare con mano ai suoi lettori come alcuni problemi, presenti nel passato prossimo o remoto, sono ancora attuali nel vissuto di tutti noi. È così. Quando la crisi raggiunge livelli molto elevati, qualsivoglia sia il campo in cui essa si rivela, si sente la mancanza di persone autorevoli che potrebbero, con la loro presenza, indicare la soluzione. Questa desolazione non risparmia nessuno, neppure gli Sati Uniti dall’altra parte dell’Atlantico. Ecco perché ritengo sia preziosa e insostituibile la presenza di giovani come lei che hanno il desiderio di spronare con la loro presenza a non arrenderci mai al declassamento del momento. Dobbiamo davvero credere che tali difficoltà possono e debbano essere superate.

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  2. GENTILISSIMA Signorina ENZA,
    questo articolo è talmente fatto bene e ripercorre il lungo tragitto dalla fine della Prima guerra mondiale ai nostri giorni in modo così lineare, sintetico e ben argomentato che non riesco a trovare alcuna parola da aggiungere.
    Mi COMPLIMENTO VIVAMENTE e CALOROSAMENTE con te perché hai saputo mettere a fuoco BENISSIMO i motivi salienti che hanno portato alle crisi socio-economiche in Italia in questo lungo periodo storico di circa due secoli.
    Se una cosa devo aggiungere è la seguente:
    mi sembra che il ricorso storico, tanto caldeggiato da Giambattista Vico, qui si ripete nel giro di un secolo e mezzo.
    Le due crisi economiche,(quella degli anni venti-trenta del secolo scorso e quella attuale), e di conseguenza quelle sociali e politiche hanno tutte e due stessi comuni denominatori:
    l' enorme sovrapproduzione e di conseguenza
    la stagnazione del mercato.
    Essi portano alla riduzione del numero degli operai in maniera disastrosa e paurosa per l'economia di un Paese, come l'Italia, che pone come base della sua Carta Costituzionale il principio che
    " L' ITALIA è UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO".
    Mi viene da pensare che è un controsenso, un'enorme presa in giro questo Principio dal momento che, come dici giustamente tu, la prima cosa che viene fatta, di fronte ad un drammatica crisi economica,
    è il LICENZIAMENTO di MOLTISSIMI OPERAI e DIPENDENTI PUBBLICI dalle varia fabbriche in difficoltà e dai Servizi Pubblici.
    Si spera così di arginare la crisi.
    Numerosissime famiglie, purtroppo, rimaste senza alcun reddito, non riescono ad andare più avanti e in casi estremi si può arrivare alla rivolta per sancire il sacrosanto Diritto ad avere un posto di lavoro.
    Non ho altro da dire e mi CONGRATULO ancora con te per questo STUPENDO ARTICOLO.

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