BOLOGNA GILBERTO ZORIO

Il nostro inviato Sauro Sassi nell'arte contemporanea ci regala un viaggio a Bologna


GILBERTO ZORIO ALLA GALLERIA DE’ FOSCHERARI A BOLOGNA

Nove febbraio 1968: alla Galleria d’Arte De’ Foscherari di Bologna si inaugurava una mostra intitolata “Arte povera”. Si trattava di un nuovo movimento artistico, teorizzato dal giovane critico Germano Celant, che aveva celebrato la sua prima uscita nel settembre del 1967 alla Galleria La Bertesca di Genova. Vista l’importanza che il movimento ha assunto nella storia dell’arte del secondo Novecento, risultando senza dubbio quello che ha mantenuto l’Italia ai vertici della scena internazionale, si può dire che la Galleria De’ Foscherari è stata al centro di questa storia e di questa scena; e ciò, in una città chiusa come Bologna, dove pochi anni prima Giorgio Morandi era morto senza avere grandi riconoscimenti, non era affatto scontato. Onore quindi ai fondatori e alla loro capacità di contribuire a mantenere la città all’interno della temperie artistica e culturale fino a oggi: perché la galleria esiste tuttora, e continua a svolgere un’attività di alto livello. Così, a distanza di quarantotto anni, ospita una mostra di Gilberto Zorio, che, ventireenne bello e scanzonato, come appare in alcune foto dell’inaugurazione, partecipò alla storica mostra del 1968, diventando uno dei membri più rappresentativi di quel movimento. A Bologna, oltre a Zorio, esposero Boetti, Pascali, Pistoletto, Merz, Kounellis, Paolini, Fabro, Anselmo, Prini, Ceroli e Piacentino, vale a dire artisti di altissimo livello, che hanno lasciato un segno profondo nella storia dell’arte e che in parte continuano a lavorare e a fare importanti mostre e, se morti, sono oggetto di grandi tributi.
Ovviamente, se un tempo si trovarono uniti da una grande solidarietà generazionale, dal vivere un momento storico di enorme effervescenza, che li portava a voler cambiare radicalmente i paradigmi dell’arte, col supporto teorico dell’altrettanto giovane critico Celant, successivamente ognuno di essi sviluppò la propria personale poetica, i materiali utilizzati divennero meno “poveri”, alcuni presero strade più concettuali (Paolini, Fabro), altri cercarono un’arte sociale (Pistoletto) o recuperarono elementi come il gioco, l’indagine sull’identità (Boetti). Altri continuarono a lavorare sui materiali, le loro trasformazioni, la loro energia, la capacità di rapportarsi con lo spazio e creare un coinvolgimento emotivo col visitatore (Merz, Anselmo, Zorio).  Zorio, nell’evoluzione della sua arte, ha posto al centro del suo lavoro l’energia, intesa come corpo a corpo con lo spazio. Le sue opere confliggono col contenitore (museo, galleria), vogliono uscire, ridefinire il perimetro delle pareti, suggerire un’idea di trasformazione, di balzo in avanti.  Così si affida ad archetipi: la stella (luce, calore, lontananza, meta); la canoa (viaggio, esplorazione, avventura); il giavellotto (ancora viaggio, energia che nasce dal corpo ma da questo si stacca, per andare oltre); crogioli e alambicchi (trasformazione chimica e alchemica della materia); marrani (termine spregiativo con cui gli spagnoli definivano gli ebrei convertiti ma anche contenitori in pelle di maiale) che si gonfiano d’aria compressa, sibilano, si muovono, si sgonfiano e ricadono. Questi e altri elementi interagiscono nel lavoro di Zorio: così i giavellotti formano una stella oppure prolungano il tragitto della canoa o si immergono in un crogiolo per trasformare la propria materia. Inoltre l’artista cerca sempre più di realizzare le proprie mostre non come l’esposizione di un insieme di lavori che rappresentino diversi aspetti del suo operare ma come corpi unitari che investano l’intero spazio, lo teatralizzino e lo trasformino. Così aveva operato nella bellissima personale che aveva allestito nel 2009 a Bologna, al Mambo, e così ora in quella alla Galleria De’ Foscherari, che ha intitolato “Le opere oscillano e fluidificano da un secolo al successivo”. La mostra si sviluppa nello spazio, uno spazio che i lavori tendono a modificare ed aprire, e nel tempo, perché muta e bisogna fermarsi e attendere i movimenti e i suoni del marrano, osservare le trasformazioni chimiche delle ampolle e crogioli, attendere che si spengano le luci per trovarsi immersi in uno spazio nuovo, magico, creato dalle pennellate di vernice fluorescente stese sulle pareti: è un momento molto bello, tutto diventa azzurro, sembra veramente di essere in un’altra dimensione: poi la luce si riaccende e un carillon intona l’Internazionale. Come dice Zorio, “nostalgia di futuro”.
I lavori esposti, che tendono a formare un unico corpo, appartengono a periodi diversi della ricerca dell’artista e suggeriscono uno sviluppo organico e coerente. C’è lo storico “Letto” del 1967 (“nasce con quattro zampe, una coppia differente in altezza dall’altra, da una griglia o piano d’appoggio in gomma e una lastra di piombo. Li vedo come l’incontro tra un animale a quattro zampe, un insieme vegetale, la gomma, ed un metallo ottuso che, come un corpo, si scontra e si adatta”) ; “Per purificare le parole” del 1980; ci sono “Marrano con treccia”, “Canoa aggettante”, “Stella calibrata” del 2016. Poi “…arriva il buio, torna la memoria e forse la seminagione cosmica si avvicina alle note”.

Sauro Sassi

La mostra è aperta fino al 16 marzo 2017 nella sede della galleria, in via Castiglione 28, nel pieno centro di Bologna.
Il telefono della galleria è 051-221308
Gli orari: Lunedi – Sabato 10 – 12.30 e 16 – 19.30




Post a Comment

Nuova Vecchia