di Marco Amore
marcoamore2015@gmail.com
Il 30 ottobre è uscito Dorian Gray,
la scommessa musicale di un artista giovane e interamente autoprodotto, una
scommessa che oserei dare per vincente, in una realtà di mercato dove la scena underground
non ha mai smesso di avere un peso pari, se non maggiore, della scena ufficiale.
L’album (interamente presente sulle maggiori piattaforme online, come Youtube o
SoundCloud) consta di tredici tracce, intro inclusa, ognuna delle quali imperniata
sul rapporto fra l’emcee e la quotidianità in un mondo da lui percepito come
avverso, una società traditrice che, influenzata dalla cultura della visibilitÃ
mass-mediatica, predica come il Lord Henry Wotton wildiano “l’amore per le cose
superflue e la profanazione del sacro”, “la ricerca dell’effimero e del piacere”,
salvo abbandonarci a noi stessi quando la progressiva corruzione dell’Io tocca
il punto di non ritorno, e la redenzione diventa una specie di sogno a occhi
aperti. Fulcro dell’album, quindi, è l’interiorità dell’artista, quel ritratto
intimo e privato che solo noi possiamo “sbirciare”, e che viene messo a nudo di
fronte all’intera umanità ; nonché la critica ad un genere musicale, quello dell’hip-hop
italiano, che si è lasciato corrompere dalle logiche di mercato delle lobby, e che
da forma di ribellione e protesta sociale è divenuto un fenomeno commerciale
per adolescenti e nostalgici del genere, ovvero una farsa a scopo di lucro. A
tale proposito, il brano sicuramente più interessante resta la traccia n. 12, Incubi, dove Mr. Mind (alias Davide
Sturatti), assumendo un atteggiamento poco simpatico nei confronti del
fruitore, sottolineato da una distorsione diabolica della voce narrante,
afferma “Questo non è rap / odio il rap / questa è follia / questo non è
hip-hop /è satanismo”, o , ancora, “vorrei
vedere il genocidio delle masse / solo perché odio / la vostra musica / le vite
/ le radio / uno stadio dove la lotta si fa più cruda / odio il vostro credo /
tu chiamami Giuda”. Le continue provocazioni, scandite da basi dure e monotone
e accompagnate da un canto spesso monocorde, toccano il culmine nella traccia n.
6, Mind One, in cui il rapper fa un
compendio del suo lavoro, estremizzandone i canoni stilistici fino a sfiorare
un minimalismo non solo musicale, ma linguistico, espresso sottoforma di giochi
di parole: Mr. Mind / mr. Hyde / dottor
Jekyll / flow-divide / […] high-tech / back on track / rap tipo muay thai
eccetera. Non
mancano i riferimenti al film di Oliver Parker del 2009, campionati all’inizio
dell’album e alla fine del brano suddetto, per esempio, o i featuring con MC e leader
di altri gruppi musicali, sia sul beat che in refrain. Bella la collaborazione
con un altro giovane sannita, Emmanuele Iannucci, il quale va ad arricchire la traccia
n. 7, Giorni Solitari, con la sua
voce energica e aspra.
Posta un commento