COS'E', OGGI, IL PAESAGGIO?


        COS’E’, OGGI, IL PAESAGGIO?

                              

Alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna si affronta il tema del paesaggio, uno dei generi classici della pittura. Di solito, se si chiede a qualcuno di immaginare la figura del pittore, viene descritto un signore che, sistemata la sua tela in mezzo a un campo o ai bordi di una scogliera, o ai piedi di una montagna, in una mano la paletta e nell’altra il pennello, si accinge a dipingere il “paesaggio”. In realtà, l’introduzione del genere è abbastanza recente. Per svariati secoli al centro dell’opera pittorica, almeno in Occidente, c’era la figura umana, sotto forma di sacre rappresentazioni o scene mitologiche. Il paesaggio comincia ad apparire con Giotto, ma sempre con funzione di sfondo. Senza seguirne tutta l’evoluzione, si può dire che acquista importanza con certi pittori del Seicento (Jacob van Ruisdael, Claude Lorrain) ma solo col Romanticismo, tra Settecento e Ottocento, la Natura diventa protagonista, sia in un confronto drammatico con l’uomo (Friedrich, Turner), sia come luogo in cui esercitare una ricerca sulla luce e le forme (Constable, Courbet, la scuola di Barbizon, gli Impressionisti, fino a Cézanne), per sprofondare in drammatico specchio di alterazione psichica (Van Gogh) o deformazione della visione (Gauguin, gli Espressionisti). Appaiono, con la modernità, altri tipi di paesaggio, quello urbano, quello industriale: cioè paesaggi fatti dall’uomo. Oggi non si può più immaginare un paesaggio naturale, si guarda tutto con il velo della cultura e con lo sguardo di chi con la natura ha un rapporto conflittuale. La mostra “Approdi e derive del paesaggio in Italia” raccoglie alcuni artisti storicizzati e molti giovani. Così l’architetto futurista Sant’Elia, che morì nella prima guerra mondiale, immagina una paesaggio tutto meccanico, dominato dall’uomo. Gli architetti fiorentini di Superstudio, negli anni Sessanta, mettevano in discussione questa visione ottimistica di “magnifiche sorti e progressive” apportate dallo sviluppo (che, come diceva Pasolini, non sempre è progresso) immaginando invece un futuro distopico, dove gli elementi del progresso tecnologico si trasformano in strumenti di controllo e di potere oppressivo.  Mario Schifano, sempre nei Sessanta, immaginava un paesaggio in movimento, inafferrabile, come visto dal finestrino di un’auto in viaggio. Il quarto grande del passato è il fotografo Luigi Ghirri, morto prematuramente nel 1992, che sta acquistando sempre più considerazione, entrando nella schiera dei grandi artisti del Novecento. Ghirri ci ha mostrato che non è vero che si possa affermare che non ci sia più nulla da vedere perché ormai tutto sarebbe stato visto. C’è ancora tutto da vedere, ma con uno sguardo nuovo. Ogni pezzetto di realtà, anche quello apparentemente più banale, acquista un senso se noi siamo in grado di attribuirglielo. Ghirri ha ripreso il genere del paesaggio in particolare con una mostra e un libro famosissimi, “Viaggio in Italia”, in cui lui e altri fotografi non appuntavano lo sguardo su monumenti, luoghi famosi, ma su spiagge invernali, vecchi edifici, luoghi periferici, reinventandoli e conferendo senso a loro e allo sguardo. C’è una sua foto molto bella in mostra, apparentemente semplice ma di grande complessità intellettuale. Sullo sfondo c’è un paesaggio, con un piccolo borgo. Davanti a questo paesaggio, viste di spalle, due pittrici lo stanno dipingendo. Ancora più indietro, il fotografo che scatta ovviamente non si vede ma sul terreno scorgiamo la sua ombra, a denotarne la presenza. Un gioco vertiginoso, in cui Ghirri ci insegna che la visione è sempre complessa e sempre nuova e sempre da reinventare ed è lo sguardo, mai disgiunto dal pensiero, che dà senso alla realtà. I giovani artisti si confrontano con questi modelli elaborando proprie modalità espressive, dalla fotografia, al video, all’assemblage. Così il tornado disegnato da Francesco Pedrini ci propone un’immagine in continua trasformazione; Davide Tranchina reinventa visioni notturne lungo la via Emilia; Andrea Chiesi propone, in bianco e nero, architetture che segnano un nuovo paesaggio umano e già si stanno disfacendo, Valentina D’Amato realizza paesaggi inabitati, svuotati di protagonisti e narrazione e resi pura forma; il video di Andreco “Parade for the Landscape” rappresenta uomini, costumi, tamburi e bandiere che si fondono in un rito vitalistico dentro una natura trionfante; Andrea de Stefani e Margherita Moscardini inseriscono nei loro lavori l’asfalto, elemento affatto naturale, ma che ha trasformato e ridisegnato il paesaggio contemporaneo; Laura Pugno ci mostra immagini di paesaggio che, però, sono in gran parte nascoste da escrescenze in poliuretano che ci negano una visione normale; Luca Coclite inserisce un altro elemento nuovo del paesaggio urbano, le grandi antenne per radiocomunicazioni, che spesso non vediamo perché non alziamo lo sguardo ma che incombono minacciosamente. Il paesaggio ricompare quindi in questi e negli altri lavori ma trasformato, reso problematico, disarticolato, violentato e anche reinventato.

SAURO SASSI

APPRODI E DERIVE DEL PAESAGGIO IN ITALIA
BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA
VIA DELLE DONZELLE, 2 BOLOGNA
FINO AL 13 APRILE 2019
ORARIO: DA LUNEDI A SABATO DALLE 10 ALLE 19
INGRESSO GRATUITO



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