di Roberto Tortora
Di giorno, in giro per le piazze e lungo i vicoli del borgo antico di Gaeta, se ne vedono pochi. Puoi contarli sulle dita di una mano.
Escono poco da quando hanno smesso di navigare, ma li riconosci dal viso seccato dal sole, dai maglioni a collo alto, dal basco di panno calcato sui capelli d’argento.
Sono i vecchi marinai di Gaeta.
Ce n’è uno che di buon mattino per prima cosa si reca al faro, quello verde sul braccio destro del porticciolo. Un altro misura a piedi lunghi tratti di battigia. Un terzo va a sedersi sul pontile e aspetta che uno stormo di gabbiani impazziti faccia da scorta alle paranze di ritorno. C’è perfino chi, raggiunto il cantiere navale, sosta col viso tra le sbarre del cancello e sorveglia da lontano il lento farsi di un gozzo sotto i colpi del maestro d’ascia.
Dopo il tramonto però, quando tutt’intorno è buio, quando le ombre si addensano sulle barche ormeggiate e sotto i platani, i vecchi marinai si ritrovano in uno stanzino imbiancato a calce, davanti al molo Santa Maria, un casotto adibito a ricovero di nasse e tartane. Fanno così ogni sera, da anni, eppure non ce n’è uno che arrivi in ritardo.
Si salutano senza aprir bocca, si stringono le mani asciugate dal vento salato; poi, una volta dentro, si mettono attorno a un tavolaccio al centro del quale campeggia una radiolina gialla, segnata da crepe, tenuta insieme con due strisce di nastro adesivo opaco. Uno dei vecchi marinai aggiunge olio alla lucerna, un altro accende l’apparecchio, ruota la manopola, orienta l’antenna.
In silenzio, ognuno al suo posto, ascoltano il bollettino del mare.
Chiara e bassa la voce di un uomo si spiega nell’aria ferma, scandisce presagi di tempesta, la forza delle mareggiate, le burrasche in agguato. Nomina i mari: lo Ionio, il mar di Calabria, il Tirreno settentrionale…Chiama i venti all’appello. E’ una voce che osserva larghe pause: le parole appena dette sembra che rimangano sospese, isolate, poi scivolano l’una sull’altra come l’onda che giunge a riva nel lento moto della risacca. I vecchi marinai, sospirando, muovono gravi cenni del capo.
Chiudono gli occhi.
E’ difficile immaginare cosa accada nel loro cuore durante quei minuti, quali rotte si riaprano, quali flutti. Essi giacciono sulle panche, assediati dal ricordo delle notti trascorse lontano dalla costa. Forse contano le ore, forse gli anni, forse i milioni di stelle.
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