di Valeria Del Forno
Dopo un'attesa quasi messianica, il nuovo presidente inizia il suo mandato. Lo aspettano problemi, di enorme portata, su tutti la recessione globale. L'Italia, in questo contesto, appare quanto mai esposta alle turbolenze internazionali: sforamento dei parametri di Maastricht, secondo anno consecutivo di recessione, debito nuovamente in fase crescente, disoccupazione in aumento. Sono questi gli elementi che emergono dalle previsioni economiche della Commissione europea.
L’America si è risvegliata oggi alla fine della sua interminabile attesa. Da quando Obama ha vinto le elezioni presidenziali, lo scorso 4 novembre, la grande speranza ha acquisito verosimiglianza.
Un volto che fino a poco tempo fa pareva strano associare al prossimo presidente degli Stati Uniti, è stato diffuso ovunque a Washington, dagli edifici con le gigantografie, alle vetrine delle librerie tappezzate di biografie, accrescendo la febbrile attesa per l’Inauguration Day.
Ricordiamo che solo 45 anni fa Martin Luther King dal Mall di Washington, dove si e' svolto il concerto per salutare l'elezione di Barack Obama, sperava che un giorno bambini bianchi e neri avrebbero potuto darsi la mano. Oggi c'e' molto di più: un Presidente di una generazione nuova, il primo Presidente nero, eletto dalla maggioranza degli americani. Si è rotto sul serio per la prima volta il pregiudizio razziale, ancora forte in America del Nord, dimostrazione del valore e dell'importanza che può avere la politica quando si nutre di ambizioni forti.
La nomina del primo afro-americano nella storia a giocarsi la presidenza nell'Election Day, già attestava che molte cose erano cambiate e stavano felicemente sovvertendosi. Dopo un presidente che ha diviso il Paese, precipitato al 20% del gradimento, c’era un leader capace di unificarlo.
Un patrimonio di sostenitori era stato già conquistato e si disponeva a far sentire il peso del proprio entusiasmo. Lo straordinario consenso non solo tra la numerosa comunità nera, ma anche tra le più disparate fasce economiche della società statunitense, tutta quella adesione dei giovani, quel tasso di partecipazione alle primarie tra i più alti della bi centenaria storia della repubblica federale, quella conquista di stati non proprio simpatizzanti per tutti coloro che appartengono alla comunità nera a promessa di cambiamenti forti, erano altrettanti segnali promettenti.
Oggi, ammettiamo, echeggia qualche timore: il neopresidente comincia il suo lavoro nel momento più difficile della storia degli Stati Uniti e probabilmente anche della storia del mondo dal dopoguerra in poi. Dovrà dunque misurare la portata del suo disegno di cambiamento profondo con la durezza di una condizione strutturale della società Usa molto difficile. Tuttavia, la compattezza dei fiduciosi ben presto scoraggia le malelingue e si dichiara pronta a concedere ad Obama un biennio di tempo per cambiare le cose sui fronti sui quali il nuovo presidente ha fatto le promesse più impegnative, su tutti la recessione globale.
LA CRISI ECONOMICA ITALIANA. L'Italia, in questo contesto, appare quanto mai esposta alle turbolenze internazionali. A dipingere un quadro tutt'altro che rassicurante sono i dati provenienti dalla Commissione Europea, che confermano le previsioni della Banca d'Italia di pochi giorni fa: nel 2009 il PIL al -2%; il rapporto deficit/PIL al 3,8% (sforando il parametro di Maastricht del3%), il debito pubblico al 110% del PIL.
Ed è soprattutto quest'ultimo a preoccupare: il vero fardello del Belpaese (è il debito più alto d'Europa e costringe il governo a pagare enormi interessi per finanziarlo): nel 2008 è arrivato al 105,7% del Prodotto interno lordo, nel 2009 schizzerà al 109,3% e nel 2010 continuerà la sua corsa toccando il 110%. Un aumento del debito pubblico fa aumentare anche i tassi di interesse che lo Stato deve offrire, soprattutto a fronte degli stessi titoli emessi da Paesi economicamente più solidi, come la Germania. Ma un aumento dei tassi di mezzo punto percentuale per l'Italia sono oltre 8 miliardi di euro in più da spendere. Quindi non sono dati che ci possiamo permettere.
Ma non finisce qui. Quando l'economia va male, sale il tasso di disoccupazione: in Italia passerà dal 6,7% dello scorso anno all'8,7% del 2010.
ALTERNATIVE E POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO. A chi chiedeva di dare un consiglio su come reagire alla crisi, Joaquin Almunia, commissario europeo agli affari economici e monetari, ha risposto: "Tremonti sa perfettamente cosa va fatto, si tratta di dare seguito alle misure prese fino ad oggi all'insegna di un’adeguata combinazione tra l'esigenza di stimolare l'economia e quella di rimanere prudenti sul fronte dei conti".
Per quanto riguarda le possibili risorse da impiegare, ci sarebbero 8 miliardi provenienti dai fondi FAS (Fondi per Aree Sottosviluppati), che però andrebbero tolti alle Regioni. Quindi, quand'anche si facesse, sarebbe solo una diversa allocazione di una quantità già prefissata di risorse.
Un'altra alternativa è quello che viene chiamato il "tesoretto dei poveri". Infatti, a causa della scarsissima informazione che è stata data sul punto, finora pochi degli aventi diritto hanno chiesto il bonus famiglia, in quanto probabilmente si pensa che sia automatico. Quindi si spera che siano in molti a non chiederlo, in modo da avere un po' di risorse in più da spendere.
In ogni caso appare triste vedere coloro che ci governano scommettere sull'ignoranza altrui, anziché fare il loro dovere.
Basterebbe portare l'aliquota massima dell'IRPEF dal 41 al 49% per ottenere grosse cifre da poter utilizzare. Per non parlare della drammatica questione dell’evasione fiscale che, purtroppo, insieme al sommerso, rappresenta una parte importante dell'economia del Paese. Ecco quindi da dove proviene la paura di prendere misure per l'emersione: si teme,evidentemente, di rovinare una serie di aziende che non riuscirebbero a stare sul mercato.
La domanda, però, sorge spontanea: se non chiediamo certe cifre a chi guadagna centinaia di migliaia di euro all'anno, o milioni o più, a chi li dovremmo chiedere? A operai e pensionati, come continua a fare questo governo?
Sicuramente, di fronte a una situazione che potrebbe aggravarsi, servirebbe un impegno maggiore anche da parte del ceto medio che, oggigiorno, nonostante i tempi cupi, non sembra intenzionato a tornare a fare i lavori più umili, ormai patrimonio degli immigrati. Se gli italiani riprendessero tali lavori, ci sarebbe meno disoccupazione e di conseguenza meno aiuti sociali come la cassa integrazione.
Inverosimilmente pare ,quindi, che le soluzioni a questa crisi dipendano più dalla questione morale che dalle teorie economiche: la necessità di rifondare il mercato con regole e controlli precisi che salvaguardino diritti dei cittadini è una necessità urgente che deve quindi coinvolgere tutti in modo responsabile e secondo le proprie possibilità economiche mettendo da parte i propri egoismi e le convenienze di parte.
OBAMA: FIDUCIA E SPERANZA GLOBALE. C’è bisogno di un sogno americano, verrebbe da dire. Non lo sarà certamente Obama. O, per lo meno, non lo potrà essere solamente lui. Tocca anche a noi, a noi della vecchia Europa. Fatto sta che tutti piangono da tempo la crisi ma il problema è rimasto fino ad ora irrisolto, ne è conferma il trend economico negativo. Né il Governo, né le alte istituzioni, nazionali, europee o globali hanno prodotto soluzioni capaci di convertire questo flusso che sta portando alla deriva la società italiana e quella mondiale.
Da Obama e dalla sua squadra di politica estera ci aspettiamo competenza e leadership. Le idee ci sono. Si vedrà tra breve quali saranno i fatti.
Il vero problema del cambiamento, se c’è o meno, lo vedremo adesso, dal modo con cui il presidente affronterà la questione economica mondiale. È questo il vero dilemma della presidenza Obama, e non certo quegli aspetti di cui noi europei ci preoccupiamo tanto, come Guantanamo o altri problemi simili. Obama si dovrà confrontare con la capacità di reagire alla crisi economica e alla prospettiva di avere milioni di disoccupati. Poi tutto il resto verrà di conseguenza
I fatidici 100 giorni, quelli che, tra mito e realtà, segnano come un cartello stradale la direzione che il nuovo presidente vuole prendere, non sono il limite entro il quale deve trovare la soluzione giusta per risolvere la recessione, cosa ovviamente impossibile; è il limite entro il quale deve saper infondere fiducia negli americani e in tutto il mondo in merito al fatto che da questa crisi si possa uscire.
Riuscirà Obama, in questo caso, a farci pronunciare con lo stesso vigore dello scorso anno il suo motto “Yes, We can”?
Un volto che fino a poco tempo fa pareva strano associare al prossimo presidente degli Stati Uniti, è stato diffuso ovunque a Washington, dagli edifici con le gigantografie, alle vetrine delle librerie tappezzate di biografie, accrescendo la febbrile attesa per l’Inauguration Day.
Ricordiamo che solo 45 anni fa Martin Luther King dal Mall di Washington, dove si e' svolto il concerto per salutare l'elezione di Barack Obama, sperava che un giorno bambini bianchi e neri avrebbero potuto darsi la mano. Oggi c'e' molto di più: un Presidente di una generazione nuova, il primo Presidente nero, eletto dalla maggioranza degli americani. Si è rotto sul serio per la prima volta il pregiudizio razziale, ancora forte in America del Nord, dimostrazione del valore e dell'importanza che può avere la politica quando si nutre di ambizioni forti.
La nomina del primo afro-americano nella storia a giocarsi la presidenza nell'Election Day, già attestava che molte cose erano cambiate e stavano felicemente sovvertendosi. Dopo un presidente che ha diviso il Paese, precipitato al 20% del gradimento, c’era un leader capace di unificarlo.
Un patrimonio di sostenitori era stato già conquistato e si disponeva a far sentire il peso del proprio entusiasmo. Lo straordinario consenso non solo tra la numerosa comunità nera, ma anche tra le più disparate fasce economiche della società statunitense, tutta quella adesione dei giovani, quel tasso di partecipazione alle primarie tra i più alti della bi centenaria storia della repubblica federale, quella conquista di stati non proprio simpatizzanti per tutti coloro che appartengono alla comunità nera a promessa di cambiamenti forti, erano altrettanti segnali promettenti.
Oggi, ammettiamo, echeggia qualche timore: il neopresidente comincia il suo lavoro nel momento più difficile della storia degli Stati Uniti e probabilmente anche della storia del mondo dal dopoguerra in poi. Dovrà dunque misurare la portata del suo disegno di cambiamento profondo con la durezza di una condizione strutturale della società Usa molto difficile. Tuttavia, la compattezza dei fiduciosi ben presto scoraggia le malelingue e si dichiara pronta a concedere ad Obama un biennio di tempo per cambiare le cose sui fronti sui quali il nuovo presidente ha fatto le promesse più impegnative, su tutti la recessione globale.
LA CRISI ECONOMICA ITALIANA. L'Italia, in questo contesto, appare quanto mai esposta alle turbolenze internazionali. A dipingere un quadro tutt'altro che rassicurante sono i dati provenienti dalla Commissione Europea, che confermano le previsioni della Banca d'Italia di pochi giorni fa: nel 2009 il PIL al -2%; il rapporto deficit/PIL al 3,8% (sforando il parametro di Maastricht del3%), il debito pubblico al 110% del PIL.
Ed è soprattutto quest'ultimo a preoccupare: il vero fardello del Belpaese (è il debito più alto d'Europa e costringe il governo a pagare enormi interessi per finanziarlo): nel 2008 è arrivato al 105,7% del Prodotto interno lordo, nel 2009 schizzerà al 109,3% e nel 2010 continuerà la sua corsa toccando il 110%. Un aumento del debito pubblico fa aumentare anche i tassi di interesse che lo Stato deve offrire, soprattutto a fronte degli stessi titoli emessi da Paesi economicamente più solidi, come la Germania. Ma un aumento dei tassi di mezzo punto percentuale per l'Italia sono oltre 8 miliardi di euro in più da spendere. Quindi non sono dati che ci possiamo permettere.
Ma non finisce qui. Quando l'economia va male, sale il tasso di disoccupazione: in Italia passerà dal 6,7% dello scorso anno all'8,7% del 2010.
ALTERNATIVE E POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO. A chi chiedeva di dare un consiglio su come reagire alla crisi, Joaquin Almunia, commissario europeo agli affari economici e monetari, ha risposto: "Tremonti sa perfettamente cosa va fatto, si tratta di dare seguito alle misure prese fino ad oggi all'insegna di un’adeguata combinazione tra l'esigenza di stimolare l'economia e quella di rimanere prudenti sul fronte dei conti".
Per quanto riguarda le possibili risorse da impiegare, ci sarebbero 8 miliardi provenienti dai fondi FAS (Fondi per Aree Sottosviluppati), che però andrebbero tolti alle Regioni. Quindi, quand'anche si facesse, sarebbe solo una diversa allocazione di una quantità già prefissata di risorse.
Un'altra alternativa è quello che viene chiamato il "tesoretto dei poveri". Infatti, a causa della scarsissima informazione che è stata data sul punto, finora pochi degli aventi diritto hanno chiesto il bonus famiglia, in quanto probabilmente si pensa che sia automatico. Quindi si spera che siano in molti a non chiederlo, in modo da avere un po' di risorse in più da spendere.
In ogni caso appare triste vedere coloro che ci governano scommettere sull'ignoranza altrui, anziché fare il loro dovere.
Basterebbe portare l'aliquota massima dell'IRPEF dal 41 al 49% per ottenere grosse cifre da poter utilizzare. Per non parlare della drammatica questione dell’evasione fiscale che, purtroppo, insieme al sommerso, rappresenta una parte importante dell'economia del Paese. Ecco quindi da dove proviene la paura di prendere misure per l'emersione: si teme,evidentemente, di rovinare una serie di aziende che non riuscirebbero a stare sul mercato.
La domanda, però, sorge spontanea: se non chiediamo certe cifre a chi guadagna centinaia di migliaia di euro all'anno, o milioni o più, a chi li dovremmo chiedere? A operai e pensionati, come continua a fare questo governo?
Sicuramente, di fronte a una situazione che potrebbe aggravarsi, servirebbe un impegno maggiore anche da parte del ceto medio che, oggigiorno, nonostante i tempi cupi, non sembra intenzionato a tornare a fare i lavori più umili, ormai patrimonio degli immigrati. Se gli italiani riprendessero tali lavori, ci sarebbe meno disoccupazione e di conseguenza meno aiuti sociali come la cassa integrazione.
Inverosimilmente pare ,quindi, che le soluzioni a questa crisi dipendano più dalla questione morale che dalle teorie economiche: la necessità di rifondare il mercato con regole e controlli precisi che salvaguardino diritti dei cittadini è una necessità urgente che deve quindi coinvolgere tutti in modo responsabile e secondo le proprie possibilità economiche mettendo da parte i propri egoismi e le convenienze di parte.
OBAMA: FIDUCIA E SPERANZA GLOBALE. C’è bisogno di un sogno americano, verrebbe da dire. Non lo sarà certamente Obama. O, per lo meno, non lo potrà essere solamente lui. Tocca anche a noi, a noi della vecchia Europa. Fatto sta che tutti piangono da tempo la crisi ma il problema è rimasto fino ad ora irrisolto, ne è conferma il trend economico negativo. Né il Governo, né le alte istituzioni, nazionali, europee o globali hanno prodotto soluzioni capaci di convertire questo flusso che sta portando alla deriva la società italiana e quella mondiale.
Da Obama e dalla sua squadra di politica estera ci aspettiamo competenza e leadership. Le idee ci sono. Si vedrà tra breve quali saranno i fatti.
Il vero problema del cambiamento, se c’è o meno, lo vedremo adesso, dal modo con cui il presidente affronterà la questione economica mondiale. È questo il vero dilemma della presidenza Obama, e non certo quegli aspetti di cui noi europei ci preoccupiamo tanto, come Guantanamo o altri problemi simili. Obama si dovrà confrontare con la capacità di reagire alla crisi economica e alla prospettiva di avere milioni di disoccupati. Poi tutto il resto verrà di conseguenza
I fatidici 100 giorni, quelli che, tra mito e realtà, segnano come un cartello stradale la direzione che il nuovo presidente vuole prendere, non sono il limite entro il quale deve trovare la soluzione giusta per risolvere la recessione, cosa ovviamente impossibile; è il limite entro il quale deve saper infondere fiducia negli americani e in tutto il mondo in merito al fatto che da questa crisi si possa uscire.
Riuscirà Obama, in questo caso, a farci pronunciare con lo stesso vigore dello scorso anno il suo motto “Yes, We can”?
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