A gatto vecchio, topo tenerello

di Vincenzo Jacovino


Recitava un vecchio detto della nonna:A gatto vecchio, - e si guardava con circospezione attorno, completandolo finalmente con ironia - topo tenerello. Forse sperava che noi ragazzi non prestassimo attenzione. Evidentemente i problemi che affliggono i gatti vecchi hanno sempre avuto una diffusa familiarità in tutti i tempi oggi, poi, è diventata un’attività di gestione aziendale. Si può tranquillamente definire un’attività di (S)tato. L’immagine della vecchiaia era collegata, un po’ ingenuamente per i ragazzi di allora, a un rapporto con la saggezza, a una sapiente e attenta capacità di affrontare i problemi dell’esistenza, nonché al riconoscimento della realtà oggetti-va. Invece così non era e non è, se la nonna era costretta, nei conciliaboli con le amiche, a rispolverare il suo famoso detto:A gatto vecchio, topo tenerello, quale commento finale di alcuni incresciosi episodi.

A rendere meno pesanti le delusioni, rispetto alla remota adolescenza, scendono, spesso, in soccorso dagli scaffali della libreria, dove stanno a sonnecchiare, gli amici di evasione e di studi: architetti di invenzioni quasi più reali della realtà medesima. E allora il prof. “Humbert Humbert” si affianca per evocare la tenerezza, l’amore, lo sperdimento per Lolita sussurrando, poi, all’orecchio: Era la più bella ninfetta che lo stesso Priapo (…) avrebbe potuto immaginare.( Nabokov: Lolita) Ma non è il solo perché a fargli compagnia giunge anche il prof. “David Kepesh” che, in rappresentan-za dell’Animale morente (Philip Rhot) con riso sardonico sussurra: Che forza strana, e ammaliante, e trascinante, e piena d’incantesimo, in questo detto: a gatto vecchio, topo tenerello.

Parlano e si animano i conversari riempiendo il vuoto delle loro anime di ogni particolari della luminosa e giovanile bellezza delle ninfette che sono

come le foglie nate nella stagione florida

- crescono così rapide nel sole -

e da godere

per un gramo tempo i fiori dell’età. (Mimnermo)

E tra le righe emerge, bon Dieu, l’effetto distruttivo di un narcisismo sgomento dinanzi alla vecchiaia ma, soprattutto, dinanzi alla solitudine prossima dell’anima e non solo del corpo.

Era, purtroppo, un problema ben conosciuto dalla nonna la quale, pur non avendo frequentato cotanti amici, aveva una pratica di vita, senz’altro, non comune oltre ad una profonda conoscenza dei suoi coetanei alcuni dei quali, spesso, si accompagnavano scalpitanti a

Eros, indomito in lotta,

Eros, che tutto invest(e),

che sulle molli gote

d’una fanciulla ha soste

di vigile riposo. (Sofocle)


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