Arabeschi, tizzoni e l'assenza d'amore

Natty PatanĆØ


Altri silenzi, altre notti

Arabeschi di gocce solcavano i vetri, fosse riuscito a fissarle una ad una avrebbe trovato in ognuna i colori perduti della sua infanzia, quando ai temporali la luce delle lampade ad incandescenza, stanca, si interrompeva e per vincere la paura lui fissava a lungo i tizzoni ardenti del braciere d’ottone. A niente servivano le parole rassicuranti della zia Virginia, il buio diventava un fluido opprimente che stringeva alla gola, il fiato sembrava correre cosƬ veloce da non farsi piĆ¹ riprendere, schizzando fuori dal corpo.
PoggiĆ² la mano aperta sul vetro e ne percepƬ il freddo che fuori era calato improvviso e lo mescolĆ² con quella intensa sensazione di vuoto che la sera gli riversava copiosa.
Estrasse dalla tasca dei jeans il cellulare e andĆ² a rileggere quell’ultimo messaggio ripetendosi che avrebbe dovuto cancellarlo e spostĆ² il dito sul tasto giusto, quello che avrebbe portato via anche quelle ultime parole, quello che sapeva giĆ  non avrebbe ancora premuto.
Sedette, quasi accasciandosi, sulla poltrona accanto alla finestra, accogliendo il telefono nelle mani aperte poggiate, abbandonate, sulle gambe, attendendo che la lucina si spegnesse. L’evoluzione dei tizzoni.
Dalla finestra rimbalzavano luci giallastre che gli riportavano quelle che si avvicinavano alla stazione centrale, sui viali, a quell’ora, i tram forse avevano fermato il moto, le auto sfrecciavano probabilmente svincolate dal traffico. ImmaginĆ² la saracinesca della pasticceria di viale Monza serrata sugli strudel e sui cioccolatini artigianali e con tenerezza si ritrovĆ² a ricordare la signora calabrese della lavanderia di via Marocco che gli sorrideva sotto casa, quando, sperso nei primi giorni in cittĆ , non aveva il minimo tentennamento e sapeva di stare a fare la cosa giusta.
Si alzĆ² deciso, non aveva voglia di farsi risucchiare dai ricordi, infilĆ² il giubbotto rosso e con il largo maglione di lana penzoloni uscƬ di casa offrendo i suoi capelli alle sferzate gelide. Si rifugiĆ² dietro una colonna per accendere una sigaretta poi continuĆ² imperterrito verso l’auto.
Mettere in moto e scegliere il cd era cosa unica, direzione mare, curve a gomito, limoni gelati dall’inverno balzato come bimbo a far cucĆ¹, odore di tempesta fra le pietre nere che si stagliavano come moniti silenziosi. Ridendo sarcastico, cominciĆ² a urlare sguaiato, stonando inverosimilmente, per profanare quella che era stata la loro canzone.
AprƬ il finestrino e pensĆ² che cosƬ quelle note potevano uscire definitivamente dalla macchina e dalla sua vita
- I wanna know what love is – iniziĆ² a ridere fermandosi solo quando cominciĆ² ad aver paura di essere ad un passo dalla pura follia.
Poco dopo fece spazio al mare e ai suoi rumori infranti sugli scogli. Il piccolo promontorio con la sua piattaforma stava immobile come sempre nei suoi anni.
AprƬ le braccia come se fosse pronto a spiccare il volo e si sciolse in una sensazione che, piano, lo rasserenĆ².
- Solo, sto qua da solo, e vivo. Hai visto? Vivo anche solo
Prese una pietra levigata e scagliandola verso nord sussurrĆ²
- buona fortuna, con tutto l’amore che ho -

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