Gianni Minà racconta la sua Cuba

Gordiano Lupi


“Volevo raccontare l’isola di oggi, dal di dentro, con le voci della generazione che fra breve governerà il Paese”, dice Gianni Minà a proposito del suo documentario in due parti Cuba nell’epoca di Obama, che sarà proposto dalle Giornate degli Autori - nei giorni 7 e 8 settembre - alla Mostra del Cinema di Venezia. Una non fiction, girata in 14 giorni, realizzata sull’Isola dei fratelli Castro, percorrendo oltre mille chilometri, dall’Avana a Guantanamo.
Fin qui il comunicato Ansa. Ora, che Gianni Minà racconti Cuba nell’epoca di Obama è un suo diritto. Nessuno glielo può negare. Siamo in democrazia, a differenza che a Cuba dove soltanto chi è autorizzato può parlare e solo chi ha un pensiero conforme alle idee del regime viene autorizzato a produrre cultura da diffondere nell’isola. Il problema non è tanto che Gianni Minà ci proponga la solita pappardella sul paese assediato dall’Impero, sui cubani innamorati di Fidel e  convinti dalla svolta raulista, sulla presunta democrazia diretta per alzata di mano, sui mali dell’embargo, sulla fantastica sanità cubana e sull’istruzione per tutti. Il problema grave è che la Mostra del Cinema di Venezia dia credito a documentari propagandistici, sponsorizzati dal regime cubano, diretti a mostrare il volto buono d’un regime liberticida.  La vera Cuba ce la racconta Andy Garcia (The Arthuro Sandoval Story e The Lost City), ce la descrivono le opere di Guillermo Cabrera Infante (morto in esilio a Londra), i lavori di Virgilio Piñera, la biografia terminale di Reinaldo Arenas (Prima che sia notte, edito da Guanda), i romanzi di Pedro Juan Gutierrez e di Leonardo Padura Fuentes (Il romanzo della mia vita e L’uomo che amava i cani). Non abbiamo bisogno di patetici cantori di un regime al tramonto che ripetono le opinioni del Granma, che parlano di Yoani Sánchez come di una mercenaria, che stigmatizzano i dissidenti come persone pagate dalla CIA. Se al Festival del Cinema di Venezia volevamo presentare un film onesto su Cuba girato da italiani avevano a portata di mano Wishes on a falling star - Cuba in the 50th year of the Revolution (Desideri su una stella cadente - Cuba nel cinquantesimo anniversario della Rivoluzione), realizzato da tre ottimi giornalisti di Rai 3 come Jacopo Cecconi, Paolo Cellammare e Giammarco Sicuro. I cubani non hanno bisogno di mistificazioni ma di realismo. Sanno che il loro mondo va cambiato e sanno pure che la generazione che dovrà guidare la Cuba del futuro non dovrà avere niente a che fare con il Partito Comunista. Cuba ha bisogno di aprirsi al mondo e di inserire nel quotidiano diritti civili, libertà di circolazione, di pensiero, di stampa, libertà economica, tolleranza e dignità della persona umana. Tutto questo adesso manca, con buona pace di Gianni Minà e degli organizzatori del Festival del Cinema di Venezia. 

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