ZENZERO E CUMINO


di Natty Patanè




La notte è scesa, le tende blu cominciano a tacere, alternando il silenzio ai suoni del sonno che si stende, illusorio.

Qualcuno prega e le sue litanie appaiono quasi confortanti e così simili ai suoni della mia infanzia, più in là qualcuno russa, altri si accovacciano nei piazzali a fumare, persi nei ricordi e nelle speranze.

Qualcuno oggi raccontava che molti erano stati rispediti indietro.

Mi trovo un angolo da dove si scorge la strada.

- Di là c’è Oria, di là Manduria - mi hanno detto, io vedo aldilà della recinzione solo uno schizzo di asfalto fra distese di pietra interrotte da radi ulivi.

Mi giro per un attimo e guardo il corridoio sul quale di giorno vaghiamo trascinando ciabatte di gomma peregrinando da una tenda all’altra, lenti, scandendo il tempo tra una boccata di fumo, il tempo dei pasti, quello delle docce, attendendo di essere ascoltati e capire come fare a far domanda d’asilo, cosa dire, cosa rivelare, come farsi credere.

- Cosa gli diremo?

- La verità – mi dicevi con tono preoccupantemente rassicurante

- Ho paura

- Non devi, vedrai, non è come qua, capiranno e in breve arriveremo in Olanda

Toglievi lo sguardo dal mare e fissandomi negli occhi sorridevi poi, dopo esserti guardato intorno, mi sfioravi la mano e poggiavi lieve due dita sulle mie labbra.

Proprio quel giorno, a casa, mia madre mi aspettava su un divano, immobile, quasi sapesse già, mi misi a sedere accanto a lei, intorno le foto, i cuscini, dalla finestra risalivano le voci della strada. Per molti minuti rimanemmo così rimbalzandoci il silenzio.

- Partirai? – sapevo che me lo avrebbe chiesto ma la sua domanda fu lo stesso come un fendente gelato.

- Devo

- Il tuo amico verrà con te? – e soffermò il suono della sua voce bassa sulla parola “amico” incastonandola in due lunghe, tenere pause rese ancor più intense dal suo chiudere le palpebre. Neanche da bambino, se avevo combinato qualcosa o non le avevo detto qualcosa, mi diceva che sapeva, ma in un accenno, più spesso una domanda, mi faceva intendere d’aver capito tutto.

- Partiamo insieme – poggiò lo sguardo sulle palme delle sue mani che teneva aperte in grembo e, quasi a leggervi parole di coraggio e amore mi sussurrò

- Va figlio mio, qua non è terra per voi, va e portami nei tuoi ricordi, sii benedetto

Mi sembrò che nella sua benedizione potessi rinchiudere definitivamente il tempo del silenzio, della finzione, della paura, come se per la seconda volta mi avesse generato riconoscendomi a dispetto del suo mondo.

Rapidi fari fendono il vuoto allontanandosi in un rombo sempre più lontano.

Dove sei adesso?

L’Olanda è il posto dove, mi dici sempre, potremo vivere senza aver paura di sfiorarci le mani e li, mi hai spiegato tante volte, tuo zio ci aiuterà agli inizi. Tuo zio, da tanto tempo per te è solo qualche lettera e rare telefonate, ha smesso di venire a trovarvi dopo quella volta in cui si mise a gridare in casa tua

- Non puoi far sempre finta di non sapere, non voglio sempre far finta di non essere me stesso! – gridava a tuo padre e tu, anche se eri solo un ragazzino, avevi capito tutto.

Mi ricordo quella volta che ti decidesti a parlarmi di tuo zio, eravamo stati al mercato dopo la lezione in facoltà, tu andavi alla ricerca di radici di zenzero e semi di cumino

- Mia madre ci fa dei dolci con lo zenzero una ricetta strana, credo gliela abbia data mio zio, ma in casa non possiamo dirlo

Ma adesso dove sei?

Ricordo le nostre labbra che accarezzavano quei biscotti nella penombra della tua stanza. Da quel giorno ogni volta che le mie labbra sfioravano le tue mi sembrava di ritrovarci lo stesso sapore.

Domani dovrei dire tutto a degli sconosciuti, chissà se starò da solo o se gli altri ascolteranno, che succederà se lo sapranno?

Le auto sono sempre più rare nella notte che si acquieta. Una cappa appiccicosa separa i miei occhi dal cielo ed è come se tenesse i ricordi a bassa quota come l’anello di fumo che staziona quasi fermo nell’aria immobile.

- Ho trovato il modo

Mia madre ti aveva fatto entrare mentre lei usciva, e tu mi sussurravi queste parole nell’orecchio mentre mi carezzavi per svegliarmi

- Ho trovato il modo, presto saremo in Europa

Poi è stata come una corsa, una corsa rapida di cui ricordo poche cose, a parte i tuoi occhi e il tuo sorriso rassicurante, sempre.

In spiaggia eravamo tanti

- Forse trecento – mi dicevi

Aspettavamo ma non sapevamo cosa, tutti a trovare riparo, alcuni, in gruppi sotto teli, altri sotto le tante vecchissime barchette che capovolte offrivano minuscoli ripari, in una di quelle il tuo abbraccio mi raggiunse e mi fece per un istante dimenticare la paura e mi accompagnò in un sonno lieve spezzato da un improvviso trambusto, qualcuno gridava

- Svelti, svelti e senza spingere, c’è posto per tutti!

Qualche donna teneva per mano i suoi bambini, altre gli uomini per non perderli, per non perdersi nello smistamento tra i quattro barconi che si erano materializzati a riva. Avrei voluto stringerti la mano ma non potevamo.

- Ci vediamo all’arrivo

Questo riuscisti a gridarmi mentre ti spingevano a bordo e non riuscì neanche a realizzare quella muta separazione che mani e corpi mi fiondavano in un’altra barca.

La verità, domani io dovrò dire la verità, perché non devo farmi rispedire indietro, perché voglio vivere e non far finta, perché devo aspettarti, perché insieme dobbiamo raggiungere l’Olanda.

Per un po’ si sentiva il frusciare delle altre barche mescolarsi, poi, poco a poco, i gusci della speranza si allontanarono uno dall’altro e cominciarono ad ondeggiare in un mare che non era più calmo.

Adesso solo la prima tenda, quella dell’assistenza è animata, il resto no.

All’arrivo tra poliziotti, volontari con giubbotti arancio e tanta disperazione ho cercato di chiedere delle altre barche, ma nella confusione non si riusciva a capire nulla, qualcuno diceva che solo due barche erano state soccorse, altri parlavano di tre, altri che le motovedette erano uscite di nuovo per riprendere quelle che mancavano. Mi avvolsero un telo dorato, forse si erano accorti prima di me che tremavo zuppo d’acqua.

Brillavamo nella penombra come tanti re e regine dei disperati mentre il mio sguardo vagava nel porto cercandoti.

Io lo so, domani dirò perché sto qua, perché non posso stare nel nostro paese e poi riuscirò a chiedere di te, di dove sei, in quale campo ti hanno portato, io lo so che qualcuno mi risponderà, perché sentiranno un vago odore di zenzero che vela le mie labbra, capiranno che devo in fretta ritrovare quell’odore.

Accendo un’altra sigaretta, un’auto sfreccia con i finestrini giù e una radio a tutto volume rimbomba frasi di una canzone:

- Dance it’s all I wanna do so won’t you dance

Ma tu dove sei?



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