LA CONQUISTA DELLO SPAZIO E LA SCOPERTA DI NUOVE FORME DI VITA....

LA CONQUISTA DELLO SPAZIO E LA SCOPERTA DI NUOVE FORME DI VITA......

questa volta vi presento una new entry, una giovane ragazza molto brava e molto riservata,
ma che scrive in maniera interessante e che dice cose importanti.
a voi eleonora e speriamo che sia qui molte altre volte
ecco a voi il pezzo:

LA CONQUISTA DELLO SPAZIO E LA SCOPERTA DI NUOVE FORME DI VITA......

Eleonora Campus

Il diritto per tutti a vivere lo spazio pubblico e la propria cittĆ , oggi ĆØ generalmente infranto.

Non tutti hanno la percezione e la cognizione che vivere lo spazio pubblico, corrisponde ad un diritto irrinunciabile che ĆØ stato abilmente sottratto dalle Istituzioni e dai portatori di interessi in generale – soprattutto quelli di mercato - che poco hanno a che fare con i portatori di diritto. Pochi si sono accorti di quel che ĆØ accaduto forse proprio per la mancanza di consapevolezza da parte dei piĆ¹.

Questa ĆØ una violazione generale accaduta tra l’indifferenza: la sua profanazione ha riguardato tutti anche se con livelli di intensitĆ  differenti rispetto alle conseguenze sulle persone.

In particolare, per alcuni ha effetti ancora piĆ¹ forti poichĆ© corrisponde a colpire, escludere e segregare sempre piĆ¹ le persone con disabilitĆ .

Per queste ultime, si tratta di un’indifferenza generale che ĆØ fisiologica a livello culturale. Tuttavia, in questa sede, vorrei ampliare la prospettiva collegando il disinteresse di ciascuno anche alla mancanza di “assimilazione” di questo diritto come tale e, quindi, rivendicabile ed esigibile.

Occorre quindi spiegare da dove nasce il diritto a vivere lo spazio pubblico ma anche i motivi per cui ĆØ stato violato.

Tradizionalmente lo spazio pubblico ĆØ uno “spazio aperto” e legato alla partecipazione politica di “chiunque” lo desideri, dove si discutono questioni al di fuori di ruoli o interessi specifici.

Lo spazio pubblico ĆØ sempre uno spazio aperto e, anche se ha comunque confini definiti da regole, queste devono essere condivise dalle persone di comune accordo, per cui ci si tratta da pari. Inoltre, lo spazio pubblico deve essere collegato con altri tipi di spazio ed deve essere radicato in un luogo fisico.

La sfera pubblica ĆØ quindi uno spazio di libertĆ  e la voce dell’intera collettivitĆ  deve trovare ascolto nelle Istituzioni che la devono garantire attraverso leggi di diritto allo spazio pubblico e quindi, piĆ¹ ampiamente, leggi di diritto di ognuno ad accedere, decidere e vivere la propria cittĆ .

Ma oggi le azioni dell’intera collettivitĆ  non determinano gli avvenimenti di interesse comune perchĆ© determinati spazi di vita pubblica che dovrebbero essere aperti e di libertĆ , presupporre la partecipazione politica , dare accesso e voce a tutti indistintamente, vengono separati dai luoghi pubblici fisici (un esempio di luogo pubblico materiale ĆØ la piazza) e sono o ceduti ai centri commerciali, oppure confusi con gli spazi della socialitĆ  che sono invece organizzati per scopi ed interessi particolari.

Di conseguenza le Istituzioni danno spazi per la socialitĆ  assistita per categorie di welfare che occupano aree e fabbricati ed inoltre, in termini di risorse sono dipendenti proprio dalle Istituzioni.

In primo luogo, in generale, la socialitĆ  assistita trasforma lo spazio pubblico da luoghi di discorso spontaneo a cui tutti possono prendere parte, a luoghi di organizzazione del bisogno sociale dove perĆ² non tutti hanno la possibilitĆ  partecipare: l’accesso ĆØ solo quello di chi li gestisce e degli interessati di quello specifico bisogno.

Questi quindi sono spazi che hanno quasi tutte le caratteristiche della sfera pubblica ma gli manca la “diversitĆ ” delle relazioni perchĆ© si ricerca l’identitĆ  in un gruppo.

Solitamente, il senso di appartenenza, l’identitĆ  ricercata in un gruppo, assume valore positivo quando la base ĆØ il mantenimento delle diversitĆ  culturali dei popoli: portare avanti le proprie tradizioni, la propria lingua ecc.

Ma questo non puĆ² prescindere l’apertura ad altre relazioni con soggetti diversi da quel gruppo.

L’accezione negativa subentra quando chi gestisce questi spazi con scopi speculativi utilizza volutamente e strategicamente la ricerca di questa identitĆ  come uno strumento volto a chiudere le relazioni. La negazione dello scambio e interazione con individui diversi poi, ĆØ dettata da interessi economici settoriali allo scopo di indurre le persone a sentirsi appartenere completamente ad una data categoria a se stante, svantaggiata, separata, posta ai margini e dentro un recinto dal quale fatalmente non potranno uscire. L’autodeterminazione ed integrazione di chi ha specifici bisogni, ĆØ di fatto sottratta dai gestori di un sistema (sia fisicamente che moralmente) a cui queste persone si dovranno affidare senza altra speranza di inclusione che non sia quella governata da questi soggetti.

Per le persone portatrici di diritto, in certi casi, ne deriverĆ  allora sia una segregazione spaziale in luoghi dedicati ma anche una segregazione di natura psicologica che ĆØ altrettanto discriminatoria.

Se infatti in un ambiente fisico si separano le persone da rapporti diversi (con tutti gli altri) e si portano alla convinzione di avere una identitĆ  “da” e “dentro” una categoria, lo stesso avverrĆ  anche fuori da quell’ambiente (spazio specifico della socialitĆ  assistita).

Nel caso specifico delle persone con disabilitĆ  rispetto ai luoghi della socialitĆ  assistita, puĆ² accadere che questi siano gestiti in modo chiuso non solo a livello spaziale interno ma anche a livello spaziale esterno senza nulla rimettere all’autodeterminazione della persona interessata. In tal caso, le stesse modalitĆ  operative “al di dentro” si riproducono anche “al di fuori” attraverso la definizione di attivitĆ  strutturate, eventi decisi e perimetrati, contatti con persone scelte e indicate a monte. Gli spazi fisici della socialitĆ  assistita inoltre, sono da sempre considerati gli habitat naturali delle persone con disabilitĆ .

In questi ambienti a volte sono i “professionisti” e i “gestori” interessati che pongono ostacoli omogeneizzando tutte le persone con disabilitĆ  ossia, non considerandole una diversa dall’altra in termini di inclusione e ruolo attivo nella societĆ  (tipo di disabilitĆ , potenzialitĆ , capacitĆ  e competenze differenti comunque tra una persona e l’altra…. ecc). Oltre alla derivazione di uno stereotipo, se si rientra nell’accezione di persona disabile quello che si pone di fronte ĆØ un destino immutabile e separato poichĆ© (sempre in termini di integrazione) alcuni stabiliscono ciĆ² che ĆØ adatto alla “condizione” propria di disabile in quanto tale.

La mancanza di politiche di inclusione e la presenza di barriere architettoniche poi, determinano un impatto ancor piĆ¹ negativo rispetto ad altri soggetti perchĆ© le difficoltĆ  pratiche che derivano dalla specifica disabilitĆ , corrispondono di fatto ad una becera detenzione.

Ogni spazio “riservato per…” categorie crea separazione e pregiudizio ma ha anche il sapore di una concessione anzichĆ© quello di un’autorizzazione generale e diffusa di accesso e godimento.

Il problema perĆ² risiede, come accennato, anche nell’idem sentire delle persone coinvolte e categorizzate in quanto, l’acquisire esclusivamente un certo tipo di identitĆ  ed appartenenza non le porterĆ  nĆ© a sentirsi normali (come chiunque) nĆ© a ricercare e rivendicare attivamente la normalitĆ  ove sottratta. La loro voce sarĆ  quindi mediata dai gestori e la rivendicazione, nella maggior parte dei casi, sarĆ  sempre quella legata ad una “singola” e specifica esigenza materiale. Riappropriarsi della normalitĆ  e dello spazio come elemento comune e di diritto di ogni individuo (sia moralmente che nell’organizzazione dei luoghi) potrebbe invece portare con se la naturale conseguenza di risolvere a monte molte rivendicazioni materiali negate da un sistema costruito su fondamenta escludenti per alcuni anzichĆ© ideato per tutti.

Ecco allora che se non si parte da una convinzione diffusa di una societĆ  costruita a misura d’uomo, generalmente inteso, i migliori alleati delle categorizzazioni possono diventare proprio i diretti interessati di un dato bisogno, oltre che i separatisti di mestiere e relativa cultura diffusa del “diverso” relegato in uno “spazio dedicato”.

In secondo luogo, lo spazio pubblico ĆØ trasformato e sottratto anche dalle organizzazioni spontanee di quartiere che ambiscono ad entrare nell’ambito decisionale del governo cittadino (con facilitatori professionali).

Ma la sfera pubblica non ĆØ uno spazio di accesso e di decisione settoriale perchĆ© in essa si devono assumere posizioni su questioni di interesse pubblico ossia, di tutti.

In generale quindi, la societƠ civile (socialitƠ assistita, organizzazioni spontanee di quartiere o gruppi) che si attiva spontaneamente , anzichƩ perseguire scopi di partecipazione e azione volta al bene comune (cosiddetta sussidiarietƠ orizzontale art. 118 Costituzione), in realtƠ crea particolarismi e sottrae sfere di decisione e di libertƠ comune.

Lo Stato infatti, demandando le istanze di tutti cittadini all’iniziativa della societĆ  civile stessa - e cioĆØ a soggetti privati che in concreto hanno interessi economici o ricercano un ruolo pubblico - di fatto arretra , abbandona e cede la tutela di certi diritti che invece dovrebbe necessariamente garantire in una posizione “al di sopra delle parti”.

Inoltre, anche ove esistono norme specifiche, queste restano su carta perchĆ© vengono ignorate e rimesse alle leggi di mercato, agli interessi politici ed economici che alimentano e mantengono in vita un sistema, oppure ad opere caritatevoli che fanno sempre parte di determinati circuiti. Oggi, la libertĆ  e la tutela delle persone piĆ¹ deboli ĆØ mercificata sia materialmente che moralmente.

Tutto questo accade per convenienza attraverso il tacito benestare da parte dei tanti attori coinvolti sia Istituzionali (politiche di bilancio) che privati “selezionati” ad arte (lobbies nell'accezione negativa del termine se l'interesse predomina su tutti e tutto).

CiĆ² che dovrebbe essere imprescindibile ĆØ una societĆ  costruita a misura di tutti gli individui.

Gli spazi non possono essere suddivisi in settori ne in termini materiali, ne in termini di relazione. Gli spazi si devono “fondere” cosƬ come le “relazioni”. In questo caso la “diversitĆ ” ha il significato positivo di mescolanza e scambio (non omologazione) e non quello negativo della separazione (strutturazione e omologazione) da supremazia di un dato gruppo di individui su un altro.

Il diritto alla vita e allo spazio pubblico corrisponde sia alla libertĆ  di tutti ad avere relazioni pubbliche aperte, integrate e diverse (non solo dentro una categoria) attraverso la partecipazione ma anche ad avere l’accesso a luoghi comuni ed un ruolo attivo, come protagonisti e decisori con pari opportunitĆ .

Per mia deformazione caratteriale, ritengo che occorre partire dalla consapevolezza che siamo in uno Stato di diritto e di tutela per tutti e non in uno Stato appannaggio solo dei piĆ¹ forti o di chi ha specifici interessi. Lo Stato siamo noi tutti: ricordare questo ĆØ il primo passo.

Il secondo passo ĆØ quello di allargare il raggio della conoscenza dei diritti che sono anche quelli universali, non solo quelli materiali: la libertĆ  di ognuno ĆØ da considerarsi tale nella misura e nel limite della condizione e della libertĆ  del prossimo (libertĆ  di vita e di accesso oltre a quella naturalmente intesa su determinati principi di rispetto di norme prescrittive).

Il terzo passo ĆØ tenere ben presente che ogni individuo ĆØ diverso dall’altro e la diversitĆ  ĆØ una ricchezza. Ognuno di noi non puĆ² dire di avere in comune qualcosa con qualcun altro per presa di posizione o condizione: nell’universo mondo le persone sono affini od opposte ma si riconoscono per intelligenza, sentire e perchĆ© no, anche “chimica”. Ma non si riconoscono certo per pre-determinazione da condizione (qualunque essa sia) o strutturazione di ambienti e rapporti.

Una societĆ  omologata, fatta a misura solo della maggioranza, ĆØ piatta, senza stimoli ne confronto.

Non potrĆ  mai essere una societĆ  migliore, evolutiva: imploderĆ  su se stessa, anzi “arretrerĆ ” inevitabilmente anche su poche cose acquisite.

Il quarto passo ĆØ considerare la “normalitĆ ” una accezione propria di ogni individuo: normalitĆ  ĆØ tutto. La condizione ĆØ un elemento oggettivo che nulla ha a che vedere con la natura di persona umana in quanto tale e come tutte le altre.

Il quinto passo ĆØ ricordarsi di essere “soggetti” attivi e non “strumenti” passivi di qualcun altro.

L’ultimo passo ĆØ quello di riappropriarsi (i piĆ¹) o conquistarsi (i meno) a gran voce il diritto alla vita e dello spazio pubblico sottratto.

La modalitĆ  sarĆ  quella di prendere consapevolezza di quanto ĆØ accaduto e sta accadendo, non farsi ingannare dalle politiche di sussidiarietĆ  (di fatto fallite) perchĆ© lo sgretolamento dello Stato centrale ha portato a nuove forme di prevaricazione anzichĆ© di tutela, chiedere la possibilitĆ  per ognuno di decidere ed essere protagonista del proprio destino (in ogni luogo) attraverso la partecipazione aperta e mista (e il voto di preferenza dato che lo Stato siamo noi), l’accesso, l’interazione diretta e la RIAPPROPRAZIONE di valori morali e diritti sottratti. Da qui potrĆ  iniziare anche una nuova cultura di integrazione e societĆ  inclusiva poggiata su valori universali e condivisi. Ma se manca alla base la consapevolezza sia di ciĆ² che ci ĆØ stato sottratto, sia del guardare oltre il proprio specifico bisogno accettando per convincimento o sfinimento le vecchie e nuove forme di prevaricazione o segregazione, non si andrĆ  molto lontano. Non potrĆ  esserci alcun cambiamento. Forse anche in questo caso occorre considerare l’etica come elemento fondante e perso nel conformismo e nella natura umana poggiata di fatto (al di la delle parole di facciata) su una logica di dominio gli uni su gli altri, anzichĆ© sulla condivisione e sul bene comune

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