Questa settimana Rosa Mauro ci accompagna nel pianeta sanitario e con l'occhio della persona che necessita delle cure analizza le varie professionalita' e questa settimana dal suo punto di vista gli infermieri
Se i medici fossero infermieri
Ultimamente se ne fa un gran parlare.
Di norme, di codici etici, di regolamenti per gli ospedali.
Per i disabili relazionali, per i ciechi.
Come se fossimo diversi dagli altri, sopratutto come se il problema non fosse lo stesso per disabili e cosiddetti normali.
L'attenzione all'individuo, alla sua sofferenza, alle sue peculiarità e caratteristiche, non dovrebbero essere applicate solo a chi ha determinate malattie, ma a tutti i pazienti che passano da un pronto soccorso o da un ambulatorio medico.
Io la ricordo ancora, la voce piangente della mia amata "tata" , che poi scoprì di avere la sclerosi multipla, che mi diceva quanto si era sentita umiliata facendo l'elettromiografia.
Si era lamentata che le mani le facevano male, e il medico, brusco, tanto lei con quelle mani che ci deve fare? impastare la pasta?
Quale norma violava quel medico, e quanto male erano riuscite a fare quelle parole di disprezzo nei confronti di una donna che aveva sempre dovuto lavorare per vivere?
Personalmente, non so se mi trovo d'accordo, a normativizzare il rapporto medico paziente, e a dare valore assoluto ai codici.
Le norme vanno bene, ma i corsi non servono se manca quell'indispensabile bagaglio umano che spesso i medici non possiedono per un semplice motivo: questo ruolo, di bagaglio umano e di condivisione emotiva e fisica con il paziente, ce lo hanno gli infermieri, sopratutto negli ospedali.
Una scena che ho vissuto personalmente in passato e che so avviene regolarmente negli ospedali, è questa: il medico, algido nel suo camice bianco e spesso con codazzo di altri camici bianchi più giovani, passa tra i pazienti dando una occhiata, a volte fugace, alla cartella clinica. Scrive in cartella le terapie e passa oltre, non conoscendo nemmeno il nome, ma solo il numero di cartella e la presunta patologia dello stesso.
Poi i pazienti sono appannaggio esclusivo degli infermieri: loro controllano e somministrano la terapia, assistono agli effetti collaterali dei farmaci, se non sono troppo impegnati si fermano a parlare con il paziente.
Loro spesso, sopratutto i migliori, ne sanno i nomi, le abitudini, il carattere.
Loro conoscono i familiari o invece la solitudine che li avvolge, loro cambieranno il letto il giorno che quel paziente se ne andrà , guarito o… non guarito.
Loro, nella notte, assistono all'urlo, che è sempre di angoscia, dei campanelli suonati con rabbia per quel dolore che non se ne vuole andare, di qualcuno che magari sa che esso scomparirà solo con lui.
Loro portano il pranzo, osservano magari in silenzio che quel paziente mangia meno o di più.
Loro, sempre loro ascoltano in silenzio il battito di un cuore che muore, e che sia un bambino, un adulto, un giovane per una lunga malattia o un breve incidente, non importa.
Sono gli infermieri che lo ricorderanno quel battito.
Nelle malattie croniche, gli infermieri costruiscono un rapporto che aiuta il paziente a superare il dolore e la fatica del trattamento.
Una volta vidi un film in cui un medico divenuto paziente, acquisisce finalmente quella indispensabile empatia con i pazienti che gli era mancata fino ad allora e diventa un medico migliore.
Ma non serve arrivare a tanto: basterebbe che, per una volta all'anno, o al mese, i medici facessero gli infermieri, i portantini, e via discorrendo.
Basterebbe che toccassero le carni di un paziente per mettere un catetere, osservassero più volte al giorno gli effetti di una terapia troppo forte, ascoltassero dialoghi tra genitori e figli, non necessariamente con il figlio al capezzale di un genitore.
Lavassero le piaghe da decubito di allettati cronici, sentendo sotto le mani, come non fanno quando passano in camice bianco, la fragilità del corpo umano.
Istituiamo la giornata dell'infermiere, ma sul serio, un giorno in cui i medici si prestano a fare tutti quei lavori che costituiscono l'anima di un reparto.
E sopratutto, un giorno da infermieri convincerebbe forse quelli che tra questi ultimi sono stanchi , demotivati, incattiviti, quanto sia importante il loro lavoro, perché lo ricorderemmo noi, la gente, e i loro superiori.
Un medico bravo deve anche saper cambiare un catetere, e sopratutto, deve poter convincere l'infermiere dell'importanza di questo atto, di tutti gli atti che comportano una relazione con un essere umano sofferente.
Perché ognuno ha il suo ruolo che deve essere riconosciuto e ricordato, in un giorno, in alcune ore, in una forma che sia visibile anche per chi lo ricopre, giorno per giorno, magari per anni.
Come succede per gli infermieri, che hanno un compito essenziale, l'ascolto delle esigenze di un essere umano come loro, nel momento del bisogno.
Che ricordino che quando lavano un paziente non è una incombenza da sbrigare in fretta e faticosa, ma un momento di contatto intimo che richiede tutto il loro tatto e la loro empatia per renderlo sopportabile.
Invece di mostrare sempre il grande professore che spesso nemmeno vedi, mostriamo la sua capo sala che assiste tutta quella gente in cerca di un miracolo che magari non lo sarà .
Se i medici potessero essere, per un giorno, dei bravi infermieri, ne uscirebbero medici migliori, di certo, e le norme passerebbero dalla carta alla prassi, come dovrebbe essere.
Che il paziente sia diversamente abile o non lo sia, non fa la differenza e non dovrebbe farla.
ogni individuo è unico e come tale va trattato, rispettato e curato.
La sinergia di medici e infermieri , in un ambulatorio come in un ospedale, anzi, sopratutto in quest'ultimo, richiede competenza e conoscenza reciproca, per permettere alla sanità di essere quell'aiuto al malato che ne costituisce il nucleo.
E infermieri e medici hanno bisogno del rispetto reciproco per farlo, questo rispetto nasce anche dalla corretta informazione del ruolo nel mondo dove operano, informazione che spessoè ostacolata dalla fretta, dal carico di lavoro, e dalla incomprensione reciproca.
E non ci sarà più bisogno di ricordare norme firmate e mai applicate, perché l'ospedale divenga un luogo di cura e non di sopravvivenza.
Rosa Mauro
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