Piero C. e la marcia di Radetzky


di Natty Patanè



sottofondo musicale consigliato: "Love is all around" - The Troggs


    Gli effluvi del caffè appena tostato si insinuavano tra i mascheroni barocchi dalle bocche digrignate nell’immane sforzo di reggere i balconi di pietre laviche.
     Sembrava che il sole fosse riuscito improvvisamente a proiettare i suoi raggi sulla sommità dei palazzi. La città affrontava un nuovo giorno, Sebastiano anche.

-         -  Stanotti a muntagna sunava! -
   Una voce sulla via che si apre verso il duomo, i capelli gonfi di lacca sormontavano una maglia multicolore sui jeans con una zampa spropositatamente larga.

   Sebastiano camminava incurante e attento a seguire il percorso immaginario tra i lastroni basaltici della strada, buchi, avvallamenti, macchie, si animavano nella sua mente e parlavano di cose semplici, di vite serene, di cose che lui conosceva poco.
-          
              - Con la testa in alto devi camminare, come camminava tuo padre -
   Gli ricordava il nonno, ma Sebastiano non ci riusciva, era troppo importante seguire il filo della fantasia, rincorrere le figure che si materializzavano, le immagini di case, di sorrisi.      Assorto oltrepassava il benzinaio dove ogni tanto gli comprvaano qualche modellino di auto.
   Corso Umberto si apriva austero, svuotato dal “passeggio” della domenica pomeriggio, i bar sfornavano brioche col tuppo sistemando i pozzetti colmi di granite, le auto dimenticavano in fretta le giornate di austerity.

       - Tra poco cominceremo a mangiarla la domenica mattina -
  Gli disse il nonno accortosi del suo sguardo mentre una Diane molleggiava morbida sull’asfalto.
   Sebastiano annuì e continuò a giocare con le ombre e i solchi del marciapiede era proprio come quando qualcuno lo accompagnava alla Villa Belvedere e, prima di spezzettare “‘nciminatu” ai cigni, insieme cercavano i pezzi di marmo che a mosaico formano un pinocchio, tasselli che si ergevano a forme nuove.
   Un rapido saluto al nonno e le scale rapide lo inghiottivano portandolo alle classi, ognuna separata dalle altre da pareti di spesso vetro.
    Il cortile si apriva assolato e Sebastiano sapeva che li aspettava per le noiosissime prove di coreografie astruse sulle note della marcia di Radetzky.
    Terzo banco della prima fila, mentre si sedeva arrivava anche Piero che gli sorrideva sotto i suoi occhiali dalle aste dorate e lo salutava con quel suo accento strano che presto lo avrebbe riportato a Bari. Piero gli raccontava sempre di giochi di bimbi e continua ad invitarlo a casa sua, ma, malgrado la sua enorme voglia, Sebastiano non lo diceva neanche a casa imparando già da allora l’arte del far silenzio quasi a non potersi permettere di voler bene.
       - Nel ’74 siamo! -
   Esclamò sorridendo una maestra nel corridoio.

  Negli anni, il cognome, a quel tempo così strano, di Piero, diventò sempre più comune, diluendosi nel silenzio da cui riemerse, così per caso, urlato da due ragazzini che si inseguivano sul lungomare di quella Bari un tempo così lontana e sconosciuta.


   Ma nel ’74 i nomi erano silenziosi e si sperdevano tra la cera per pavimenti e le note della marcia ripetuta ossessivamente sotto il sole di metà maggio. 

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