di Natty Patanè
Sottofondo musicale consigliato:
Hotel California – Eagles
In the lonely hour – Sam Smith
November rain – Guns n’ roses
Si era fermato dietro i vetri,
guardando, non visto, le sagome. Gli tornò in mente il pomeriggio, il centro
commerciale e il negozio dove cercando un foulard si era imbattuto in una
strana signora. Aveva circa ottanta anni, piccola, con morbidi ricci bianchi che
mettevano in risalto degli immensi occhi resi ancor più grandi dalle lenti
degli occhiali, si guardava allo specchio sorridendo, poi gli aveva rivolto la
parola:
- Lei è siciliano? –
- Si –
le aveva risposto garbatamente,
mentre lei, scuotendo piano la testa se ne era uscita con un:
- Non ci credo, non può essere –
Per un istante ebbe paura di
dover riconquistarsi la sua appartenenza, come se quella sensazione di
necessità di riappropriarsi del proprio passato, quella sensazione che lo
accompagnava sempre nei sui rientri sull’isola e che quella volta pulsava ancor
di più, potesse nascondere un qualche cambiamento, quasi fisico, che gli altri potevano
notare, come una strana patina che lo colorava dei colori del continente
sbiadendo quelli isolani. Ma durò poco, perché quella stava già parlando con Greta, aveva voltato le spalle allo specchio
- Signorina non mi posso guardare allo specchio che mi viene
da ridere! –
Diceva in preda all’ilarità
- Lei non si preoccupi, guardi dall’altra parte –
Fece in tempo a dire Greta prima che
una signora si avvicinasse e dolcemente dicesse
- Mamma vieni dobbiamo andare –
Dietro il vetro della sala si
sentiva un po’ come se guardasse qualcuno che gli somigliava ma che non era lui
e la somiglianza gli rendeva la cosa più buffa e gli faceva venire da ridere.
- È meglio entrare – si disse
In realtà oltre la vetrata si
apriva una terrazza che perdeva lo sguardo sul mare e le luci delle frazioni
marinare.
- E tu chi sei? –
Nella penombra solo la voce lo
aiutò a capire che Laura non lo aveva riconosciuto
- Abbiamo lo stesso cognome e neanche mi
riconosci? –
- Sebastiano! Sei tu certo! –
Intorno alcuni volti
assolutamente riconoscibili, altri più cambiati dagli anni.
Un sottile cuneo tra mare e il
cielo ferito da un segno rosso incandescente di lava si aprì nel tempo e in
pochi istanti Sebastiano ci scivolò dentro, trascinandosi dietro i compagni di
classe.
Scivolava come quando si
lasciavano andare su buste di plastica sulla neve etnea.
Prese per mano la sua amica
Elettra memore dei loro trascorsi che li avevano visti attraversare insieme
elementari, medie e liceo, chiusero gli occhi e sulle immaginarie pareti
rividero gli anni.
Scivolava, seguito da insegnanti,
ingegneri, finanzieri, carabinieri, impiegati vari, medici e fu come un
ritrovarsi nell’autunno del 1982, illuminati dalla notte e dalla bellezza dei
loro 17 anni.
Galleggiavano nell’aria facce, frasi, fotografie che a turno
afferravano.
Ora Giada con i suoi occhi ancor più luminosi di un tempo che
sembrava appena uscita da un film romantico, bella e splendente.
Ora Dario, con
gli occhi che si stringevano mentre sorrideva, che aveva lasciato sul tavolo il
suo arrosto.
Una frase per Giuseppe.
Una foto tra le mani di Carmelo.
- E Simone? Quando arriverà Simone? –
Si chiese Sebastiano, ma fu un
attimo e poi continuò a farsi trasportare vorticosamente, era come uno di quei
videogiochi che suo figlio giocava da piccolo, nei quali il protagonista si ritrova
su un carrello di miniera che corre, corre e non si sa dove va.
Vicina Gladis, un abbraccio, gli
stessi occhi venati di tristezza dietro gli occhiali e la sincera felicità di
rivedersi dopo le personali traversie.
Durò qualche ora la traversata
del tempo, interrotta dalla foto di gruppo come quei due anni in cui la loro
classe fu bloccata in immagini.
Durò qualche ora e dimenticò
vecchi screzi portando alla luce solo la vitalità di un gruppo ancora intatto
nella voglia di ridere e vivere.
- Uguali, mi sembra di risentirci esattamente come
eravamo –
Disse Sebastiano chiudendo per un
attimo gli occhi e concentrandosi sulle voci che gli apparvero
straordinariamente identiche, come se fossero solo camuffate da quei volti che
ritrovava con qualche difficoltà dopo trenta anni.
Poi rivide l’irrequietezza di
Carlo, sempre in moto, e del quale rivedeva quel suo improvviso mettersi il
pollice in bocca, ci scambiò qualche frase, breve, come quelle dette sulla
vespa ormai ridotta a rottame.
- Adesso andiamo tutti in piazza dello stadio –
Quando Giada li chiamò si rese
conto che da un pezzo era passata la mezzanotte e non si era assolutamente
reso conto.
- Che andiamo a fare li? –
Chiese senza aver risposta
Risalì in macchina con Elettra,
sorridenti. Si diressero verso il chiosco della piazza, famoso per le bibite
fatte con il seltz e gli sciroppi multicolore.
L’indomani sarebbe ripartito,
forse per quello, forse per le lunghe chiacchierate di quei giorni che lo
avevano aiutato a rimettere qualche frammento della sua vita nei giusti posti, si sentì improvvisamente esausto e triste, il cd che aveva in macchina non lo
aiutava con la voce soul emergente che lanciava parole di solitudine, fortuna
che arrivarono presto e neanche il tempo di chiedersi per bene cosa sentisse che
Giada gli porse un bicchiere colmo di bollicine verdastre
- Mandarino –
E sorrise, ancora una volta
- Non potevo essere diverso, Giada, mi dispiace
veramente –
Avrebbe voluto dire, ma era conscio che non era il posto adatto inoltre Giada adesso sapeva, e aveva capito e,
forse, lo aveva anche scusato.
Il cielo era ovviamente stellato.
La piazzetta era ormai un parcheggio con basole laviche dove prima il cemento
gli aveva permesso lunghe partite a pallone con gli amici.
L’estate si avviava
a vivere i suoi giorni più intensi, Sebastiano, probabilmente, ne aveva già
vissuti di splendidi.
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