CAREGIVERS CHI SONO


ROSA MAURO CI ACCOMPAGNA NEL MONDO DELLA DISABILITA' MA ATTRAVERSO
LE PERSONE CHE SI PRENDONO CURA DEL DISABILE. I FAMOSI CARGIVERS, SPESSO SEMPLICEMENTE GENITORI, FRATELLI E CONIUGI




                                                      Caregivers: chi sono?


 


Qualcuno ne avrà sentito parlare, altri ignorano l'esistenza di questo termine: eppure dietro la parola caregiver c’è il “lavoro “ più vecchio del mondo: quello di colui, o coloro, che forniscono la cura.


Tutti li abbiamo incontrati, basta aver visto una mamma con un bambino, un fratello con una sorella piccina che la alimenta, un marito o una moglie che accudisce il coniuge.


E tutti siamo stati oggetto di cure, nel momento del bisogno.


Alla nostra nascita, senza le cure genitoriali saremmo semplicemente morti: il piccolo dell’uomo nasce privo di ogni risorsa, bisognoso in ogni cosa dalla madre e dalla struttura familiare per mesi, anzi per anni.


Non mangia da solo, non deambula, non è in grado di provvedere ai suoi bisogni: senza cura, non ci sarebbe futuro.


Il caregivers dunque esiste da quando è nato l’uomo, anzi non è nemmeno tipico dell’uomo, anche se le cure che gli animali prestano ai cuccioli sono inferiori.


Esiste colui che cura ogni volta che stiamo male, ed abbiamo bisogno di assistenza e di supporti farmacologici e medicali per vivere.


Vi sono dei periodi della vita in cui si è una minoranza fortunata se NON si ha bisogno di caregivers: per esempio durante l’invecchiamento e la vera e propria vecchiaia.


Un tempo, la cura non dipendeva unicamente dalla famiglia ristretta: le comunità avevano una struttura solidale che permetteva ai familiari di cedere la cura ad altri familiari o a conoscenti.


Oggi non è più così: le famiglie in una città sono sempre più sole ed isolate, e la cura di un bambino o di un anziano, di un malato o di una persona con disabilità, viene derogata alla sola famiglia, spesso ad un solo famigliare, quello che, più o meno spontaneamente, si sacrifica a questo scopo.


 


E’ il caso dei familiari di una persona con disabilità, spesso lasciati soli da istituzioni e dal gruppo sociale che non ritiene di dovere accettare chi non cammina, non vede o non ragiona come gli altri, come membro attivo della società.


Ma la figura del caregiver è davvero la soluzione migliore?


La risposta non è così semplice.


Le esigenze della vita di una persona con disabilità cambiano con l’età e ciò che era cura legata alla famiglia in età infantile deve diventare possibilità di apertura sociale e psicologica in età adulta.


Un bambino cieco o che non cammina, lasciate che usi questi termini invece di non vedente e non deambulante, ha sicuramente bisogno di aiuto da parte dei genitori nella vita quotidiana, ma gli stessi genitori, i caregivers per eccellenza, devono agire in modo da promuoverne l’autonomia e l’indipendenza, anche attraverso gli ausili tecnologici.


E anche se la persona non diventerà mai completamente autosufficiente, questa realizzazione infatti dipende dal grado di disabilità, di capacità di comprensione del mondo e via discorrendo,  comunque evolve e diventa un membro dello stato sociale, e non una specie di allegato della sua famiglia di origine, di suo padre, di sua madre, di suo fratello.


Il caregiver, che dovrà esser valutato e aiutato nella sua evoluzione nel tempo, non può e non deve sostituirsi né alla persona che assiste né alla società di cui entrambi fanno parte.


La società può e DEVE riconoscere ai caregivers agevolazioni come il prepensionamento e i contributi in caso non lavori, ma DEVE anche occuparsi della persona con disabilità, che è un soggetto e non un oggetto.


Come farlo?


I mezzi ci sono, basta applicarli nella maniera corretta, controllare anche a livello psicologico la coppia disabile/ caregiver , con visite a casa da parte di uno psicologo che non diventino mera routine, somministrazione di questionari o turnover che non permettono una visione continuativa della realtà in cui vive questa coppia particolare.


Bisogna favorire la vita indipendente dove e quando possibile, e il meglio possibile.


 Elaborare piani individuali per migliorare la qualità di vita della persona con disabilità.


Fare corsi di aggiornamento per approfondire e migliorare le competenze sulla disabilità, sul modo migliore per relazionarvisi, sulla accettazione dei limiti.


E naturalmente la persona con disabilità deve rimanere persona, con un ruolo sociale, con la possibilità di mantenere una cerchia di interessi che va al di là della mera sopravvivenza.


Il caregiver è un anello della più ampia struttura sociale, non una sostituzione di essa.


Le nuove tecnologie in questo possono aiutare, dove non c'è la possibilità di uscire ora si potrebbero creare comunicazioni sostitutive, che aiutino entrambi, caregiver e assistito, a non rimanere soli.


Corsi on line, conferenze in skype, gruppi social possono essere attivati anche dal servizio pubblico per aiutare nella costruzione di una cura più vasta.


Dove l'amore e la capacità di una madre, di un padre, di un fratello o di un coniuge siano davvero integrati in una forma costruttiva di supporto alla persona con disabilità, e non l'inizio di una prigione a due che caricherebbe il caregiver di compiti non suoi.


Più di una volta ho sentito genitori o parenti parlare della loro vita come di una schiavitù senza soluzione.


Nella nostra società, questa dichiarazione è inaccettabile.


Caregivers, non nuovi schiavi!


 


Rosa Mauro

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