ARTE FIERA BOLOGNA 2017 IL DECLINO CONTINUA

IL NOSTRO INVIATO SPECIALE SAURO SASSI CI RACCONTA ARTE FIERA 2017 A BOLOGNA, TRA ASPETTATIVE TRADITE E DELUSIONI

ARTE FIERA 2017 A BOLOGNA: IL DECLINO CONTINUA


Arte Fiera di Bologna è la più antica delle fiere d’arte italiane: infatti la presente è la quarantunesima edizione. Una volta le fiere d’arte in Italia erano due: Bologna e Bari. Si diceva che Bologna coprisse il centro-nord e Bari il sud. Poi Bari chiuse e rimase Bologna. Ci si chiedeva come mai una città che non brillava tanto nella scena dell’arte (fatta eccezione per alcune gallerie come La Loggia, De’ Foscherari, G7, poi Forni), i cui artisti più rilevanti emigravano (Vacchi, Calzolari, Cremonini, Adami) potesse detenere il primato in fatto di fiere d’arte.  La cosa dipendeva soprattutto dal fatto che la posizione geografica della città era strategica: era servita da linee ferroviarie che la collegavano bene ed economicamente (prima dell’alta velocità) a tutta l’Italia e questo consentiva quella partecipazione ampia di visitatori che ha costituito il punto forte della manifestazione. Questi visitatori erano, per lo più, appassionati d’arte che, visti i limiti educativi delle nostre scuole e le politiche culturali delle nostre istituzioni, non erano particolarmente aggiornati sulla scena più innovativa, italiana e internazionale. Amavano l’arte più riconoscibile e meno intrigante: Guttuso, il tardo De Chirico, magari gli informali che, per definizione, non bisognava capire ma trovare più o meno in tinta con l’arredo di casa. Insomma, gli “amatori” si sentivano rassicurati dal trovare sempre più o meno i soliti nomi; quelli che potevano permettersi di spendere parecchio cercavano, a loro volta, nomi già ben conosciuti. Così, ad esempio, si proponevano gran quantità di Schifano, contribuendo a inflazionare e declassare un artista ottimo ma (anche per sue ragioni) iperproduttivo. Comunque Bologna ha mantenuto un ruolo centrale in Italia e i tentativi di istituire in altre città, a più elevato tasso artistico e finanziario, fiere alternative non sono riusciti. Così hanno fallito Firenze, Venezia e persino Milano. Il mercato dell’arte italiano è comunque sempre rimasto un fenomeno locale, che non poteva certo confrontarsi con le grandi fiere internazionali, a partire da Basilea, Colonia, fino a Parigi, Madrid e, in tempi più recenti, Londra.
La vocazione locale della fiera dell’arte di Bologna ha sempre fatto sì che le partecipazioni di importanti gallerie straniere fossero quasi nulle. Inoltre si è persa nel tempo anche la sezione dedicata alla grafica, che permetteva comunque, ad appassionati non abbienti, di accedere ad artisti di livello Ci sono comunque in Italia importanti gallerie che poco hanno da invidiare alle maggiori internazionali e che solitamente convenivano a Bologna. Negli ultimi anni gran parte di queste gallerie hanno dato defezione, per i costi elevati degli stand e per il non ritorno della proposta di opere e artisti che, evidentemente, i collezionisti locali non intendono premiare. Inoltre è sorta una fiera, Artissima, a Torino, espressamente dedicata all’arte contemporanea (Bologna ha sempre giocato sulla distinzione tra moderno e contemporaneo) che, in una città che ha deciso di sostituire la sua antica vocazione industriale con quella di centro artistico e culturale, ha decisamente strappato a Bologna il primato in questo settore. Per contro sono sorte una miriade di fiere dell’arte in varie città italiane che, proponendo spesso opere e gallerie di non grande livello ma offrendo stand a prezzi stracciati e con una politica di mitigazione del costo dei biglietti di entrata (quest’anno l’accesso ad Arte Fiera costa 25 euro), hanno pure contribuito ad aumentare la concorrenza. Nelle quattro edizioni precedenti la direzione della fiera era stata affidata a Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti: bravi professori, ottimi conoscitori ma non grandi organizzatori, evidentemente non in possesso delle relazioni internazionali per tentarne il rilancio. Sono arrivati al punto di proporre, penso per disperazione, una sezione dedicata all’arte dell’Ottocento, che si è rivelata, come non poteva non essere, un grande flop.  La direzione della Fiera di Bologna ha quindi deciso quest’anno di conferire il compito del rilancio ad Angela Vettese, famosa critica d’arte, divulgatrice (autrice di un celebre libro intitolato “Capire l’arte contemporanea”), docente, già direttrice della Galleria Civica di Modena, poi presidente della Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia e, per breve periodo, Assessore alla Cultura del Comune di Venezia. Insomma, un nome che dava garanzie di competenze e capacità di innovazione.
Ciò detto, il risultato della sua prima Arte Fiera mi pare del tutto deludente. Non si è arrestata l’emorragia delle più importanti gallerie italiane (salvo poche eccezioni, come Continua di San Gimignano o Lo Scudo di Verona, che peraltro non sembrano proporsi al meglio di opere e artisti). Costante la presenza di Tornabuoni di Firenze, Mazzoleni e Biasutti di Torino, Blu di Milano coi loro grandi artisti storici. Le gallerie bolognesi non ci sono tutte. Girando gli stand si notano miriadi di Burri, Melotti, Fontana ma pochissimi dei più importanti artisti contemporanei. Giustamente ridimensionata la Transavanguardia, anche l’Arte Povera non pare adeguatamente rappresentata. E non c’è nulla dell’attuale panorama internazionale, compresi i pochi italiani che ne fanno parte (e la signora Vettese lo sa). E’ presente molta fotografia ma i nomi sono sempre gli stessi: Ghirri (grandissimo ma super inflazionato), Giacomelli, Basilico, Jodice…). Insomma, poco di nuovo e stimolante, molto per appagare la pigrizia intellettuale di chi ama riconoscere i soliti nomi. Grandi spazi per Vip de noaltri, con vendite di Champagne con patatine fritte (solo 15 euro un flute!). Unica cosa positiva,  i due corridoi che ospitano gli stand sono spaziosi e permettono di muoversi e vedere le cose abbastanza agevolmente (anche se certe sculture in ceramica di Leoncillo, alte e strette, sembrano solo attendere il piede o la mano dell’incauto che le abbatta). Naturalmente c’è un programma culturale, come le conversazioni, che si chiamano “Talks”, gli “Special Projects”, le “Site Specific Artist Lectures”, e altre amenità di cui la denominazione in lingua inglese mira a nascondere l’esiguità artistica e culturale. All’esterno, ovviamente una miriade di iniziative, alcune buone, altre meno, nessuna imperdibile, comprese le letture performance che piacciono tanto alla signora Vettese, perché forse le ricordano anni migliori.
Comunque io non ho alcun malanimo verso Angela Vettese, la trovo anzi simpatica e molto competente, ma ritengo che abbia ancora molto da lavorare per cercare di portare la Fiera dell’arte di Bologna ad un buon livello nazionale ma soprattutto internazionale. Speriamo di rifarci con la prossima Biennale di Venezia.

Sauro Sassi



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