SAURO SASSI QUESTA VOLTA ESPLORA LA FOTOGRAFIA SVELANDOCI UN AUTORE E LE OPERE CONTENUTE NEL BELLISSIMO SANTUARIO BOLOGNESE DI VIA CLAVATURE 10, POCO CONOSCIUTE DAI BOLOGNESI STESSI.
NINO MIGLIORI, IL MAGO.
FOTOGRAFIE AL COMPIANTO SUL
CRISTO MORTO DI SANTA MARIA DELLA VITA A BOLOGNA
Di solito noi bolognesi, se riceviamo la visita di
conoscenti che non hanno mai visto la città, ci riserviamo due luoghi dove
siamo sicuri di stupire e di suscitare sicura ammirazione: la piazza di Santo Stefano, con le sue chiese e Il Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell’Arca, nella chiesa di Santa Maria della Vita. Magari i nostri amici hanno letto o sentito
parlare di Santo Stefano ma
solitamente non sanno nulla del Compianto.
Il nome di Niccolò dell’Arca non
ricorre con grande evidenza nei manuali di storia dell’arte: ricordo che viene
chiamato dell’Arca perché realizzò
la cimasa dell’arca di San Domenico, che ospita i resti del Santo, nella
chiesa omonima, sempre a Bologna, alla cui realizzazione concorsero, in diversi
periodi, Nicola Pisano e anche, per
alcune statue, il giovanissimo Michelangelo.
Una delle ragioni per le quali Niccolò, attivo nella seconda metà del 1400, non assurse a larga
fama fu che lavorò molto con la terracotta, materiale considerato meno nobile
del marmo. A lui si rivolse la confraternita dei Battuti Bianchi per la realizzazione di un gruppo di figure in
terracotta policroma a grandezza naturale, che illustrassero il pianto della Madonna, delle tre Marie, di
San Giovanni l’apostolo e di Giuseppe d’Arimatea sul corpo del Cristo morto.
Niccolò realizzò un’opera che,
dicono gli storici dell’arte, non ha simili nel panorama italiano dell’epoca e
nemmeno delle successive. La cosa formidabile e inusuale è la drammaticità delle figure femminili,
una potentissima carica espressionista che richiama l’arte del nord Europa. Il
dolore viene gridato, viene meno la misura classicheggiante, composta, delle
opere dei grandi artisti italiani tra Quattrocento e Cinquecento. Chiunque veda
il Compianto viene fortemente
coinvolto ed emozionato e ne serba un indelebile ricordo.
Ora una delle grandi opere bolognesi del passato
incontra un grande artista bolognese del presente, il fotografo Nino Migliori. Migliori ha novant’anni, inizia a fotografare poco più che
ventenne, dopo la guerra, e non può non aderire a quel rinnovamento artistico e
culturale che fu il neorealismo.
Anche la fotografia si occupò di documentare la vita sociale, il lavoro, i
luoghi e le situazioni più degradate, che non erano solo il sud ma, ad esempio,
il Polesine. I modelli erano Cartier
Bresson, Paul Strand, Walker Evans.
Migliori produsse ottimi reportage,
dove indagava anche la vita quotidiana della sua città, cercando immagini più
segrete, intime. Il risultato più famoso della fotografia, per così dire,
realistica di Migliori fu “Il tuffatore”,
immagine che è entrata in tutti i manuali di storia della fotografia italiana.
Parallelamente però, da subito, Migliori ha cominciato a sperimentare: sul mezzo: la macchina fotografica, i vari modelli, la Polaroid; sul materiale: la pellicola; sulle tecniche di stampa: le emulsioni, i
supporti; sull’immagine, che si può
manipolare, rendere astratta. E non si è mai fermato, non ha mai perso la
volontà di cercare cose nuove, di mettere in discussione l’oggettività presunta
del linguaggio fotografico. La sua vasta cultura artistica affonda su due basi:
da un lato le avanguardie storiche, Duchamp e, nel campo più strettamente
fotografico, Man Ray, Moholy Nagy,
ma anche l’italiano Bragaglia;
l’altro elemento che ha influito sulla sua formazione è il clima culturale che
ha caratterizzato l’arte degli anni cinquanta: l’Informale in Europa e l’Action
Painting negli USA. Questi movimenti tendevano alla negazione o a una forte
deformazione dell’immagine (De Kooning),
alla prevalenza del gesto (Pollock)
e del segno (Tobey) e, soprattutto
in Europa, a una sperimentazione sulla materia (Burri, Dubuffet).
Elaborando tutti questi elementi Migliori,
il cui desiderio di sperimentazione non può non accomunarlo anche a un altro
artista mago, Bruno Munari (anche per il desiderio di
lavorare con e sulla creatività dei bambini), iniziò un percorso che, partendo
dal segno, dal gesto, dalla materia prese molteplici ramificazioni: Pirogrammi (bruciare l’emulsione della
pellicola, ben prima delle Combustioni di Burri), Ossidazioni, Cellogrammi (uso
di cellophane come negativo per la stampa), Idrogrammi (stampa del disegno di gocce di liquido tra due
vetrini), Ricerche spaziali, Solarizzazioni, Clichés verres, Stenopeogrammi,
Herbarium (utilizzo di foglie e parti
vegetali), Bleaching …. Non si
riescono ad elencare tutte le modalità attraverso le quali l’artista si è
confrontato con l’immagine e la materia. Ultimamente sembra desideri nuovamente
confrontarsi con la storia dell’arte, andando però, come suo solito, oltre la
normale rappresentazione o reinterpretazione delle opere del passato. Così, in
un lavoro intitolato “Cruor, elegia della carne”, entrava in alcuni macelli
fotografando con Polaroid le carni di animali con coaguli di sangue, pezzi di
osso, intervenendo poi nel processo di formazione delle immagini per renderle
più scure, inserire segni, poi scansionarle e ristamparle in grande formato. Il
risultato, di grande resa drammatica ma anche di crudelissima bellezza, non poteva
non rimandare alle immagini di macelleria di Annibale Carracci, Rembrandt,
Soutine, Bacon, fino a Damien Hirst.
Poi ha voluto confrontarsi con la scultura, pensando a
quale era il rapporto tra la luce e il buio nelle epoche in cui non esistevano
l’illuminazione elettrica e nemmeno a gas. Un viandante che passasse, di sera o
di notte, accanto al Battistero di Parma
o al Duomo di Modena e ne osservasse
i rilievi, le metope ne avrebbe tratto una visione del tutto diversa da quella
di un nostro contemporaneo. Le immagini medievali sarebbero emerse come da un
magma indefinito, avrebbero rivelato aspetti particolari: i mostri, gli animali
fantastici ne avrebbero colpito la fantasia e spaventato il cuore. Così
Migliori, avviando un progetto che ha intitolato Lumen, ha tolto l’illuminazione da questi monumenti e ha usato
solamente alcune candele a rivelarne pallidamente le figure che emergono da un
fondo scuro, fortemente contrastato e rivelano di sé un aspetto parziale,
inconsueto, nuovo. Dopo ha rivolto la propria attenzione al famoso monumento
funebre di Ilaria del Carretto a Lucca, splendida scultura di Jacopo della Quercia. Anche qui la
tecnica della candela ha rivelato aspetti inconsueti, particolari che
solitamente sfuggono allo sguardo del visitatore. Infine, almeno per ora, Migliori è tornato nella sua città, a
confrontarsi con il Compianto di Santa Maria della Vita. Ha lavorato a
lungo, sempre con la tecnica del lume di candela a cercare di scoprire
particolari delle varie statue, girando anche intorno a esse, come un normale
visitatore non può fare. La luce accarezza il bellissimo corpo di Cristo,
drammatizza ancor di più il grido di dolore delle Marie, toglie il colore alla
terracotta, facendo perdere il senso della materia: le figure così riprese
potrebbero essere di marmo o di carne. Una immagine fa emergere anche la firma
incisa dall’artista: Nicolai de Apulia, che certifica così la sua
origine. Vale la pena compiere questo viaggio, guardare prima il gruppo
scultoreo nella chiesa e poi salire all’oratorio a vedere come la magia della
luce di Migliori ce lo rende in modo
diverso, altrettanto intenso. E’ una lettura che ci invita a non fermarci mai a
uno sguardo sbrigativo sulle cose, tanto più sulle opere d’arte, a vederle nei
particolari, a immaginare luci diverse, magari fioche, che ce ne svelino altri
segreti:
“La fiamma,
molto più luminosa di quanto si possa pensare, crea una realtà fantastica, una
vibrazione onirica”.
“A lume di
candela i personaggi prendono vita e si mostrano in una continua metamorfosi”
Sauro Sassi
La mostra è aperta fino al 23/04/2017 nel complesso
monumentale di Santa Maria della Vita, a Bologna, in via Clavature 8-10 al
piano superiore, nell’Oratorio. L’Oratorio è uno spazio bellissimo e ospita a
sua volta una grande composizione in terracotta, Il transito della Vergine,
eseguita da Alfonso Lombardi tra il 1519 e il 1522. Un’altra sorpresa della
nostra città d’arte.
La visita del Compianto di Niccolò, nella chiesa
sottostante, costa 3 euro, ridotto 1 euro ed è gratuita per i possessori della
carta turistica Bologna welcome.
Gli orari sono da Martedì a Domenica dalle 10 alle 19.
Ingresso gratuito.
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