IL NOSTRO SAURO CI ACCOMPAGNA A VENEZIA, ALL'ISOLA DI SAN GIORGIO RENDENDOCI PARTECIPI DELLE BELLE INIZIATIVE D'ARTE CHE STANNO AVVENENDO E CONFESSO CHE NON HO MAI AMATO L'ARTE CONTEMPORANEA E MODERNA MA CON SAURO SASSI HO IMPARATO AD APPREZZARLA E VIVO CON MOLTA ATTESA I SUOI PROSSIMI VIAGGI E I SUOI REPORTAGES, PER CUI TUFFIAMOCI NELL'ODIERNA AVVENTURA
“One and One makes
Three”, ispirato al superamento delle differenze tra le persone e la
ricerca, attraverso la creatività e la spiritualità, di una globalizzazione non
dei mercati ma dell’umanità. Al centro
della chiesa, sotto la grande cupola, ha realizzato un grande cerchio con
pannelli che all’esterno portano la scritta “Love difference” in moltissime lingue, mentre all’interno sono
superfici specchianti che moltiplicano e confondono lo spazio. Nel corridoio della Sacrestia, una serie di
lavori specchianti, con foto di persone di La Habana in attesa, forse, di una
vita migliore: Cuba come base per
sviluppare una nuova idea di politica. Nel Coro
altra opera specchiante ”ConTatto”,
omaggio al suo omonimo Buonarroti.
Nella Sala del Capitolo, dove si riuniva la comunità dei monaci, l’installazione “Il tempo del giudizio” richiama, ancora
con gli specchi, le maggiori religioni, Buddismo,
Cristianesimo, Ebraismo e Islamismo coi
loro simboli che si riflettono e si moltiplicano. L’arte, dice Pistoletto, riassume le religioni e
propone un linguaggio che ne elimini le conflittualità e consenta all’uomo
l’esercizio di una libera spiritualità. Proseguendo il percorso, nel quinto spazio, “Officina dell’Arte Spirituale”, vengono proposti diversi lavori
dell’artista, anche storici, dove vengono ancora sviluppati il tema dello specchio, del “Terzo Paradiso”, dell’utilizzo
di oggetti comuni. Rimane sempre presente l’istanza sociale di Pistoletto, che ha attraversato tutto
il suo lungo percorso, e il suo desiderio di non isolarsi ma di stimolare la
gente a riflettere e migliorarsi attraverso l’arte.
VENEZIA CAPITALE DELL’ARTE
MODERNA SULLA SCIA DELLA BIENNALE D'ARTE: L’ISOLA DI SAN GIORGIO
Ogni due anni Venezia ospita
la Biennale d’Arte, la più antica e
prestigiosa rassegna mondiale dedicata all’arte contemporanea. In questo
periodo, che è andato sempre più estendendosi, e ora va da maggio a novembre, non solo è possibile visitare la rassegna
ufficiale, negli spazi canonici dei Giardini
di Castello e dell’Arsenale, ma
tutta la città ospita mostre, a volte legate alla Biennale stessa, altre volte
collegate (cosiddetti eventi collaterali) e a volte del tutto indipendenti.
Così la città più bella mondo
diventa un grande teatro dell’arte, consentendo anche di visitare palazzi e
luoghi solitamente inaccessibili. Vorrei dedicare alcuni articoli a questi
eventi, oltre che, naturalmente, alla Biennale stessa, iniziando da uno dei
luoghi più affascinanti della città, l’isola
di San Giorgio. L’isola si trova subito dopo la confluenza del Canale della Giudecca e del Canal
Grande; dall’altra parte del canale, Palazzo
Ducale e Piazza San Marco; ospita la chiesa omonima,
progetta da Palladio, e il monastero benedettino, al quale pure ha lavorato Palladio assieme ai maggiori architetti veneziani (i Buora, Longhena). Vista ora, anche da San
Marco, l’isola appare bellissima, con la facciata scenografica della chiesa
e il campanile, alto ed elegante, da cui si gode una vista splendida della
città e della laguna. Il visitatore odierno fatica quindi a credere che un
luogo simile sia stato abbandonato per un secolo e mezzo alla totale incuria,
il monastero e la chiesa spogliati dei loro tesori e l’isola divenuta una
caserma. Gli autori di questo scempio furono prima Napoleone Bonaparte, che
portò in Francia l’opera d’arte più importante del monastero, “Le Nozze di Cana” di Veronese, tuttora al Louvre, di fronte alla “Gioconda”; seguirono gli austriaci e
infine il governo italiano. Bisognò attendere il 1951 perché un privato, il conte Vittorio Cini, ottenuta la concessione dell’isola, in cinque anni
riportasse la chiesa e il monastero all’antico splendore,
eliminando tutte le superfetazioni e avviando un restauro i cui esiti possono
essere valutati oggi visitando il monastero,
con i chiostri, la ricca biblioteca pubblica, realizzata nella
manica che immetteva alle celle dei monaci
(architetto De Lucchi), lo scalone di Longhena, il refettorio, che ospita una copia
perfetta, in misura reale, dell’”Ultima
Cena”, proprio nello spazio per cui era stata creata, nonché, opera
recente, il “Labirinto Borges”,
grande installazione in siepi di bosso che omaggia lo scrittore argentino e il
suo testo “Il giardino dei sentieri che
si biforcano” (per la visita occorre prenotarsi, reperendo le informazioni
sul sito di “Civita Tre Venezie”).
Il conte istituì una Fondazione,
intitolata al figlio Giorgio, che
era morto in un incidente di volo, e l’isola divenne sede di importanti
convegni di studio di politica internazionale, di concerti e di grandi
manifestazioni artistiche. E’ anche stato istituito uno spazio espositivo
denominato “Le stanze del vetro”
dove viene presentata, con rassegne storiche estremamente accurate, la grande
produzione vetraria veneziana.
Nelle ultime edizioni della Biennale Arte, anche la chiesa
palladiana ha ospitato Installazioni di affermati artisti contemporanei, che si
interrogano sulla spiritualità. Ricordo, in particolare, nel 2011, una
bellissima installazione dell’anglo indiano Anish Kapoor, intitolata
“Ascension”: un filo di vapore che
partiva dal pavimento e raggiungeva il vertice della cupola, opera
semplicissima ma di grande suggestione. Quest’anno l’artista convocato è Michelangelo Pistoletto,
ottantaquattrenne, uno dei fondatori, a metà anni sessanta, del movimento
artistico “Arte Povera”, il più
importante nell’arte italiana del secondo dopoguerra, caratterizzato dalla
negazione della funzione estetica dell’opera e da un suo richiamarsi alla
realtà attraverso l’utilizzo di materiali comuni, di origine minerale,
vegetale, industriale e anche animale (Kounellis
utilizzò anche cavalli e pappagalli vivi). Il movimento ebbe breve durata e poi
i vari esponenti proseguirono il lavoro prendendo strade diverse e molto
individuali. Pistoletto, fin
dall’inizio, mostrò attenzione alla funzione
sociale dell’arte, cercando il coinvolgimento degli spettatori attraverso
azioni collettive (ad esempio far rotolare tutti insieme una grande palla di
cartapesta per le vie di Torino) e anche vere e proprie azioni teatrali.
Successivamente elaborò i quadri
specchianti, fotografie riportate su grandi lastre di acciaio lucidato, dove
il visitatore, riflettendosi, entrava nell’opera. Poi ha continuato il suo
percorso realizzando nella sua città, Biella, all’interno di uno stabilimento
industriale dismesso, la “Cittadellarte”,
spazio dedicato alla creatività e alla elaborazione di pratiche che rapportino
l’arte alle tematiche politiche e sociali dei nostri tempi, attraverso
dipartimenti che si occupano di produzione, spiritualità, ecologia, politica,
educazione, lavoro. Dal 2004 è partita un’altra grande iniziativa
artistico-politica di Pistoletto, intitolata “Terzo Paradiso”: partendo dal simbolo matematico dell’infinito,
l’artista ha disegnato un cerchio più grande tra i due segni dell’otto adagiato,
a rappresentare simbolicamente l’inserimento del grembo generativo di una nuova
umanità che ricomponga i due poli, attualmente conflittuali, di natura e
artificio. Pistoletto e Cittadellarte hanno sviluppato il
concetto a partire dal segno, che è stato riprodotto su vasta scala in svariati
luoghi e con diversi materiali - dall’Aquila al palazzo delle Nazioni Unite di
Ginevra, al bosco di San Francesco ad Assisi (installazione permanente
realizzata con alberi di ulivo), a Cuba, dove è stato realizzato utilizzando
barche di pescatori - legandolo soprattutto al tema del rispetto e della tutela
dell’ambiente.
A San Giorgio l’artista ha occupato vari spazi della chiesa con un
progetto intitolato
Subito di fianco alla chiesa di San Giorgio, un altro spazio ospita una duplice mostra di Alighiero Boetti che, come Pistoletto, partecipò, negli anni Sessanta,
al movimento detto “Arte Povera”. Questi
artisti assorbirono in vario modo nel proprio lavoro l’aria del ’68: se Pistoletto privilegia soprattutto
l’aspetto sociale, partecipativo, Boetti
ne ha espresso il multiculturalismo, l’inquietudine che portava al viaggio come
ricerca esistenziale. La popolarità di Boetti
è legata soprattutto agli Arazzi che
faceva realizzare da donne afgane,
con lettere colorate a formare parole o frasi icastiche, e agli Atlanti, anch’essi tessuti, in cui le
varie nazioni erano riprodotte coi colori della rispettiva bandiera. In realtà,
nel corso della sua breve vita (è morto nel 1994 a cinquantaquattro anni) ha fatto tante altre cose,
esercitando una sua predilezione per la classificazione (uno dei suoi lavori
più famosi è intitolato “I mille fiumi
più lunghi del mondo”, dove si
dimostra questo bisogno di classificare ma anche la sua impossibilità), il tema
dell’identità e del doppio (spesso si firmava Alighiero e Boetti, come fossero due
persone, e fece anche un fotomontaggio dei due che si tengono per mano, uno
rappresentando il razionale l’altro l’inconscio), l’uso di strumenti anomali,
come la biro, il principio, che poi è stato alla base dell’arte concettuale,
che l’artista deve ideare l’opera, progettarla ma poi l’esecuzione può essere
demandata ad altri.
La prima mostra a San Giorgio
si intitola “Minimum Maximum” e
intende presentare il lavoro di Boetti
da un punto di vista inusuale: prendendo in considerazione alcune delle sue
diverse serie di opere (Mimetici, Storia naturale della moltiplicazione, Aerei, Mappe…), presentare la più piccola e la più grande.
Si va da formati piccolissimi ad altri enormi, rimanendo però invariata la
tensione concettuale e anche la resa estetica. L’altra mostra ha un titolo
criptico: “Colore = Realtà; B + W = Astrazione (a parte le zebre)”. Il tema principale è il desiderio di Boetti di catalogare il mondo,
fotocopiando quante più possibili cose, compresi i volti. Fa un po’ il paio con
l’attività di Mario Schifano che
scattava polaroid di tutto ciò che vedeva. Nella sala dedicata a questa sezione
viene messa a disposizione dei visitatori una fotocopiatrice che stampa a
inchiostro nero su carta rossa, con cui si possono realizzare in stile
boettiano, le proprie opere da inserire in uno scomparto del catalogo della
mostra.
Uscendo dalla mostra di
Boetti, si costeggia il piccolo imbarcadero, con vista bellissima su San Marco,
si oltrepassa il bar ristorante (unico dell’isola) e si raggiunge una stradina
a destra che porta all’ingresso delle “Stanze
del Vetro”, dove è possibile ammirare una splendida mostra dei vetri
progettati dall’architetto e designer Ettore
Sottsass. Nato nel 1917 e morto nel 2007, Sottsass è stato un grande protagonista della vita artistica e
produttiva italiana. Lavorò per l’Olivetti
vincendo due volte il compasso d’oro,
per il calcolatore Elea 9003 e per
la macchina per scrivere portatile Valentina
e fondò il gruppo Memphis che
rinnovò profondamente la concezione di architettura e design. Personaggio
poliedrico, agitatore culturale, si allontanò dal razionalismo architettonico,
assorbì lo spirito rinnovatore degli anni ’60, la cultura libertaria americana
(anche grazie alla moglie Fernanda
Pivano) e disse che il design e l’architettura dovevano portare gioia,
sollecitare l’immaginazione, curare. Non disdegnava il ripensamento del kitsch,
lo sberleffo. Anche nella progettazione del vetro portò il suo spirito
dissacratorio, mettendo in discussione l’aspetto funzionale dell’oggetto
(cercava un vaso diverso dal solito vaso come una sedia diversa dalla solita
sedia), realizzando vere e proprie sculture, con colori accesi e accostamenti
di materiali anomali (vetro con marmo o acciaio). Naturalmente, mantenendo un
grande rigore e professionalità progettuali e realizzativi (lavorò con le
migliori vetrerie, a partire dai veneziani Venini
e Barovier). La mostra ci permette
di ammirare oltre duecento splendidi pezzi, trionfo di luce, colore, ironia.
Uscendo dalla mostra di Sottsass,
subito di fronte sulla stessa stradina si accede ad uno spazio all’aperto, sul retro del convento, che la Fondazione Cini ha voluto riservare ad
installazioni temporanee di artisti internazionali sempre incentrate sull’uso
del vetro. Dopo aver mantenuto per alcuni anni la “Glass Tea House”, una splendida opera del giapponese Hiroshi Sugimoto, è stato da poco
allestito un lavoro della statunitense Pae
White, intitolato “Qwalala”. Si
tratta di un muro lungo 75 metri, che si sviluppa con andamento serpentiforme,
realizzato con mattoni di vetro, metà trasparenti e gli altri realizzati con
una tecnica particolarissima chiamata “effetto
tempesta”, perché ognuno contiene
una grande quantità di fili colorati che si mescolano e danno a ciascun mattone
un colore diverso, mantenendone la luminosità e trasparenza. Il nome dell’opera
richiama quello dato dai nativi indiani a un fiume, di cui suggerisce il
percorso. L’artista ha però realizzato anche due porte che interrompono la
continuità del muro con cui vuol dire che anche una barriera deve essere
permeabile e permettere il transito della luce e dei corpi.
Proseguendo lungo la stradina
(tutti i percorsi sono indicati con segnali), si costeggia il “labirinto di Borges” e si giunge ad una
grande sala che ospita l’installazione dell’irlandese Bryan McCormack, intitolata “Yesterday,
Today, Tomorrow”. Si occupa dell’immigrazione, facendo esprimere le stesse
persone che vivono questa esperienza. McCormack
ha chiesto agli immigrati ospitati in centri in tutta Europa, soprattutto
giovani, di descrivere con tre disegni qualcosa del proprio passato, del
presente e cosa si aspettano nel futuro. I
disegni, circa 600, vengono fatti pendere a formare una scultura che dal
soffitto si avvicina al pavimento, creando alcuni corridoi da percorrere
per poterli vedere. Alle pareti, fotografie che rappresentano decine di centri
di raccolta dei rifugiati in tutta Europa. Sulla parete di fondo, video che
mostrano l’interazione tra studenti e elementi dell’installazione. L’opera ha
un forte impatto scenografico e i disegni sono commoventi e inducono a
considerare l’aspetto umano di questo fenomeno.
Infine, tornando alla darsena
e andando a destra, un altro vasto edificio a due piani ospita la mostra
dedicata ad Andy Warhol e Robert Rauschenberg, incentrata su una
frequentazione, nei primi anni ’60, dei due artisti, occupati nelle comuni ricerche
sul trasferimento delle immagini attraverso la serigrafia, nonché alcune delle
serie finali di Rauschenberg, morto
nel 2008: grandi opere in cui l’artista continua, con sostanziali miglioramenti
tecnici, la pratica di appropriazione di immagini dalla realtà e di
trasferimento delle stesse nella propria opera. Il primo piano dell’edifico
ospita infine lavori di due artisti che operano anche nel campo della realtà virtuale: Paul McCarthy e Christian Lemmerz. Penso che
l’esperienza di indossare casco e auricolari per entrare nel mondo visionario
di questi due autori causi un forte impatto emotivo, in molti anche un
respingimento. Le immagini che ci fluttuano intorno sono inquietanti,
conturbanti. Credo che questo strumento possa aprire nuove strade nel modo di
esperire emozionalmente l’arte.
Sauro
Sassi
CINQUE MOSTRE ALL’ISOLA DI SAN GIORGIO A VENEZIA. LE
SEDI E I PERCORSI PER RAGGIUNGERLE SONO BEN SEGNALATE:
MICHELANGELO PISTOLETTO: ONE AND ONE MAKES THREE.
CHIESA E CONVENTO DI SAN GIORGIO. FINO AL 26 NOVEMBRE. ORARI: MA-SA 10-18 DO
14-18
ALIGHIERO BOETTI: MINIMUM MAXIMUM. FINO AL 12 LUGLIO.
ORARI 11-19 ME CHIUSO
PRESSO LE STANZE DEL VETRO: ETTORE SOTTSASS: IL VETRO
FINO AL 30 LUGLIO. ORARI 10-19 ME CHIUSO
PAE WHITE: QWALALA. FINO AL 30 NOVEMBRE. ORARI 10-19
ME CHIUSO
BRYAN MC CORMACK: YESTERDAY TODAY TOMORROW. FINO AL 13
AGOSTO. ORARI: 11-18 ME CHIUSO
ROBERT RAUSCHENBERG & ANDY WARHOL “US
SILKSCREENERS”. ROBERT RAUSCHENBERG: LATE SERIES. PAUL MCCHARTY & CHRISTIAN
LEMMERZ: NEW MEDIA (VIRTUAL REALITY ART). FINO AL 27 AGOSTO. ORARI 10-19 ME
CHIUSO
TUTTE LE MOSTRE SONO A INGRESSO GRATUITO
PER ARRIVARE: VAPORETTO LINEA 2 DA STAZIONE CENTRALE O
PIAZZALE ROMA. FERMATA SAN GIORGIO (IMPIEGA CIRCA 40 MINUTI). OPPURE DA SAN
ZACCARIA (A FIANCO DI SAN MARCO) IN TRE MINUTI. PURTROPPO A VENEZIA I TRASPORTI
SONO CARISSIMI. UN BIGLIETTO COSTA 7,50EUR. PER IL PASSAGGIO DA SAN ZACCARIA A
SAN GIORGIO (E VICEVERSA) SI PUO’ ACQUISTARE UN BIGLIETTO RIDOTTO (5 EUR).
SOLUZIONI UN PO’ PIU’ ECONOMICHE SE CI SI FERMA PIU’ GIORNI
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