SAURO INCURANTE DEL CALDO E DI AGOSTO CI REGALA UNA SPLENDIDA MOSTRA SUL BRASILE, GRAZIE SAURO SASSI
UN COLTELLO NELLA CARNE DEL BRASILE. AL PAC DI MILANO
Il PAC
(Padiglione d’arte Contemporanea di Milano) fu inaugurato nel 1954 per ospitare la parte più recente
delle collezioni d’arte moderna comunali. Si decise di costruirlo in via Palestro, di fianco alla Villa Reale, che ospitava la parte
storica delle collezioni, nel luogo dove sorgevano le scuderie della villa,
distrutte dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Il progetto era
dell’architetto Ignazio Gardella, che realizzò una costruzione
molto pulita, razionale, luminosa, a ridosso dei giardini oggi intitolati a Indro Montanelli, adatta a svolgere
bene le sue funzioni di sede espositiva. A un certo punto si decise di trovare
un’altra collocazione per le collezioni e il PAC, dopo un periodo di chiusura e rifacimenti, riaprì nel 1979 con una attività rivolta ad
ospitare mostre temporanee, sempre dedicate all’arte contemporanea, con una
programmazione piuttosto discontinua e senza un preciso progetto espositivo.
Poi, il 27 luglio 1993, una bomba posta su un’auto, vicino
all’edificio, provocò la morte di cinque
persone e la distruzione dello stesso. L’attentato faceva parte di una
serie, organizzati della mafia, che
colpirono diversi luoghi artistici italiani: le chiese di San Giovanni in Laterano e San
Giorgio al Velabro a Roma e via dei Georgofili, a ridosso degli Uffizi, a Firenze. Il PAC fu ricostruito, secondo il
progetto originario, a cura dello stesso architetto Gardella e riprese la sua attività. Negli ultimi anni, pur
proseguendo una politica di mostre un po’ estemporanea, si è cercato di
focalizzare l’attenzione sulla situazione artistica di paesi solitamente
periferici rispetto ai grandi circuiti internazionali. Ci sono state mostre
sull’arte africana e su quella cubana, e monografiche dedicate a due
importanti artiste latino americane, la guatelmateca
Regina José Galindo e la messicana Teresa Margolles. Oggi una nuova mostra apre un focus sull’arte
contemporanea del Brasile, paese
quanto mai culturalmente e artisticamente vivo e politicamente e socialmente
pieno di contraddizioni. Il titolo, “Il
coltello nella carne” richiama un’opera
teatrale rappresentata nel 1967,
dove si descriveva in modo crudo e senza retorica la vita nei bassifondi di una
grande città, con personaggi violenti e senza riscatto. Ricordo che il Brasile, dopo un periodo di vitalità
democratica che durò dal secondo dopoguerra fino ai primi anni ’60, e culminò
con l’utopia della costruzione della nuova capitale Brasilia, progettata dall’architetto comunista Oscar Niemeyer, già collaboratore di Le Corbusier, subì un colpo di stato che instaurò una dittatura militare tra il 1964 e il
1985. Nel periodo precedente il golpe si registrò una formidabile fioritura
artistica, che riguardò appunto l’architettura, la musica (il “Tropicalismo”), la danza, la
letteratura (il “Concretismo”), il cinema
(il movimento “Cinema Novo”, che si
affiancava alla “Nouvelle Vague”
francese e a tutti quei movimenti giovanili che rifondarono la pratica
cinematografica in tanti paesi dell’Europa e dell’America Latina. Ricordo
grandi e innovativi registi brasiliani come Nelson Pereira Dos Santos, Leon
Hirszman e, soprattutto, Glauber
Rocha). Anche nel campo delle arti visive si conducevano ricerche
innovative nel campo dell’astrazione e della ricerca sul segno (“Neo Concretismo”) i cui massimi
esponenti furono Hélio Oiticica, che lasciò tracce tuttora
attuali della sua ricerca su segno e strutture, e due donne, Lygia Clark e Lygia Pape,
che arrivarono a realizzare grandi installazioni che richiedevano la
partecipazione diretta, fisica e psichica, del pubblico, aprendo così la strada
a un’arte performativa tuttora di grande attualità. Tutto il mondo artistico e
intellettuale si mobilitò contro la dittatura, creando le basi di un attivismo
politico e sociale che continua tuttora, accompagnando prima la vittoria di Lula alle presidenziali del 2002 e battendosi ora contro la deriva golpista e
autoritaria che ha determinato la deposizione di Dilma Rousseff e l’incarcerazione dello stesso Lula per impedirgli la partecipazione alle prossime presidenziali,
che sicuramente rivincerebbe. I segni di questa tensione politica si avvertono
nella mostra al PAC, a partire
dall’installazione di Berna Reale
davanti all’ingresso: un carretto con tre ruote sopra il quale l’artista ha
disposto tessuti utilizzati per coprire i corpi di persone vittime di morte
violenta. Questo carretto è stato portato in giro per Milano da Berna Reale, che vestiva una divisa militare, a ricordare la violenza che
impregna le strutture e i rapporti sociali. Lo shock visivo prosegue subito
dopo la soglia con un video di Leticia
Parente (tante le donne presenti tra i trenta artisti) intitolato “Marca Registrada”, in cui l’artista si cuce con ago e filo la pianta del
piede a formare la parola “Made in
Brasil”. La Parente riflette
soprattutto sulla condizione femminile e sulla sottomissione e la solitudine
della donna in Brasile. Così in un
altro video si stende su un asse da stiro e fa stirare l’abito che contiene il
suo corpo, e in un altro ancora entra in un armadio e si sistema su una gruccia
come fosse un abito senza corpo, chiudendo poi la porta dello stesso. Leonilson realizza opere leggere usando
il ricamo su piccoli pezzi di tessuto, spesso trascrivendo parole. Il suo
lavoro è autobiografico: l’artista si ammalò e morì di Aids, e richiama se stesso, la sua vita. Ricorda quello del cubano Félix Gonzalez Torres, che pure contrasse
e morì della malattia, e che similmente esprimeva in modo elegiaco e
malinconico l’idea della fine prossima. Anche Ana Mazzei e Regina Parra parlano della condizione
femminile, con cartelli scolpiti che riportano battute di Ofelia nell’Amleto di Shakespeare. Le parole richiamano il
ruolo sottomesso e da vittima predestinata del personaggio e, per traslato, la
condizione femminile. Sempre una riflessione sulla condizione femminile appare
nelle fotografie di Iole de Freitas.
L’artista si autorappresenta e inserisce elementi inquietanti, come la lama di
un coltello che la minaccia; non richiama una situazione precisa ma si rifà
alla minaccia di violenza che sempre riguarda le donne. Maria Thereza Alves realizza disegni di diversi frutti che aveva
visto in un mercato a Manaus. Pur
essendo diversi, il venditore li definiva tutti albicocche, avendo perso anche
le parole per definirne la reale natura. La Alves li disegna e sotto il disegno, alla Magritte, scrive: “Questa
non è un’albicocca”, riportando
a fianco la definizione latina, l’alfabeto dei colonialisti. Il nome originale
attribuito dalla popolazione locale a questi frutti è perduto, la
sovrapposizione della cultura coloniale è compiuta. Al piano inferiore il lungo
corridoio è occupato da due grandi installazioni. A parete Jonathas de Andrade ha realizzato un lavoro intitolato “Educaçao para adultos”. Richiama
l’attività del pedagogo Paulo Freire,
che in zone di grande povertà e ignoranza utilizzava fotografie associate a
parole come strumento non solo di alfabetizzazione ma anche di presa di
coscienza sociale. Il suo lavoro fu interrotto dalla dittatura, che
evidentemente desiderava mantenere il popolo ignorante, ma la madre conservò e
utilizzò ancora le foto. De Andrade
le ha riprese ma le ha arricchite attraverso il rapporto con comunità di
lavandaie e di altre donne analfabete di Recife.
Le fotografie sono appese lungo tutto il corridoio e invitano alla riflessione
e alla presa di coscienza. In basso, lungo tutto il pavimento che fiancheggia
la parete con le foto di De Andrade,
una imponente installazione di Daniel De
Paula. Sono disposti, in perfetto ordine, tanti cilindri di roccia che
sono i risultati dei carotaggi eseguiti nel sottosuolo dello stato di San Paolo per verificare la
praticabilità di opere pubbliche: edifici, strade. Le rocce, frutto di antiche
stratificazioni geologiche, rappresentano una sorta di linea del tempo e ci
ricordano le tante opere speculative che stanno devastando il territorio
brasiliano. Diciamo che in questo caso si unisce una istanza di denuncia con la
oggettiva monumentalità e bellezza dell’opera. Così come di grande impatto
appaiono i grandi sacchi di cemento appesi
al soffitto e destinati, nel corso della mostra, a sgretolarsi. Anche in questo
caso l’artista, André Komatsu, ci
ricorda la speculazione edilizia che imperversa nel paese. Richiama
direttamente l’attualità politica la grande
lavagna di Icaro Lira che, in
una specie di diagramma, riporta riferimenti alla storia violenta del paese e
che si conclude con tre date e tre frasi, l’ultima un auspicio: “2016, colpo di stato”; “2017, dittatura”;
“2018 Lula libero”. Ricordo che a
ottobre di quest’anno in Brasile ci
saranno le elezioni presidenziali e che il candidato che vincerebbe
sicuramente, Ignacio Lula Da Silva, si
trova incarcerato con un provvedimento pretestuoso e con l’unico scopo di
tagliarlo fuori e consentire ai rappresentanti dei potentati reazionari e
antipopolari di tornare al potere. Naturalmente l’arte non può diventare
propaganda perché verrebbe meno alle sue peculiarità, ma non può nemmeno
ignorare la realtà e le problematiche politiche, sociali, ambientali. La mostra
degli artisti brasiliani a Milano ci aiuta a leggere in modo più approfondito
un paese che comunque ha un’importanza enorme nel panorama geopolitico
mondiale.
SAURO SASSI
BRASILE. IL
COLTELLO NELLA CARNE
PAC MILANO,
VIA PALESTRO, 14. METRO 1 FERMATA PALESTRO E 100 METRI A PIEDI
ORARI:
ME-VE-SA-DO: 9.30-19.30. MA-GI: 9.30-22.30
BIGLIETTO
INTERO 8 EUR. RIDOTTO 6,50: DA 6 A 26 ANNI, OLTRE 65, TOURING, FAI
bell'articolo e mostra interessante: possibilmente la visiterò
ردحذفbell'articolo e mostra interessante: possibilmente la visiterò.
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