SEGNALI NON VERBALI

Fabio Pandiscia - www.fabiopandiscia.it
 
fonte: splitshire
 
Cerchiamo di comprendere il significato dei segnali non verbali.
Per prima cosa un’importante premessa: alcuni gesti potrebbero assomigliarsi – ad esempio mordersi le labbra, che può significare ansia o piacere – per cui è importante notare la COMBINAZIONE di segnali.
Le reazioni dell’amigdala provocano i cosiddetti RIVERBERI, ovvero reazioni in varie parti del corpo. Fissando solo la bocca o solo gli occhi ci si può confondere, mentre osservando un viso e, meglio ancora, la figura intera, questo non può avvenire. Fate quindi attenzione a controllare tutti i segnali evidenti, senza concentrarvi solo sui piedi o sulle mani. In televisione magari avrai visto persone capaci di comprendere da un solo gesto cosa pensava la persona sotto osservazione: quella è fiction televisiva, non realtà!
 
Nessuno può capire NULLA da un singolo segnale isolato, ma se invece si controlla il corpo per intero, ogni movimento diventa rivelatore. Tenete sempre a mente questo dettaglio, lo ripeteremo più volte perché è molto, molto importante!
Inizieremo da quelli che coinvolgono tutto il corpo perché quelli del corpo sono più semplici da notare, per due motivi: sono più incontrollabili rispetto al viso – per esempio, in questo momento che posizione hai?  Com’è il tuo corpo?
Devi controllare schiena, gambe e braccia, giusto?
Viceversa, se ti chiedo che espressione hai ora non devi specchiarti per saperlo – e sono più macroscopici: la posizione del corpo si nota a una certa distanza, per il viso bisogna essere molto più vicini. Ma prima di tutto, è bene distinguere i segnali in tre grandi categorie: segnali di gradimento, segnali di tensione e segnali di rifiuto.
 
Segnali di rifiuto
Come dice il nome stesso, sono segnali che indicano il disprezzo, il disaccordo e comunque il non gradimento di qualcosa. Anche questi possono essere espressi da corpo, viso o entrambi, a seconda della gravità del rifiuto.  Un esempio: se qualcosa non ci piace, come una bibita, possiamo magari storcere la bocca o accigliarci.
Ma se qualcosa ci irrita per davvero, come per esempio la sconfitta dell’Italia ai rigori nel mondiale, ci esprimeremo con gesti eloquenti del corpo e un’espressione inequivocabile del viso. Il corpo quindi comunica in modo preciso ciò che pensiamo, e a volte la cosa può ritorcersi contro di noi.
Se parli con qualcuno che ti sta guardando con attenzione ma allo stesso tempo si dondola sulla sedia, l’effetto che ti comunica e che coglierai – anche senza aver fatto corsi di comunicazione non verbale – è di poca attenzione. Per dimostrare vera attenzione dobbiamo assumere la postura corretta, come vedremo tra poco.
 
Segnali di tensione
Sono quelli che tradiscono ansia, paura, scomodità e sensazioni spiacevoli.  Spesso sono accompagnati dai segnali di chiusura, in quanto indicano che qualcosa non va. La differenza con quelli di prima sta nelle situazioni in cui li utilizziamo: mentre quelli di chiusura si possono fare apertamente quando non siamo a nostro agio, quelli di tensione sono più tipici di momenti poco graditi, come colloqui di lavoro, interrogazioni, esami e così via. Sono i più numerosi e quelli più usati dai bugiardi e da chi vuole, più o meno in modo inconscio, ingannare gli altri.
 
Segnali di gradimento
Ci fanno capire quando qualcosa è piacevole, gradita, interessante.
Possono espressi dal corpo o dal viso o – come avviene quando la cosa è molto gradita – da entrambi. Sono suddivisi in segnali di: APERTURA. Sono i gesti che si fanno per far capire all’altro che siamo ben disposti verso di lui. INTERESSE. Sono i gesti che si fanno per far capire all’altro che siamo interessati a qualcosa che ha detto o ha fatto PIACERE. Sono i gesti che si fanno per far capire all’altro che ci piace qualcosa che ha detto o ha fatto
 
Segnali di rifiuto
Vediamo ora i segnali di rifiuto più comuni:
“spolverare” o “spazzar via”. Lo fa in genere una persona che non condivide le idee o il comportamento altrui e non vuole dirlo: quindi finge di togliersi qualcosa dai vestiti o dal tavolo davanti a sé, come se volesse “liberarsi” di quel che sta dicendo o facendo chi ha di fronte. Molti protestano, quando glielo si fa notare.  Ad un corso una donna, che avevamo ripreso proprio sull’argomento spolverare – appena l’ha sentito ha cominciato a spazzolarsi le maniche con le mani – ci rispose che C’ERANO DAVVERO dei pelucchi sulla giacca.
Certo che c’erano – sennò non sarebbe un cenno di rifiuto ma follia pura – ma come mai FINO A QUEL MOMENTO non li aveva notati?  Sono spuntati all’improvviso?  No.
Il suo cervello ha cercato uno sfogo, uno scarico alla situazione non gradita, e l’ha trovato concentrando l’attenzione sui pelucchi. Se non ce ne fossero stati avrebbe pensato ad altro.
 “mani sui fianchi”
Avete presente chi tiene le mani sui fianchi?  Chi vi viene in mente?
Qualche dittatore o capo di Stato, forse… infatti, questa posa ci fa sentire più imponenti e minacciosi, come se così facendo fossimo più robusti. Se ci pensiamo bene, in effetti, in questa posizione occupiamo più spazio: provate ad assumerla in un ascensore e ve ne renderete subito conto! È una posizione che le donne assumono di solito quando litigano, specie con un uomo, per sembrare più grandi di quel che sono.
Gli uomini usano la stessa posizione di solito coi pugni chiusi, dimostrando anche più arroganza. L’atteggiamento di sembrare minaccioso fingendosi più grossi è diffuso in tutto il mondo animale: pensate ai gatti che arruffano il pelo, ad esempio! Questa posa ha due varianti: a mani aperte e a pugni chiusi. La seconda è usata solo dagli uomini, mentre la prima anche dalle donne.
 “distruggere un foglietto di carta”
Indica quel che si vorrebbe fare con l’argomento: se fosse scritto sarebbe da strappare via e fare a pezzi
 “tirarsi su le maniche”
È quel che si fa quando ci si prepara a una lotta fisica, e indica aggressività.
ATTENZIONE: se ci sono 40 gradi nella stanza può significare caldo, e lo stesso avviene se la persona dichiara di sentire caldo, immaginario o reale.  In questo caso può essere un segno di tensione.
“braccia incrociate”
Molti sostengono che in questa posizione imparano meglio, in quanto fin da bambini, a scuola, li hanno abituati a stare “a braccia conserte”.
Vero: se facciamo qualcosa sempre nella stessa maniera e nello stesso posto, il movimento diverrà automatico.
È come quando saliamo in macchina: non controlliamo più specchietto e freno a mano come in scuola guida, o meglio NON CI ACCORGIAMO di farlo.
Allo stesso modo, in aula può capitare di incrociare le braccia. Ma provate a parlare con qualcuno IN PARTICOLARE, in un discorso a due, e pensateci: avete mai visto due amici o due parenti discutere a braccia incrociate?
Se sì, è perché stavano litigando!
Chiudere le braccia indica proprio una CHIUSURA anche mentale, come a dire “non voglio ascoltarti”.
ATTENZIONE: quando due persone si incontrano la prima volta, specie se sono dietro a un banco entrambi, è normale che uno o entrambi abbiano le braccia incrociate.  Come abbiamo detto, ci viene insegnato a scuola e lo facciamo automaticamente. Non ha in questo caso un significato particolare. Ben diverso è il caso in cui due stanno parlando, e all’improvviso uno dei due incrocia le braccia.
 
Ora che conosciamo i principali segnali di rifiuto, possiamo anche sapere come reagire ad essi. A differenza dei segnali di gradimento, questi gesti indicano che DOBBIAMO CAMBIARE QUALCOSA nel nostro discorso, in quanto l’altro ci sta comunicando un disagio particolare.

Durante gli interrogatori si fa in modo di esagerare il disagio ancora di più, in modo da costringere la persona a cedere.
Poiché supponiamo che il vostro scopo NON SIA di esasperare l’altro ma, al contrario, di comunicare un messaggio, agiremo in modo da DIMINUIRE il disagio.
Facciamo un esempio concreto: stiamo parlando con qualcuno di bambini, e notiamo che alla parola “asilo” l’altra persona incrocia le braccia e si sposta all’indietro, allontanandosi.
È evidente che non gli piace per nulla parlare di asili, quindi se vogliamo convincerlo ad ascoltarci dovremo fare molta attenzione nel trattare l’argomento.
Ad esempio, potremmo esprimere il nostro disappunto sulla gestione degli asili, o sul loro numero scarso, o sui costi.
Questo potrebbe portarvi a pensare che così facendo si sta ingannando l’altra persona. In un certo senso si potrebbe dire che la comunicazione cerca comunque di compiacere l’altra persona, di usare il SUO linguaggio e non il nostro, e quindi, in un certo senso, di MEDIARE i nostri pensieri.
Del resto, l’unico modo in cui possiamo comunicare è proprio dando la NOSTRA interpretazione della realtà.
Se l’argomento ci tocca da vicino e ci sta a cuore, per esempio essere contro la pena di morte, e discutiamo con chi è a favore, è inutile arroccarci sulle nostre considerazioni e indispettire l’altro. Dobbiamo invece cercare un territorio comune su cui iniziare un dialogo. Dobbiamo insomma coinvolgere le emozioni dell’altra persona in modo che lavorino CON noi e non contro.

 

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