Vittorio Miranda
Oggi parlerò di una figura iconica per il design e l’architettura palermitana. Anna Maria Fundarò, nata ad Alcamo (TP) il 24 ottobre del 1936 e morta a Palermo il 30 novembre del 1999, viene ricordata dalla cittadinanza palermitana e dalla regione siciliana, come un’innovatrice ed una signora dell’architettura. In breve, ne vedremo la vita ed il suo contributo all’architettura.
Laureata alla facoltà di architettura dell’università degli studi di Palermo nel 1960; da ricordare che durante gli studi era la pupilla del noto professore Gino Levi Montalcini, quando insegnava a Palermo. Vinse il concorso per diventare professore ordinario di disegno industriale, andò a insegnare a Roma per il periodo di un anno, per poi rientrare a Palermo.
Una volta rientrata a Palermo, decise di condurre una sua iniziativa assieme agli amici e colleghi Margherita De Simone e Gianni Pirrone, dando vita al “corso diagonale” che nei fatti si trattava di una proposta didattica del tutto innovativa che comprendeva diverse discipline.
Nel suo eccellente curriculum, vi è da ricordare che è stata professore ordinario di disegno industriale dal 1977 e Direttore dell’Istituto di Composizione, tra il 1978 e l’81, Direttore dell’Istituto di Disegno Industriale e Produzione Edilizia dal 1981 al 1987 e Direttore dell’Istituto di disegno industriale dal 1987 al 1998, Istituto del quale è stata feconda promotrice. Ricoprì anche il ruolo di direttore della Scuola di Specializzazione in Disegno Industriale (attivata nel 1989) dal 1989 al 1998, e di coordinatore del Dottorato di ricerca in “Disegno Industriale, arti figurative e applicate”.
Coscia del fatto che a Palermo mancava una vera e propria cultura del design e dell’architettura, già nel 1971 scriveva:
«Il senso del nostro lavoro è legato alla nostra dimensione locale, alla nostra condizione di architetti e progettisti in Sicilia. Siamo convinti dell’urgenza della ricostruzione di una nostra cultura materiale contemporanea, a partire dalle piccole cose della quotidianità e dal costume e dal comportamento. La Sicilia ha accettato da un cinquantennio un ruolo di periferia sottosviluppata: sul piano del progetto essa usa modelli culturali importati. La cultura materiale che le derivava dalla sua storia passata viene cancellata. Non accettiamo la tesi rinunciataria che fa della Sicilia una regione senza vocazione produttiva, e vogliamo lavorare per recuperare quel patrimonio confuso e poco conosciuto che è la cultura materiale del mondo artigiano delle zone interne della Sicilia e delle antiche città».
In virtù del suo aver preso atto di una mancanza della cultura dell’architettura e del design, nel 1981 fondò l’Istituto di Disegno industriale, favorendo la creatività giovanile con la a promozione i concorsi banditi in collaborazione tra Facoltà di Architettura e Camera di Commercio. Gli studenti furono avviati a condurre indagini sui lavori artigianali nel centro storico di Palermo (alcuni dei quali in via di estinzione), ed essi innescarono, sulla base di quelle secolari esperienze, nuove linee progettuali. L’anno successivo decise di confrontare tali proposte tutte siciliane, con i grandi nomi del design italiano. Sarà così che i giovani studenti siciliani, avranno modo di incontrare a Palermo professori del calibro di Ettore Sottsass, Michele De Lucchi, Andrea Branzi, Enzo Mari, Alessandro Mendini ed altri, in un corso dal titolo “Design per lo sviluppo” che ebbe un enorme successo e pose la Sicilia nella posizione di poter dialogare con la cultura del design, grazie alle proprie caratteristiche storiche e territoriali.
Sebbene fosse impegnatissima nell’ambito universitario e nell’opera di riordino dell’archivio Almeyda che aveva ereditato assieme al marito l’Ing. Mario Damiani, si occupò anche di temi progettuali sempre in sintonia con la sua dimensione, dell’architettura di interni: dall’arredo domestico all’allestimento museale, ricordiamo le mostre sul Corallo, e Ori e Argenti di Sicilia al Museo Pepoli di Trapani. Dell’arredo urbano invece, ricordiamo i progetti per le piazze di Alcamo, (suo paese natale), per spaziare anche nell’archeologia industriale: il progetto dell’ex Stazione di Sant’Erasmo. Ha curato la mostra sulla Ceramica Florio e ha progettato inoltre alcune interessanti ville a Scopello e a Levanzo e la Biblioteca comunale di Salemi nell’ex Collegio dei Gesuiti. I lavori di restauro al Teatro Biondo di Palermo, curati insieme ad altri collaboratori, portarono alla scoperta delle decorazioni floreali della sala, occultate da una scialbatura.
Anna Maria Fundarò è stata architetto “militante”, cogliendo tutte le occasioni per confrontarsi sui temi del progetto con la sua città e il territorio siciliano, con luoghi, istituzioni, condizioni e competenze diverse, dentro e fuori l’Università (Viviana Trapani - Università degli studi di Palermo, dipartimento di architettura). Una grande figura che ha creduto nella sua terra ed ha risollevato il design siciliano in una regione in cui era totalmente inesistente.
Un sentito ringraziamento a Vittorio Miranda per il puntuale ed affettuoso ricordo di Annna Maria Fundarò, della quale è in corso la creazione dell'archvio professionale come parte dell'Archivio Damiani WWW.archiviodamiani.it
RispondiEliminaMario Damiani (marito di Anna Maria)
Mi scuso il ritardo con il quale sto rispondendo a questo commento, mi ritengo molto onorato di ricevere un suo ringraziamento e di ciò, ringrazio.
EliminaDa storico, ho ritenuto un dovere commemorare una persona che ha fatto la propria parte per rinnovare l'architettura palermitana e siciliana, contribuendo a rendere grande Palermo in tempi a noi contemporanei.
Un affettuoso saluto da un suo concittadino.
Vittorio Emanuele Miranda.
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