Vittorio Miranda
fonte immagine: artribune
Il ‘900 ha presentato una lunga lista di architetti italiani capaci di segnare la storia dell’architettura ed anche quest’ultimo di cui vi sto per scrivere, dal suo canto, è stato capace di lasciare la propria impronta. Scomparso ormai due anni fa, oggi ricorderemo Francesco Carola.
Nato a Napoli il 2 aprile 1931 e scomparso il 4 gennaio 2019 sempre a Napoli e figlio di una stirpe di illustri architetti partenopei, sceglie comunque di non adagiarsi negli allori familiari e decide di allontanarsi dalla famiglia per girare il mondo e conoscere altre culture affidandosi alle proprie finanze, che sono il ricavato dalla vendita della propria vespa.
Andò il Belgio e si laureò nel 1956 presso l’École nationale supérieure d'architecture La Cambre di Bruxelles. Dal 1956 al 1960 aprì il suo primo studio nell’omonima città e sempre nello stesso periodò conseguì la sua seconda laurea alla Federico II di Napoli. i temi ricorrenti nel suo linguaggio giovanile sono la ricerca nella prefabbricazione e l'intensivo uso del legno come nelle applicazioni alle architetture espositive presso la XI fiera internazionale del legno a Gand.
Per la ditta belga De Coene sviluppò un prototipo di abitazione prefabbricata in legno bakelizzato. Nel 1957 progettò padiglioni espositivi in legno per una vetreria e un padiglione per l'Esposizione di Saint-Cloud. Il successivo anno realizzò il padiglione dei Fiori all'Expo 1958 tenutasi a Bruxelles.
Tra il 1959 e il 1960 fu autore di progetti per abitazioni in legno prefabbricate per la DeCoene.
Altra esperienza fondamentale per lui, forse la più importante alla quale dedicò molto tempo della sua vita, fu quella africana. La sua prima esperienza fu in Marocco tra il 1961 e il 1963 dove ebbe l'incarico di pianificatore del Dipartimento urbanistico del Ministero dei Lavori Pubblici di Rabat, studiando un piano per gli agglomerati rurali del Paese. Nei suoi libri, Carola parlò della vita più che delle costruzioni, perché è solo recuperando l’esistenza, nelle sue intime motivazioni e nelle sue ragioni, che si può costruire decentemente. Tratto che adottò per filo e per segno, per realizzare le proprie costruzioni in quel territorio e nel corso della sua vita.
Nel 1972 vi si trasferì ed il suo primo progetto africano fu una casa-ufficio in terra cruda ad Akka, in Mali. Significativi del periodo furono i progetti per un bar-ristorante in terra cruda a Mopti, i padiglioni per la Fiera dell'Agricoltura in Mauritius e l'Ospedale oftalmologico di Moka. Lavorò ad un progetto per una piramide in Egitto nel 1978. La svolta nella sua carriera di progettista avvenne nel 1981 quando progettò il suo primo sistema di cupole autoportanti in mattoni di terra cruda su larga scala, l'Ospedale Regionale di Kaédi che portò a termine nel 1984. Contemporaneamente avviò la sperimentazione di strutture in gesso ed un edificò in Mali una scuola elementare e una moschea con le tecniche tradizionali.
Nel 1985 l'Unicef gli incaricò di insegnare ai Tuareg a costruire un villaggio a Gao. Nel 1987 fondò a Napoli l'Associazione culturale N.E.A., acronimo di Napoli Europa Africa, avendo lui la ferra convinzione che Napoli è capitale del Mediterraneo e quindi luogo ideale per favorire lo scambio tra l'Europa e l'Africa. Nel 1995 vinse il premio Aga Khan per l'Ospedale di Kaédi e nel 2008 fu insignito del premio Global Award for Sustainable Architecture a Parigi e nel corso degli anni continuerà a costruire in altre opere in Africa.
Il lavoro in Italia.
Il suo primo progetto italiano fu la Libreria Macchiaroli a Napoli nel 1965. Successero ad esso un prototipo di bagno in vetroresina per la ditta Pisani e la vittoria del concorso Regolo d’oro Domus-Brenta Precompressi, sviluppato insieme agli ingegneri Ettore Minervini e Luciano Boscotrecase. L'edificio con travi portanti del 1967 è un esempio di questo approccio per la predilezione delle tecniche di prefabbricazione. Progettò gli interni della galleria d'arte Il Centro a Napoli e brevettò il modello di un chiosco in vetroresina. Contemporaneamente lavorò a Catania, dove realizzò il Negozio Fusodoro e il villaggio vacanze Touring Club di Francia a Calatabiano. Tra la fine del decennio e gli inizi del successivo, fu autore di diversi allestimenti commerciali di proprietà Fusodoro tra Palermo e Roma, nonché di progetti di design per Artemide. Negli anni ‘70 sviluppò progetti e modelli in Italia per un tavolo e per l'impresa di costruzioni di famiglia e negli anni ’80, a Milano sviluppò il prototipo di una bicicletta elettrica per il centro cittadino in collaborazione con Carla Matessi.
Si può affermare che questi lavori, li aveva condotti tra uno spazio e l’altro dei suoi lavori in Africa. Il progetto San Potito Sannitico nel 2015 nonché uno dei suoi ultimi lavori, in provincia di Caserta, lo vide realizzarsi con il contributo di studenti, architetti e gente comune per vivere il cantiere. Esperienza che, meglio di tanti libri, ci racconta qualcosa della teoria dell’architettura che serve a costruire una città migliore.
Carola prova a tratteggiarla come: "un luogo dove si lavora per 400 ore l’anno per la collettività che, in cambio, restituisce il necessario per mangiare e vestire e trascorrere le 5000 ore libere dedicandole al piacere, alla fantasia e alla creatività".
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