Circolarità e movimento spaziale: Giuseppe Perugini

Vittorio Miranda



Nato a Buenos Aires, (17 marzo 1914 - Roma 19 settembre 1995), arriva nella città eterna nei primi anni trenta, dove frequenta i maestri come Adalberto Libera. Si laurea nel 1941 alla Sapienza, dove poco dopo diviene docente di composizione architettonica. 

Dopo la guerra, inizia subito una intensa attività didattica e professionale, partecipando alle iniziative promosse dal Ministero dei lavori pubblici per la formulazione di una normativa destinata a uniformare i processi di ricostruzione del Paese; è stato componente di varie commissioni, tra cui quella dell'Istituto Superiore per l'Edilizia Sociale (ISES), per il recupero delle zone terremotate del Belice, la Consulta dei Ministero della Pubblica Istruzione per le normative sull'edilizia scolastica, la commissione edilizia e della commissione per lo studio dei nuovo assetto urbanistico dell'area metropolitana di Roma. Fondatore dell'Associazione per l'Architettura Organica, è stato dal 1962 al 1966 presidente dell'Ordine degli Architetti di Roma e Lazio e presidente dell'Opera Universitaria. 

Estremamente particolare è come la sua vita sentimentale sia stata estremamente intrecciata con la sua vita professionale. Infatti, a Roma conobbe Uga de Plaisant, ragazza di origini francesi nata nel 1917 ed iscritta alla facoltà di architettura nel 1937. Arrivano a formare una delle coppie più interessanti dell’architettura italiana ma anche una delle più dimenticate. È un romantico. Tanto da siglare, nel settembre del 1944, con il motto UGA (Unione Giovani Architetti), esattamente come il nome della compagna, il progetto di concorso per le Fosse Ardeatine, il primo importante lavoro che i due realizzano insieme, in collaborazione con l’altro gruppo classificatosi primo ex aequo: Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino.

Il memoriale, asciutto e essenziale, è unanimemente considerato il capolavoro dell’architettura italiana del dopoguerra. Eppure, insieme alla realizzazione di diverse opere seminali degli Anni Sessanta, non basta a impedire l’oblio critico dei due. Nella seconda metà degli Anni Settanta fare la tesi con il relatore Perugini era, tra i giovani impegnati della così detta Tendenza, considerato un ripiego se non un affronto: il personaggio faceva parte degli esclusi. Con Bruno Zevi, considerato poco più che uno squilibrato fissato contro la simmetria, e con Luigi Pellegrini, Maurizio Sacripanti e lo stesso Sergio Musmeci, relegato a insegnare una materia opzionale. Altri reietti: i professionisti, dentro e fuori l’accademia, quali Lucio Passarelli, Manfredi Nicoletti, Pietro Barucci e Piero Sartogo che avevano, agli occhi dei duri e puri dell’architettura disegnata, il torto di condurre una florida attività privata. 

Perugini e de Plaisant sono interessati agli sviluppi formali permessi all’architettura dalle nuove tecnologie, soprattutto quelle informatiche. Hanno, al pari dei migliori architetti della loro generazione, la certezza che il mondo va ripensato. Ciò vuol dire che ogni progetto deve ripartire da zero, utilizzando la lezione del passato non per ricopiare forme e modelli, ma per trarre insegnamenti tali da allargare il nostro orizzonte. Un metodo esattamente opposto a quello insegnato negli stessi anni dallo storicismo, dal Neoliberty e dal postmodernismo che, invece, vedono il passato come repertorio di modelli formali da riprendere, da citare e da copiare. Tra questi le torri a elica con sale girevoli per il concorso del Centre Pompidou (1971); l’ospedale di Pietralata a Roma del 1967, pensato per mettere l’uomo al centro facendogli girare attorno il sistema della cure gestito con moduli in movimento (sale operatorie, sale parto, laboratori di analisi) su una piastra elettromagnetica; il polo espositivo nella Fortezza da Basso a Firenze (1967) e la Nuova Galleria d’Arte Moderna di Milano (1970) per proporre inconsueti e più autentici modi di porsi rispetto agli oggetti e alle opere d’arte. 

E, infine, il ponte circolare sullo Stretto di Messina che ancora oggi ci colpisce per la sua originalità. Perugini e de Plaisant sparigliano il gioco: invece di un ponte tradizionale, sia pure geniale come quello celeberrimo di Sergio Musmeci, che ricorre a piloni e a una struttura strallata, ne propongono uno circolare e abitabile. L’anello ospita attività quali ristoranti, bar, negozi nei quali recarsi mentre il ponte stesso gira conducendo gli utenti da una sponda all’altra. La forma chiusa presenta il vantaggio di essere resistente alle forze del vento e ai terremoti. L’opera a malapena è stata presa in considerazione per essere riconsiderata solo in tempi recenti, più attenti alle sperimentazioni delle avanguardie. Un interesse che ha permesso di rivalutare un altro capolavoro: la casa sperimentale di Fregene.

Ecco, su questa voglio soffermarmi un po’ di più; la villa di vacanza di famiglia alla  realizzazione della quale ha partecipato pure il figlio Raynaldo, anch’egli architetto. La casa sperimentale è un organismo in tre corpi di fabbrica all’interno di un lotto di circa 3000 metri quadrati: la casa albero, la sfera e i cubi. Esprime l’idea che l’abitare non si risolve in un’unica formula e che lo spazio può essere articolato in forme tra loro molto diverse. La casa albero segue una logica libera per piani, la sfera lavora sul principio opposto della chiusura del volume e i cubi rispondono a un principio di funzionalità semplice e di matrice ortogonale al quale siamo più abituati.

Delle tre, la casa albero è la più affascinante. Evidenti i richiami alle teorie metaboliste secondo le quali a una struttura permanente corrisponde una sovrastruttura abitativa smontabile ed effimera. E difatti la casa, come ha notato con arguzia Raynaldo Perugini, rassomiglia a un giocattolo di famiglia che può essere montato e smontato, essendo articolato per piastre modulari appoggiate o appese alla struttura. Da qui anche la possibilità di giocare in mille modi con tutte le pareti che non rivestono alcuna funzione portante: possono essere chiuse, bucate parzialmente o totalmente, vi si possono appoggiare contenitori o, addirittura, capsule con i servizi igienici. Essendo appoggiate o sospese, le piastre possono essere sfalsate in altezza e tra piastra e piastra possono essere previsti giunti in cristallo che permettono di guardare sopra e sotto l’abitazione.

Sopra per ammirare il cielo. Sotto per godersi la vasca d’acqua che funge da piscina. In omaggio all’estetica brutalista, la casa è in cemento armato a faccia vista. La povertà dei materiali serve a esaltare la ricchezza della forma.

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