JIMMIE DURHAM A NAPOLI: L’UMANITA’ NON E’ UN PROGETTO COMPLETATO
Ai nostri tempi è abbastanza ricorrente, nell’arte, la definizione di artista e attivista,
anzi, spesso le due parole sono invertite. Si intendono così quegli artisti che
conducono anche azioni politiche e sociali su temi come il razzismo, la condizione
femminile, il genere, l’ambiente e così via. L’ultima edizione di Documenta Kassel ha
rappresentato la più vasta applicazione di questi concetti, ma pensiamo anche alla
fotografa americana Nan Goldin, che da tempo propone intensi lavori basati sulla
descrizione della vita sua e dei suoi amici, anche in situazioni di violenza e malessere
esistenziale, e che ora è stata inserita nella categoria degli attivisti per essere
protagonista del film “Tutta la bellezza e il dolore”, della regista Laura Poitras, che
documenta la sua lotta contro una potente famiglia industriale produttrice di
medicinali oppioidi (film, tra l‘altro, vincitore dell’ultima Biennale Cinema). Si
potrebbe divagare molto alla ricerca dei prodromi della figura dell’artista-attivista,
ma sicuramente la definizione è sempre stata usata a proposito di Jimmie Durham
che, dagli anni ’70, ha operato nei movimenti di liberazione dei popoli del terzo
mondo e, in particolare, sostenendo una sua appartenenza alle tribù Cherokee,
nell’American Indian Movement. Durham, nato nel 1940, è morto nel 2021 e ora la
città di Napoli, in cui ha vissuto per molto tempo, gli dedica una vasta personale, al
Museo d’Arte Contemporanea MADRE e alla Fondazione Morra Greco. La sua figura,
nella sua cinquantennale attività, ha acquistato sempre più risalto, fino alla
consacrazione col conferimento, nel 2019, del Leone d’Oro alla carriera alla Biennale
di Venezia. Fa parte di quella rara serie di artisti che influenzano colleghi e giovani,
divenendo quasi sciamani, diffusori di creatività. Ha praticato scultura, video,
performance, teatro, installazioni, disegno, pittura, collage, stampa ma forse la
pratica che meglio riassume il suo lavoro è la poesia. “Poeticamente abita l’uomo su
questa terra”, scrive Holderlin, ripreso da Heidegger. Così Durham trasformava le
sue multiformi pratiche in poesia, attraverso la creatività, mettendo in discussione le
forme dell’arte occidentale, la sua presunta superiorità, i suoi luoghi comuni. La
mostra di Napoli, nella sua vastità e varietà, ci consente proprio di costruirci una
immagine compiuta del suo percorso, a partire dall’importanza del linguaggio che
destruttura il logos, mina, con l’ironia e i giochi di parole, la nostra presunta
razionalità. Le sue sculture hanno la stessa radice poetica: sono assemblaggi di
oggetti scartati, abbandonati perché ormai ritenuti privi di utilità e di valore estetico,
che Durham recuperava e a cui conferiva nuova vita, nuovo senso, annullando
queste categorie. Le definiva “combinazioni illegali con oggetti rifiutati”. Gli oggetti,
per lui, conservano una storia, una memoria, possono raccontare, significare. Non
solo gli oggetti, anche gli animali, i minerali. Così portò alla Biennale della sua
consacrazione una lastra di pietra serpentina nera, con venature bianche, del peso
di mezza tonnellata, descrivendo i processi di estrazione e il viaggio che l’aveva
condotta fino a quel luogo, tempio dell’arte consacrata dalla critica e di tutto un
sistema commerciale, per la quale questo minerale rappresentava solo una cosa
ingombrante, che nessuno avrebbe portato in una casa o in un museo. Durham non
faceva un’arte direttamente impegnata o di denuncia, sosteneva che il grande
nemico è la stupidità umana e contro questa occorreva combattere con le armi
dell’intelligenza e della creatività. La visione dei suoi lavori, gli assemblaggi, i tavoli,
le foto crea la consapevolezza che è possibile usare il linguaggio, scritto, orale, la
materia in modo creativo, per stimolare l’intelligenza altrui e la propria. Dice in una
intervista: “Quello che veramente desidero è confondere la gente. Vorrei che dopo
aver visto le mie opere lo spettatore ne uscisse con una energia maggiore e dicesse:
“Oh sì, mi sento più forte”. Penso avrebbe condiviso l’affermazione di un altro
artista sciamano, Joseph Beuys: “La rivoluzione siamo noi”. Era estremamente colto
ma tendeva a non volerlo apparire, sue doti erano l’ironia, la capacità di spiazzare, di
ridicolizzare i miti del consumismo, come quando esponeva un’auto di lusso
schiacciata da un enorme masso, perché le macchine passano ma la natura resta.
Percorrere il terzo piano del bellissimo museo napoletano MADRE significa fare un
bagno di intelligenza e, effettivamente, uscirne sentendosi rafforzati. E’ poi il caso di
spostarsi alla vicina Fondazione Morra Greco, spazio aperto nel cinquecentesco
palazzo Caracciolo dal benemerito collezionista Maurizio Morra Greco, per
completare il percorso di conoscenza di Durham, in un itinerario che presenta
sculture, poesie, fotografie, documenti, alcuni dei libri che amava. Come scritto in
presentazione: “una riflessione sulla mostra come genere e spazio di condivisione
dell’esperienza estetica e dei saperi”. Un artista che recuperava la materia,
inscindibile in arte dal pensiero. Rivoluzionario perché, senza proclami, invitava
all’azione, a partire dall’intelligenza creativa, perché, come disse nel 2019 a Venezia,
“se continuiamo a cambiare le cose, invece di stare davanti al televisore, riusciremo
ad avere anche governi migliori”.
Sauro Sassi
JIMMIE DURHAM: HUMANITY IS NOT A COMPLETED PROJECT
MUSEO MADRE NAPOLI VIA SETTEMBRINI 79, VICINO AL DUOMO
FINO AL 10/04/2023
LU ME GI VE SA 10-19.30 DO 10-20 MA CHIUSO
BIGLIETTO INTERO 8 EURO RIDOTTO 4 (FAI, POSSESSORI DI CAMPANIA
ARTECARD, BAMBINI E RAGAZZI TRA 6 E 25 ANNI)
JIMMIE DURHAM: AND NOW, SO FAR IN THE FUTURE THAT NO ONE WILL
RECOGNIZE ANY OF MY JOKES
FONDAZIONE MORRA GRECO
NAPOLI PALAZZO CARACCIOLO DI AVELLINO – LARGO PROPRIO DI
AVELLINO
FINO AL 10/04/2023
DA GIOVEDI’ A SABATO DALLE 10 ALLE 18
INGRESSO GRATUITO
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