''PERFECT DAYS'' FILM WIM WENDERS 2023

 PERFECT DAYS FILM WIM WENDERS 2023



Un po’ complicato descrivere “Perfect days” perché contraddice la logica corrente per la quale un film dovrebbe raccontare una storia, avere una evoluzione narrativa che conduca a un finale. Qui si mostrano le giornate di un addetto alle pulizie dei gabinetti pubblici di Tokio (sulla tuta è scritto “The Tokio Toilet”). Si alza, sistema le coperte, lava i denti, aggiusta i baffi, esce, sale su un furgone, va al lavoro, che esegue con grande scrupolo, mangia al parco, rientra, va lavarsi in un bagno pubblico, cena in un ristorante popolare e così via. Azioni comuni, che ripete quotidianamente, e che vengono mostrate diverse volte. Cosa rende particolare questo signore? E’ solo e sembra estraneo al suo tempo. Non ha una sveglia, un televisore, una radio, un computer, uno smartphone, un Hi-Fi. Non ha un partner, amici, il collega di lavoro è un ragazzino petulante, sembra aver rotto con la famiglia; parla (poco) coi frequentatori di una specie di bar e con la signora che lo gestisce. Quindi è un film sulla solitudine e l’estraneità, come del resto diversi di Wenders. Spesso i suoi personaggi appaiono isolati, anche in mezzo agli altri, portatori di uno stato interiore che non riescono a condividere. La solitudine porta infelicità? In realtà Hirayama, il protagonista, non appare triste: uscendo di casa al mattino guarda il cielo e sorride. Nei brevi scambi casuali con frequentatori dei gabinetti, persone nel parco, clienti del locale che frequenta, dei bagni pubblici dove fa le sue abluzioni, riesce a creare piccoli momenti di simpatia, di umanità. La sua gentilezza di estende a pianticelle che raccoglie, porta a casa e accudisce all’interno dei suoi piccoli, abituali riti quotidiani. Fotografa con una macchina analogica le fronde di un albero per catturare i giochi della luce del sole che attraversa le foglie. Queste foto vengono poi raccolte in scatole metalliche e archiviate nel suo appartamento: anche questo un piccolo rito. Wenders, che ha fatto parte della nuova onda di registi tedeschi usciti negli anni ’70 (Herzog, Fassbinder, Kluge, Reitz…) ha diversi riferimenti culturali ma alla base c’è il suo riconoscersi appartenente a una nazione che è stata culturalmente colonizzata dagli Usa, così come il Giappone. Ha quindi scoperto e amato il regista che ha saputo uscire da questo condizionamento per creare un linguaggio autonomo, agli antipodi dagli stereotipi spettacolari americani: Jasujiro Ozu (1903-1963). Da Ozu non ha mutuato la tecnica ma l’idea che un film si può fare senza una storia, che, come dice in una intervista, le cose non si spiegano ma si mostrano, che le storie non devono costringere a una tensione e che lo sguardo della cinepresa non deve spiegare la realtà ma rivelarla. Così ci mostra il susseguirsi delle giornate di Hirayama, apparentemente tutte uguali ma sempre un po’ diverse (e ogni volta gli stessi gesti vengono ripresi in modo differente). Usa anche un formato dello schermo desueto, il cosiddetto 4:3, quello dei vecchi apparecchi televisivi, quasi quadrati, che gli permette di concentrare lo sguardo sul protagonista. Il contrario, ad esempio, dello schermo panoramico di “Paris, Texas” dove protagonista era il paesaggio americano. Occorre però un elemento che fornisca quel senso che le immagini non ci danno, anche all’esistenza del protagonista, e questo elemento è la musica. Ovviamente quella che piace a Wenders, il rock anglo americano. Hirayama va al lavoro con un vecchio furgone su cui è installato un lettore di audiocassette, quelle che tutti ascoltavamo decenni fa e che poi abbiamo gettato perché incompatibili con i nuovi apparati di riproduzione del suono. Tutti giorni, guidando, inserisce cassette di Lou Reed, Patty Smith, Van Morrison e così via. Questa musica sembra diventare la benzina spirituale che dà senso alla sua vita, alle azioni che compie. Anche le persone giovani che a volte ospita sul furgone guardano con curiosità questo dispositivo misterioso e ne sono in qualche modo affascinati, sembra che attraverso quei suoni si realizzi una condivisione di emozioni. Hirayama quindi ha raggiunto un equilibrio, fatto di abitudini, riti, emozioni, rapporti che danno valore alla sua solitudine, ne fanno qualcosa di non negativo ma addirittura un privilegio. Il suo è un equilibrio fragile, basta un contrattempo, come il suo giovane collega che si licenzia e lo costringe per un giorno a raddoppiare il lavoro, infrangendo le sue abitudini, a metterlo in crisi. Per la l’unica volta si arrabbia, usa addirittura il suo vecchio telefonino per comunicare all’azienda il suo disappunto. Poi c’è un altro piccolo accadimento, l’arrivo di una nipote adolescente, figlia di una sorella con cui Hirayama ha rotto i ponti, che è scappata di casa e ha deciso di rifugiarsi da lui. La nipote è in qualche modo affascinata da questa persona così diversa da quelle del suo ambito di relazioni e nello stesso tempo gli comunica il suo slancio giovanile, una vitalità che assomiglia a quella trasmessa dalla bambina Alice al suo solitario e casuale accompagnatore nel vecchio film di Wenders “Alice nelle città”. Con lei Hirayama rompe anche un po’ le sue abitudini, girano in bici, immaginano di raggiungere il mare. Le insegna che la vita ha senso nell’attimo presente e solo questo ha valore: “Adesso è adesso, un’altra volta è un’altra volta”. Forse sono anche per lui i momenti più belli (Wenders in una intervista diceva che la cosa più bella è stare soli stando insieme a qualcuno) ma capisce che non può durare, che la ragazzina deve tornare alla famiglia e quindi chiama la sorella, che evidentemente ha fatto scelte di vita del tutto diverse, e gliela restituisce, non senza comunicarle il suo apprezzamento: “E’ in gamba”. Torna alla sua vita, la sveglia all’alba, la cura delle piantine, la pulizia dei gabinetti, le foto al parco, le pagine di Faulkner, da leggere prima di dormire. Giorni perfetti, come canta Lou Reed. Il finale è splendido, con una lunga sequenza in primo piano di lui che guida il suo furgone con la voce di Nina Simone che canta “Feeling good”. Qui il volto dell’attore giapponese che interpreta Hirayama ci trasmette un'enorme quantità di emozioni, dalla gioia al pianto, e solo questi tre minuti credo gli valgano il riconoscimento della sua grandezza. Si esce commossi.
p.s.: per gli appassionati di architettura non si possono non ammirare le splendide toilet di Tokio, progettate da grandi architetti, ad ingresso gratuito, tutte diverse che meriterebbero di essere visitate come musei. Forse anche queste rappresentano una diversa civiltà.
qui il trailer del film https://www.youtube.com/watch?v=vj__7LO2cdc

SAURO SASSI

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