di Jürgen Gottschlich
(pubblicato su Spiegel Online, 18 ottobre 2007)
Il parlamento turco ha assicurato al primo ministro Recep Tayyip Erdogan il diritto di ordinare un attacco militare nel vicino Iraq. Potenzialmente si tratta di un via libera per una nuova guerra irachena – ma per ora, i tamburi di guerra rappresentano un modo per rafforzare le richieste della Turchia.
Istanbul – La frase "Tamburi di guerra ad Ankara " campeggiava oggi sulla prima pagina di Radikal, il quotidiano turco di centro-sinistra. Poche ore dopo, il parlamento turco assumeva una decisione storica. Per la prima volta dall’invasione di Cipro del 1974, il parlamento ha autorizzato un governo a inviare truppe in un paese vicino.
Con una schiacciante maggioranza di 507 votes (su 550), i delegati della Grande assemblea nazionale turca hanno consegnato un assegno in bianco al governo, valido per un anno, per ordinare all’esercito di condurre operazioni nel nord dell’Iraq.
Solo 19 parlamentari del partito kurdo Dtp hanno votato apertamente contro il provvedimento. Il primo ministro Erdogan ha uinsistito per uno scrutinio pubblico. "Il mondo deve vedere cosa prova il nostro parlamento", è stata la ragione ufficiale di Erdogan, ma il vero intento era quello di porre i riflettori sulla fazione kurda.
Il governo Erdogan ha atteso per giorni che tutti i restanti partiti avessero votato in favore dell’azione armata. "La nostra pazienza ha raggiunto un limite", ha detto Erdogan alla vigilia del voto, sintetizzando un sentimento diffuso. "Se l’Iraq intende evitare una campagna militare turca, deve prendere misure reali contro il Pkk", il Partito – separatista – dei lavoratori del Kurdistan. I kurdi iracheni, in particolare, ha detto Erdogan, devono "innalzare un muro tra loro e il Pkk". La minaccia di un’azione militare ha scatenato un’ondata di febbrili attività diplomatiche sia a Washington che a Baghdad.
Un pasticcio strategico per gli Stati Uniti
Il presidente Usa George W. Bush si è concentrato sulla gestione della crisi. Nel finesettimana, il sottosegretario alla Difesa Eric Edelman, un ex ambascitore statunitense ad Ankara che conosce bene la Turchia, e il vice-segretario di Stato Dan Fried hanno incontrato alti esponenti del governo turco. Bush stesso ha sottolineato pubblicamente, mercoledì, che mandare truppe in Iraq non sarebbe nell’interesse della Turchia. Ma la verità è che non potrebbe esserci nulla di peggio per gli interessi americani che l’apertura di un nuovo fronte nella sola parte stabile dell’Iraq.
Comunque, i problemi vanno avanti da un po’. Solo nelle ultime settimane, 30 soldati sono morti in attacchi e scontri armati diretti con i miliziani del Pkk. "Non possiamo tollerare oltre il fatto che gli Stati Uniti e il governo regionale kurdo del nord Iraq non abbiano fatto nulla contro il Pkk e ancora vogliano impedirci di attaccare i campi del Pkk nello stesso Iraq settentrionale. Se questo significa che ne soffriranno le relazioni con gli Stati Uniti, allora lo accetteremo. Siamo pronti a pagarne il prezzo", ha detto Erdogan.
L’irritazione di Ankara con gli Stati Uniti e il governo iracheno va oltre la loro tolleranza nei confronti del Pkk. La Turchia è indispettita anche da una decisione della commissione per gli Affari esteri del Senato, che, dopo anni di dibattito, ha votato per chiedere al Congresso Usa di giudicare i massacri degli armeni nel 1915 sotto l’Impero ottomano come genocidio, un termine che la Turchia respinge con forza quando viene utilizzato per definire i pogrom dell’epoca.
Se il Congresso Usa accoglie la risoluzione, ha detto il capo dello Stato maggiore turco Yasar Büyükanit in un intervista rilasciata in settimana, "le relazioni militari tra Turchia e Stati Uniri non saranno più le stesse". Apparentemente Washington sta prendendo sul serio le minacce di Ankara. Un partito ultra-nazionalista, l’Mhp, ha già chiesto al goveno di chiudere sia la base aerea Usa a Incirlik, nella Turchia meridionale, che i suoi confini con l’Iraq.
Entrambe le azioni costituirebbero un duro colpo per le truppe Usa in Iraq. Il Pentagono fa passare il 70 per cento dei suoi approvviggionameti attraverso Incirlik, e almeno un quarto della benzina che consuma l’esercito Usa viene portato in Iraq su camion provenienti dalla Turchia. Secondo il Wall Street Journal, il Pentagon sta già cercando percorsi alternativi attraverso la Giordania e il Kuwait, nonostante il fatto che entrambi sarebbero poco convenienti e rischiosi.
Per Bush, molto dipende da se riesce a convincere i suoi alleati kurdi nell’Iraq settentrionale a limitare gli attacchi del turko-kurdo Pkk in Turchia, almeno temporaneamente. Il portavoce del governo turco Cemil Cicek ha detto ieri: "Speriamo di non dover fare uso di questa mozione, ma è chiaro che un’invasione seguirà il prossimo rilevante attacco del Pkk".
Cosa potrebbe fare la Turchia
L’esercito turco nega di aver preparato i piani di un’invasione, ma sui media si è parlato di tre opzioni militari. La più ampia prevede l’avanzamento di un 20mila soldati per circa 40 chilometri (25 miglia) oltre il confine, con l’obiettivo di creare una zona cuscinetto nel nord Iraq destinata a impedire ai miliziani del Pkk di compiere ulteriori raid all’interno della Turchia. Una seconda opzione includerebbe un’invasione temporanea per attaccare i campi del Pkk nell’Iraq settentrionale e distruggere il sistema logistico della guerriglia, per poi ritirarsi in territorio turco. Una terza opzione sarebbe quella di ammassare più truppe lungo il lato turco del confine e lanciare attacchi aerei nel nord dell’Iraq.
Per ora, i tamburi di guerra hanno soprattutto lo scopo di attribuire il giusto peso alle richieste politiche della Turchia. Erdogan è consapevole dei costi legati a un’invasione dell’Iraq. Diplomatici dei paesi dell’Unione europea sono stati convocati stamattina al ministero degli Esteri di Ankara per ascoltare la posizione della Turchia.
Ma l’incontro politico chiave avrà luogo il 5 novembre. Per quel giorno Erdogan ha ancora in mente di sedersi con il presidente Bush, sebbene un manipolo di sostenitori della linea dura all’interno del suo proprio partito gli abbiano chiesto di cancellare l’incontro. I funzionari di Ankara non credono più che Bush abbia il potere di smorzare gli entusiasmi del congresso nei confronti della risoluzione sul genocidio armeno, ma Erdogan vuole impegnare Washington con la promessa secondo cui l’esercito Usa e i kurdi iracheni agiranno contro il Pkk nel nord Iraq. Se tornerà da Washington a mani vuote, comunque, difficilmente il primo ministro sarà in grado di tenere a freno i militari turchi.
(Traduzione di Carlo M. Miele)
(pubblicato su Spiegel Online, 18 ottobre 2007)
Il parlamento turco ha assicurato al primo ministro Recep Tayyip Erdogan il diritto di ordinare un attacco militare nel vicino Iraq. Potenzialmente si tratta di un via libera per una nuova guerra irachena – ma per ora, i tamburi di guerra rappresentano un modo per rafforzare le richieste della Turchia.
Istanbul – La frase "Tamburi di guerra ad Ankara " campeggiava oggi sulla prima pagina di Radikal, il quotidiano turco di centro-sinistra. Poche ore dopo, il parlamento turco assumeva una decisione storica. Per la prima volta dall’invasione di Cipro del 1974, il parlamento ha autorizzato un governo a inviare truppe in un paese vicino.
Con una schiacciante maggioranza di 507 votes (su 550), i delegati della Grande assemblea nazionale turca hanno consegnato un assegno in bianco al governo, valido per un anno, per ordinare all’esercito di condurre operazioni nel nord dell’Iraq.
Solo 19 parlamentari del partito kurdo Dtp hanno votato apertamente contro il provvedimento. Il primo ministro Erdogan ha uinsistito per uno scrutinio pubblico. "Il mondo deve vedere cosa prova il nostro parlamento", è stata la ragione ufficiale di Erdogan, ma il vero intento era quello di porre i riflettori sulla fazione kurda.
Il governo Erdogan ha atteso per giorni che tutti i restanti partiti avessero votato in favore dell’azione armata. "La nostra pazienza ha raggiunto un limite", ha detto Erdogan alla vigilia del voto, sintetizzando un sentimento diffuso. "Se l’Iraq intende evitare una campagna militare turca, deve prendere misure reali contro il Pkk", il Partito – separatista – dei lavoratori del Kurdistan. I kurdi iracheni, in particolare, ha detto Erdogan, devono "innalzare un muro tra loro e il Pkk". La minaccia di un’azione militare ha scatenato un’ondata di febbrili attività diplomatiche sia a Washington che a Baghdad.
Un pasticcio strategico per gli Stati Uniti
Il presidente Usa George W. Bush si è concentrato sulla gestione della crisi. Nel finesettimana, il sottosegretario alla Difesa Eric Edelman, un ex ambascitore statunitense ad Ankara che conosce bene la Turchia, e il vice-segretario di Stato Dan Fried hanno incontrato alti esponenti del governo turco. Bush stesso ha sottolineato pubblicamente, mercoledì, che mandare truppe in Iraq non sarebbe nell’interesse della Turchia. Ma la verità è che non potrebbe esserci nulla di peggio per gli interessi americani che l’apertura di un nuovo fronte nella sola parte stabile dell’Iraq.
Comunque, i problemi vanno avanti da un po’. Solo nelle ultime settimane, 30 soldati sono morti in attacchi e scontri armati diretti con i miliziani del Pkk. "Non possiamo tollerare oltre il fatto che gli Stati Uniti e il governo regionale kurdo del nord Iraq non abbiano fatto nulla contro il Pkk e ancora vogliano impedirci di attaccare i campi del Pkk nello stesso Iraq settentrionale. Se questo significa che ne soffriranno le relazioni con gli Stati Uniti, allora lo accetteremo. Siamo pronti a pagarne il prezzo", ha detto Erdogan.
L’irritazione di Ankara con gli Stati Uniti e il governo iracheno va oltre la loro tolleranza nei confronti del Pkk. La Turchia è indispettita anche da una decisione della commissione per gli Affari esteri del Senato, che, dopo anni di dibattito, ha votato per chiedere al Congresso Usa di giudicare i massacri degli armeni nel 1915 sotto l’Impero ottomano come genocidio, un termine che la Turchia respinge con forza quando viene utilizzato per definire i pogrom dell’epoca.
Se il Congresso Usa accoglie la risoluzione, ha detto il capo dello Stato maggiore turco Yasar Büyükanit in un intervista rilasciata in settimana, "le relazioni militari tra Turchia e Stati Uniri non saranno più le stesse". Apparentemente Washington sta prendendo sul serio le minacce di Ankara. Un partito ultra-nazionalista, l’Mhp, ha già chiesto al goveno di chiudere sia la base aerea Usa a Incirlik, nella Turchia meridionale, che i suoi confini con l’Iraq.
Entrambe le azioni costituirebbero un duro colpo per le truppe Usa in Iraq. Il Pentagono fa passare il 70 per cento dei suoi approvviggionameti attraverso Incirlik, e almeno un quarto della benzina che consuma l’esercito Usa viene portato in Iraq su camion provenienti dalla Turchia. Secondo il Wall Street Journal, il Pentagon sta già cercando percorsi alternativi attraverso la Giordania e il Kuwait, nonostante il fatto che entrambi sarebbero poco convenienti e rischiosi.
Per Bush, molto dipende da se riesce a convincere i suoi alleati kurdi nell’Iraq settentrionale a limitare gli attacchi del turko-kurdo Pkk in Turchia, almeno temporaneamente. Il portavoce del governo turco Cemil Cicek ha detto ieri: "Speriamo di non dover fare uso di questa mozione, ma è chiaro che un’invasione seguirà il prossimo rilevante attacco del Pkk".
Cosa potrebbe fare la Turchia
L’esercito turco nega di aver preparato i piani di un’invasione, ma sui media si è parlato di tre opzioni militari. La più ampia prevede l’avanzamento di un 20mila soldati per circa 40 chilometri (25 miglia) oltre il confine, con l’obiettivo di creare una zona cuscinetto nel nord Iraq destinata a impedire ai miliziani del Pkk di compiere ulteriori raid all’interno della Turchia. Una seconda opzione includerebbe un’invasione temporanea per attaccare i campi del Pkk nell’Iraq settentrionale e distruggere il sistema logistico della guerriglia, per poi ritirarsi in territorio turco. Una terza opzione sarebbe quella di ammassare più truppe lungo il lato turco del confine e lanciare attacchi aerei nel nord dell’Iraq.
Per ora, i tamburi di guerra hanno soprattutto lo scopo di attribuire il giusto peso alle richieste politiche della Turchia. Erdogan è consapevole dei costi legati a un’invasione dell’Iraq. Diplomatici dei paesi dell’Unione europea sono stati convocati stamattina al ministero degli Esteri di Ankara per ascoltare la posizione della Turchia.
Ma l’incontro politico chiave avrà luogo il 5 novembre. Per quel giorno Erdogan ha ancora in mente di sedersi con il presidente Bush, sebbene un manipolo di sostenitori della linea dura all’interno del suo proprio partito gli abbiano chiesto di cancellare l’incontro. I funzionari di Ankara non credono più che Bush abbia il potere di smorzare gli entusiasmi del congresso nei confronti della risoluzione sul genocidio armeno, ma Erdogan vuole impegnare Washington con la promessa secondo cui l’esercito Usa e i kurdi iracheni agiranno contro il Pkk nel nord Iraq. Se tornerà da Washington a mani vuote, comunque, difficilmente il primo ministro sarà in grado di tenere a freno i militari turchi.
(Traduzione di Carlo M. Miele)
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