di Vincenzo Jacovino
Il termine cultura è presente in tutti i dibattiti, convegni o meeting. Si discetta, si fanno analisi sociologiche ma anche economiche e politiche e tutto con l’intento, sotteso, di dare per ogni categoria una ricetta ben precisa e chiara. L’errore sta proprio nell’approccio perché della cultura non si può dare ricetta, affermava il critico e storico: Cesare Brandi e proseguiva: poiché la cultura non è l’erudizione ma diviene cultura solo quella che, entrando a far parte della cono-scenza, accresce la coscienza.
Si può anche non essere d’accordo, ma non può non interessare il modo in cui ci si posiziona di fronte alle cose, alle condizioni, ai casi che, di volta in volta, si presentano e che richiedono soluzioni e comportamenti culturalmente idonei. Una cultura da ricettario è sempre e comunque labile perché non ha radici né è libera dalle convenzioni tanto da facilitare lo slittamento lungo la faglia del tempo e dei condizionamenti e pregiudizi; mentre è risaputo che la cultura è un frammento della storia globale, qualcosa che si è concretizzata nei secoli e che non si perde, solo se accresce la coscienza individuale e collettiva. In questo modo si entra in un rapporto sincronico con gli accadimenti e con le cose tale da superare o ignorare barriere e discriminazioni di qualsiasi genere o ordine e, quasi sempre, si estroflettono angoli della coscienza per poterne demo-lire ogni alibi.
Certo una cultura, che si accumula nelle anse della coscienza, è curiosa inventiva libera da ogni convenzione e si pone all’attenzione di uomini, luoghi, fatti utilizzando raziocinio e tolleranza. Quando, invece, il termine cultura si applica ai più vari fenomeni sociali, quindi cultura da ricettario, allora la violen-za e la sopraffazione prendono il dominio creando una società di predatori, di facinorosi, di razzisti, di sopraffattori. E gli episodi accaduti in questi ultimi tempi sono una prova chiara, emblematica della mancanza di cultura nel nostro paese. Una cultura, in effetti, c’è ma è quella da ricettario, costituita da soldi, successo a qualsiasi costo, ma soprattutto violenza di qualsiasi tipo perché, oggi, la società è talmente permissiva e aculturale che nulla fa se il cittadino de-lingue con ossessionante frequenza.
Il termine cultura è presente in tutti i dibattiti, convegni o meeting. Si discetta, si fanno analisi sociologiche ma anche economiche e politiche e tutto con l’intento, sotteso, di dare per ogni categoria una ricetta ben precisa e chiara. L’errore sta proprio nell’approccio perché della cultura non si può dare ricetta, affermava il critico e storico: Cesare Brandi e proseguiva: poiché la cultura non è l’erudizione ma diviene cultura solo quella che, entrando a far parte della cono-scenza, accresce la coscienza.
Si può anche non essere d’accordo, ma non può non interessare il modo in cui ci si posiziona di fronte alle cose, alle condizioni, ai casi che, di volta in volta, si presentano e che richiedono soluzioni e comportamenti culturalmente idonei. Una cultura da ricettario è sempre e comunque labile perché non ha radici né è libera dalle convenzioni tanto da facilitare lo slittamento lungo la faglia del tempo e dei condizionamenti e pregiudizi; mentre è risaputo che la cultura è un frammento della storia globale, qualcosa che si è concretizzata nei secoli e che non si perde, solo se accresce la coscienza individuale e collettiva. In questo modo si entra in un rapporto sincronico con gli accadimenti e con le cose tale da superare o ignorare barriere e discriminazioni di qualsiasi genere o ordine e, quasi sempre, si estroflettono angoli della coscienza per poterne demo-lire ogni alibi.
Certo una cultura, che si accumula nelle anse della coscienza, è curiosa inventiva libera da ogni convenzione e si pone all’attenzione di uomini, luoghi, fatti utilizzando raziocinio e tolleranza. Quando, invece, il termine cultura si applica ai più vari fenomeni sociali, quindi cultura da ricettario, allora la violen-za e la sopraffazione prendono il dominio creando una società di predatori, di facinorosi, di razzisti, di sopraffattori. E gli episodi accaduti in questi ultimi tempi sono una prova chiara, emblematica della mancanza di cultura nel nostro paese. Una cultura, in effetti, c’è ma è quella da ricettario, costituita da soldi, successo a qualsiasi costo, ma soprattutto violenza di qualsiasi tipo perché, oggi, la società è talmente permissiva e aculturale che nulla fa se il cittadino de-lingue con ossessionante frequenza.
foto di gruppo Sinestetico
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