di Caterina Ciancaglioni
Napoli e la sua guerriglia urbana protagonisti di questi ultimi mesi riportano l’attenzione su un tema oggetto di numerosi dibattiti, ovvero quello delle nuove tecnologie in materia di smaltimento dei rifiuti. Il problema campano ha sollevato numerosi punti di domanda: perché proprio in questa Regione il dramma è esploso in tutta la sua grandezza e drammaticità? Perché le proteste dei cittadini sembrano, da un lato, andare contro gli interessi della popolazione stessa?
Il problema è ampio; problema economico, scientifico e sociologico allo stesso tempo.
Le tecnologie a disposizione per lo smaltimento dei rifiuti esistono, e possono essere migliorate,ma c'è grande confusione al riguardo. In primo luogo, parliamo di inceneritori, impianti che , mediante un processo di combustione, permettono l’incenerimento, appunto, dei rifiuti solidi urbani insieme all’emissione di gas e polveri. Ed ecco il primo problema: le ceneri più sottili e impalpabili rappresentano il 5% del totale delle scorie prodotte dagli inceneritori, ma sono in gran parte altamente tossiche e di difficile individuazione una volta che entrano nell’atmosfera; sono potenzialmente molto nocive e cancerogene. Il resto delle scorie è composto da materiali pesanti per circa il 20% in peso della massa di rifiuti iniziali, materiali che possono essere raccolti in apposite griglie ed opportunamente riciclati, ma solo se non contaminati durante il processo di combustione (si tratta in genere di alluminio, ferro,vetro ed eventuali altri materiali ferrosi).
Gli impianti di incenerimento più moderni, i cosiddetti termovalorizzatori rappresentano un passo avanti, per quanto modesto: il calore prodotto dalla combustione viene infatti raccolto e distribuito attraverso una rete di distribuzione di energia, e può arrivare a fornire una considerevole percentuale del fabbisogno energetico di una piccola-media città. Il nome di questo moderno impianto,però, secondo alcuni, può risultare fuorviante: infatti, l’incenerimento è comunque una tecnica di smaltimento del rifiuto, mentre l’accento andrebbe posto sulla corretta gestione del ciclo di produzione del rifiuto, cercando di diminuirne la mole complessiva attraverso incentivi al riuso ed al riciclo, e ponendo maggiore attenzione alla separazione dei rifiuti al momento della loro raccolta. In pratica, il termovalorizzatore può essere considerato un valida soluzione solo alla discarica, ma ciò non significa che non si debba prestare attenzione al momento della “nascita” del rifiuto stesso. Al nord (ad esempio a Brescia) alcuni moderni impianti sono riusciti nell’intento di smaltire rifiuti, e contemporaneamente produrre energia in maniera efficiente. Al sud, come è sotto i nostri occhi, tale efficienza non è stata raggiunta ed il problema è emerso a livello di emergenza ambientale. I più pessimisti dicono che ormai, anche con un lavoro a medio-lungo termine per eliminare i danni di questi ultimi giorni, gli effetti di contaminazione del terreno e dell'acqua sarebbero comunque destinati a permanere a lungo (per non parlare del procedimento che l'Unione Europea vuol portare avanti contro l'Italia per i fatti di Napoli).
La possibile soluzione per evitare altri disastri e per far fronte all'emergenza in atto, è ancora una volta, "solo" culturale: abituare la popolazione alla cultura dell'uso e riciclo (secondo un motto americano che da tempo sta avendo successo "Use. Reuse. Recycle") e dare maggiore priorità a politiche ambientali valide e sostenibili.
Napoli e la sua guerriglia urbana protagonisti di questi ultimi mesi riportano l’attenzione su un tema oggetto di numerosi dibattiti, ovvero quello delle nuove tecnologie in materia di smaltimento dei rifiuti. Il problema campano ha sollevato numerosi punti di domanda: perché proprio in questa Regione il dramma è esploso in tutta la sua grandezza e drammaticità? Perché le proteste dei cittadini sembrano, da un lato, andare contro gli interessi della popolazione stessa?
Il problema è ampio; problema economico, scientifico e sociologico allo stesso tempo.
Le tecnologie a disposizione per lo smaltimento dei rifiuti esistono, e possono essere migliorate,ma c'è grande confusione al riguardo. In primo luogo, parliamo di inceneritori, impianti che , mediante un processo di combustione, permettono l’incenerimento, appunto, dei rifiuti solidi urbani insieme all’emissione di gas e polveri. Ed ecco il primo problema: le ceneri più sottili e impalpabili rappresentano il 5% del totale delle scorie prodotte dagli inceneritori, ma sono in gran parte altamente tossiche e di difficile individuazione una volta che entrano nell’atmosfera; sono potenzialmente molto nocive e cancerogene. Il resto delle scorie è composto da materiali pesanti per circa il 20% in peso della massa di rifiuti iniziali, materiali che possono essere raccolti in apposite griglie ed opportunamente riciclati, ma solo se non contaminati durante il processo di combustione (si tratta in genere di alluminio, ferro,vetro ed eventuali altri materiali ferrosi).
Gli impianti di incenerimento più moderni, i cosiddetti termovalorizzatori rappresentano un passo avanti, per quanto modesto: il calore prodotto dalla combustione viene infatti raccolto e distribuito attraverso una rete di distribuzione di energia, e può arrivare a fornire una considerevole percentuale del fabbisogno energetico di una piccola-media città. Il nome di questo moderno impianto,però, secondo alcuni, può risultare fuorviante: infatti, l’incenerimento è comunque una tecnica di smaltimento del rifiuto, mentre l’accento andrebbe posto sulla corretta gestione del ciclo di produzione del rifiuto, cercando di diminuirne la mole complessiva attraverso incentivi al riuso ed al riciclo, e ponendo maggiore attenzione alla separazione dei rifiuti al momento della loro raccolta. In pratica, il termovalorizzatore può essere considerato un valida soluzione solo alla discarica, ma ciò non significa che non si debba prestare attenzione al momento della “nascita” del rifiuto stesso. Al nord (ad esempio a Brescia) alcuni moderni impianti sono riusciti nell’intento di smaltire rifiuti, e contemporaneamente produrre energia in maniera efficiente. Al sud, come è sotto i nostri occhi, tale efficienza non è stata raggiunta ed il problema è emerso a livello di emergenza ambientale. I più pessimisti dicono che ormai, anche con un lavoro a medio-lungo termine per eliminare i danni di questi ultimi giorni, gli effetti di contaminazione del terreno e dell'acqua sarebbero comunque destinati a permanere a lungo (per non parlare del procedimento che l'Unione Europea vuol portare avanti contro l'Italia per i fatti di Napoli).
La possibile soluzione per evitare altri disastri e per far fronte all'emergenza in atto, è ancora una volta, "solo" culturale: abituare la popolazione alla cultura dell'uso e riciclo (secondo un motto americano che da tempo sta avendo successo "Use. Reuse. Recycle") e dare maggiore priorità a politiche ambientali valide e sostenibili.
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