Gomorra

di Franco Pecori

Sull’idea che ciascun italiano, in quanto anche cittadino del mondo, possa avere circa la camorra e tutta la malavita organizzata, crediamo vi siano pochi dubbi. Ma guardare il diavolo in faccia ĆØ un’altra cosa.

E l’aspetto piĆ¹ interessante di un film ispirato ad un libro come quello di Roberto Saviano (vendute oltre un milione di copie) non ĆØ tanto nella soddisfazione che se ne puĆ² trarre nel sentirsi, mettiamo, “dalla parte giusta” riguardo ai contenuti, quanto nella necessitĆ , suggerita e “imposta” dall’autore proprio col suo film/cinema, di stabilire con camorra e relativo background un rapporto di interazione profonda, cioĆØ di co-struzione del senso, che non puĆ² limitarsi a giudizi stereotipi sul “male” che affligge la societĆ , ma che deve necessariamente avere a che fare col testo, col film, comprese le reazioni derivanti dallo stile del regista. In sostanza, il valore del film Gomorra sta principalmente nell’essere un film di Garrone. Dopo L’imbalsamatore (2002) e Primo amore (2003), il regista continua imperterrito nella sua visione a-emotiva, che per contrappasso fa risaltare, gli elementi piĆ¹ crudeli e feroci delle vicende narrate. O meglio, non narrate bensƬ “presentate”. Tra Napoli e Caserta la vita ĆØ come ghiacciata, “freddata” con uno degli stessi colpi di pistola e di mitra che risuonano nel film, a sorpresa e insieme naturali, espressioni di normalitĆ  necessaria quanto terribile.

Il paradosso estetico ĆØ dato dall’essenza composita dei personaggi (uno su tutti il Franco/Servillo, boss dei rifiuti tossici), i quali con-tengono in sĆ©, nelle loro voci (dialetto stretto con sottotitoli) e nei loro corpi, tutta la problematica sociale che li incatena in quella specie di santuario perverso dell’illegalitĆ ; e nello stesso tempo vivono di una loro autonomia cinematografica, fatta di momenti molto diversi tra loro, dettagli dell’inconsistenza e della disperazione coatta, che vanno a formare un destino chiuso, invalicabile: una vita recintata dal cordone mitologico che riduce ogni aspirazione a un generico, martellante e falso «Tutto a posto». Cinque storie, trascelte dal voluminoso lavoro di Saviano (lo scrittore ha partecipato alla sceneggiatura), si svolgono intrecciandosi senza alcuna progressione drammatica, tutto accade in forma di linguaggio, ogni violenza ĆØ messaggio per un discorso assurdamente autoreferenziale.

Ma la freddezza di Garrone non ĆØ distacco, non ĆØ lontananza, ĆØ piuttosto invito, indiretto eppure perentorio, alla riflessione. Dice uno dei ragazzi del film: «Abbiamo tutto, possiamo fare come ci pare». Non ĆØ vero, non hanno tutto e non possono fare come vogliono.

Titolo: Gomorra di Matteo Garrone, 2008.
Con: Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Salvatore Abruzzese, Giorgio Morra, Marco Macor, Ciro Petrone, Carmine Paternoster.

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