di Vincenzo Jacovino
Non sono sufficienti le leggi, né le sanzioni più pesanti a eliminare o ridurre le stragi delle morti sui posti di lavoro. Le morti bianche sono un’amara e tragica conseguenza del profitto ad ogni costo e finché le imprese, grandi o piccole, non si orienteranno verso una struttura socialmente responsabile, non si avrà mai vera e consistente riduzione di morti bianche. Le imprese non sono intaccate da simili stragi perché le conseguenze delle tragedie sono a carico sempre della comunità e poi è, ormai, diffuso l’idea della mercatizzazione non tanto del lavoro quanto del lavoratore. Se, infine, anche le istituzioni, al pari delle imprese, considerano che la sicurezza sul lavoro impone costi crescenti per cui tanto vale considerare il lavoratore una merce, allora il cerchio si chiude non solo a danno della comunità ma, più tragicamente, a danno dei lavoratori caduti e delle loro famiglie.
Ad ogni tragedia si genera un bla bla inconcludente intorno alle ispezioni, alle leggi, alle pene, alle richieste di formazioni ed informazioni che, comunque, sulla carta risultano esistenti, tutte però nessuno si chiede mai cosa hanno fatto le imprese per prevenirla. Esistono nei loro piani studi su i rischi delle attività in essere? Piani dettagliati e check list da mettere in atto nell’evolversi dell’attività per prevenire incidenti ?
Per carità, non si vuol fare dell’ironia ma ci sono, per chi lo ignorasse, anche i responsabili della sicurezza però manca, in sostanza, la sicurezza in quanto il lavoratore è, nel piano industriale dell’impresa, solo “mezzo” di produzione e di profitto. C’è poi, quasi sempre, un forte conflitto d’interesse tra impresa e responsabile della sicurezza in quanto, questi, è sovente un dipendente dell’impresa. Pertanto succede di frequente che il controllore è controllato. E’ del tutto naturale, allora, chiedersi, ma i fini dell’impresa, oggi, sono anche i fini di una comunità socialmente responsabile? O il lavoratore è un semplice “mezzo” dell’impresa fra i più intercambiabile di qualsiasi altro mezzo utilizzato dalla stessa?
Le stragi che quotidianamente si susseguono marchiano col sangue questi interrogativi e dubbi oltre a evidenziare quanto poco vale la vita del lavoratore, oggi, in una comunità incapace di valorizzare la fatica fisica. A ogni strage riprende il carosello dei dibattiti e delle promesse e si eludono artatamente gli interrogativi. Intanto ogni caduto, pur avendo un nome, è purtroppo senza più vita né volto né
.. un sorriso negli occhi di domani
però non
.. si estingue la (sua) sete di giustizia (C. Francavilla)
ma, soprattutto, con il suo silenzio tombale chiede alla comunità nazionale il risveglio della coscienza abbandonando lo stato letargico in cui da decenni è immerso.
E’ tempo che si chiarisca il ruolo del lavoratore non in quanto “mezzo” di produzione e di profitto o, peggio, in quanto merce anche se, ormai, merce siamo noi tutti, dichiarati prodotti di consumo. Ed è tempo che impresa e istituzioni acquisiscano finalmente la indispensabile cultura, nonché la struttura, socialmente responsabile. Non si ha cultura o struttura socialmente responsabile quando si fa dell’illegalità una prassi, perché è illegale anche eludere i costi della sicurezza.
Forse sarebbe più corretto definire questo comportamento: criminale.
Ad ogni tragedia si genera un bla bla inconcludente intorno alle ispezioni, alle leggi, alle pene, alle richieste di formazioni ed informazioni che, comunque, sulla carta risultano esistenti, tutte però nessuno si chiede mai cosa hanno fatto le imprese per prevenirla. Esistono nei loro piani studi su i rischi delle attività in essere? Piani dettagliati e check list da mettere in atto nell’evolversi dell’attività per prevenire incidenti ?
Per carità, non si vuol fare dell’ironia ma ci sono, per chi lo ignorasse, anche i responsabili della sicurezza però manca, in sostanza, la sicurezza in quanto il lavoratore è, nel piano industriale dell’impresa, solo “mezzo” di produzione e di profitto. C’è poi, quasi sempre, un forte conflitto d’interesse tra impresa e responsabile della sicurezza in quanto, questi, è sovente un dipendente dell’impresa. Pertanto succede di frequente che il controllore è controllato. E’ del tutto naturale, allora, chiedersi, ma i fini dell’impresa, oggi, sono anche i fini di una comunità socialmente responsabile? O il lavoratore è un semplice “mezzo” dell’impresa fra i più intercambiabile di qualsiasi altro mezzo utilizzato dalla stessa?
Le stragi che quotidianamente si susseguono marchiano col sangue questi interrogativi e dubbi oltre a evidenziare quanto poco vale la vita del lavoratore, oggi, in una comunità incapace di valorizzare la fatica fisica. A ogni strage riprende il carosello dei dibattiti e delle promesse e si eludono artatamente gli interrogativi. Intanto ogni caduto, pur avendo un nome, è purtroppo senza più vita né volto né
.. un sorriso negli occhi di domani
però non
.. si estingue la (sua) sete di giustizia (C. Francavilla)
ma, soprattutto, con il suo silenzio tombale chiede alla comunità nazionale il risveglio della coscienza abbandonando lo stato letargico in cui da decenni è immerso.
E’ tempo che si chiarisca il ruolo del lavoratore non in quanto “mezzo” di produzione e di profitto o, peggio, in quanto merce anche se, ormai, merce siamo noi tutti, dichiarati prodotti di consumo. Ed è tempo che impresa e istituzioni acquisiscano finalmente la indispensabile cultura, nonché la struttura, socialmente responsabile. Non si ha cultura o struttura socialmente responsabile quando si fa dell’illegalità una prassi, perché è illegale anche eludere i costi della sicurezza.
Forse sarebbe più corretto definire questo comportamento: criminale.
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