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di Roberto Tortora


E’ opportuno somministrare test di valutazione fin dai primi anni dell’asilo?
Michael Bloomberg, sindaco di New York, non ha dubbi in proposito. Prima del loro ingresso nelle elementari, i bambini della Grande Mela affronteranno test a scelta multipla e interrogazioni individuali tre o quattro volte l’anno, anticipando in tal modo l’impatto con ripetute batterie di esami che li accompagneranno fino al termine del liceo.
Negli Stati Uniti l’iniziativa ha suscitato la ferma opposizione di presidi, genitori e pedagogisti, tutti preoccupati per gli effetti negativi di una istruzione orientata più alla risoluzione dei test che non allo sviluppo di abilità trasversali e creative. Insomma, secondo i detrattori del modello Bloomberg, una scuola che persegua ossessivamente il successo nel testing rischia di soffocare (specialmente in tenera età) forme divergenti di intelligenza e la naturale curiosità di discenti.
In realtà, questo modello di valutazione si iscrive nel programma No Child Left Behind, varato da George W. Bush nel 2002 per elevare gli standard qualitativi del sistema scolastico americano e che inizialmente aveva incontrato un vasto consenso, favorito anche dal clima di ritrovata coesione nazionale successivo all’11 settembre. Con gli anni, però, sono emerse sempre più evidenti le criticità di NCLB che ne hanno minato le fondamenta scientifiche e la credibilità su vasta scala.
“Il rapporto “Margin of Errors”, prodotto dal centro americano indipendente di studi e ricerche "Education Sector", Washington D.C., rivela come fattori quali la scala utilizzata nelle prove strutturate imposta dalla riforma federale “No Child Left Behind”, le pressioni della competizione tra le ditte che fabbricano e vendono test, le scadenze ravvicinate imposte dai regolamenti, la penuria di esperti nella costruzione di test, la sorveglianza lassista da parte degli Stati , abbiano indebolito gli obiettivi della riforma federale NCLB tesa a conseguire standard più elevati d’istruzione in tutta la nazione”.
E’ lecito supporre che le polemiche newyorkesi si propagheranno presto anche in Europa e in Italia. Infatti la necessità di un rinnovamento del modello di valutazione – sia degli alunni che del sistema scolastico nazionale – è nell’agenda politica di tutti i Paesi avanzati.
Nel 2001, una Commissione di studio istituita dal ministro De Mauro adottò lo slogan “Non uno di meno”, che a sua volta richiamava il titolo italiano del famoso film del 1999 di Zhang Yimou. Obiettivo del ministro, e della giovane maestra cinese, era l’attuazione di una politica scolastica “inclusiva”, tesa a contrastare fortemente la dispersione e a fare in modo che non una sola energia, non un solo alunno andassero smarriti. Ma politiche di questo tipo hanno un costo elevato per la collettività e da più parti si crede che un buon metodo per ottimizzare gli investimenti consista proprio nella messa a punto di un sistema di valutazione basato su test di verifica nazionali: prove strutturate uguali per tutti, da somministrare a più riprese in tutte le scuole, per stabilire chi ha diritto ai bonus e chi invece merita di essere declassato.
Ora che l’avventura americana comincia a mostrare qualche crepa preoccupante, occorrerà vigilare perché non siano ripetuti goffi e improduttivi tentativi di imitazione.

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