IL VALORE ESTETICO NELL'ARCHITETTURA SOSTENIBILE - intervista all'arch. Loreta D'Errico








Chad Oppenheim, tetto del grattacielo Cube a Miami.





Chiara Di Salvo


L’architettura è, da sempre, considerata una delle arti nobili poiché in essa converge lo studio dello spazio per vivere bene e la ricerca del bello attraverso forme plastiche.

Partendo dunque dal presupposto che l’architettura è la manifestazione del bello nella realtà,

possiamo pensare quale attenzione venga posta verso di essa nella bio-architettura.


Ma se partiamo dal presupposto che l’architettura è la manifestazione del bello che si può vivere e respirare e che la bio-architettura ha un’ulteriore attenzione nei confronti dell’ambiente e del territorio, secondo lei come mai la gente, pur conoscendo le (sporadiche) campagne a favore di questo settore non riesce a convincersi del suo potenziale?

Prima di cominciare a spiegare i concetti, vorrei fare una premessa: il termine “bio” ormai oggi è fuori luogo perché tramutato ed ampliato in un altro concetto molto importante quale quello di architettura sostenibile.

Detto questo, vorrei spiegare cos’è, almeno secondo il mio parere, una buona architettura.

Una buona architettura dovrebbe essere ben costruita, garantire un ottimo confort interno e nel contempo essere gradevole alla vista ed avere un buon rapporto con il territorio. Dovrebbe sottrarre da esso la minor quantità possibile di risorse naturali ed anzi, essere in grado di dare un contributo energetico attivo più che passivo attraverso le nuove tecnologie di cui disponiamo (alcuni esempi sono il fotovoltaico, il geotermico, il solare termico, l’eolico, ecc...).

Questo, a mio avviso, si riassume nel concetto di architettura sostenibile, un'architettura tanto vicina al territorio quanto al fruitore finale, un'architettura consapevole dei limiti delle risorse e che dà il proprio contributo per non pesare più dello stretto necessario.

Lei ha ragione a dire che in Italia la sensibilizzazione pubblica è poca ed incostante…

Ma una coscienza ambientale che può essere incrementata attraverso i mezzi di comunicazione ed in primis da un sistema che veda e riconosca l'accettazione di un'architettura sostenibile.

Si tratta di un'architettura che per crescere necessita di essere condivisa dal pubblico, di essere capita e apprezzata e i tecnici e le amministrazioni hanno il dovere di formare una nuova generazione in grado di capirla e di trovarla necessaria.

Il “sostenibile” è, dunque, sensibilità.

Ma la trasformazione, anche terminologica, del concetto che da “bio” diventa “sostenibile” è avvenuta o ha influito in qualche modo anche sulla visione di quello che effettivamente è l’estetica in architettura? E in questa trasformazione, se accettata, l’attenzione delle persone in che cosa si è concentrata?

Dal 2002 ad oggi si sono fatti numerosi passi avanti.

Il nostro Paese ha cominciato a promuovere l'integrazione di nuove tecnologie per il risparmio energetico in edilizia ed anche la molto radicata tradizione costruttiva ha cominciato, seppur molto lentamente, a mutare per fare posto a nuovi elementi prima marginali ed ora molto importati (ad esempio le serre solari o i maggiori spessori di isolati).

Com'è stata la reazione del pubblico di fronte a queste nuove integrazioni?

Fino ad ora non c’è stata ancora la possibilità (per il residenziale a misura di cittadine) di verificare esteticamente grandi cambiamenti. Le nuove normative infatti non hanno mutato, se non per l'integrazione con impianti solari a tetto ed altri piccoli accorgimenti tecnologici, l'estetica dei nostri edifici ed è forse questo il motivo per cui il trovarsi di fronte ad una casa in legno, ad una serra solare o ad un sistema di ombreggiamento mobile particolare comporti qualche problema.

Ci stiamo muovendo ma lentamente e coloro che corrono di più, cioè i progettisti che vanno verso un'architettura sotenibile meno radicata nella tradizione costruttiva, non vengono capiti per mancanza di elementi conoscitivi.

Domandandomi quale sia il problema nell'accettazione del nuovo e del diverso mi assale la consapevolezza che, dopotutto l'esistenza dell'uomo è stata solcata da molteplici situazioni, seppur diverse, dove l'accettare qualcosa di nuovo e di diverso è stato ritenuto un problema.

Ma è parte della nostra storia e forse saranno solo il tempo e il prendere visione diretta attraverso esperienze che potrà mutare il pensiero sociale.

La voglio provocare. Lei ha parlato di case con tetti verdi e di serre solari. Partendo dal presupposto che sono esteticamente valide, in un contesto come quello cittadino non crede che scoraggi la gente a richiedere un tipo di progettazione del genere e, quindi, sostenibile? Non ha paura che “non ritengano bella” la propria casa?

Anche in questo caso, la questione non è concentrata sul “bello” ma sul “nuovo”: il nuovo può essere bello? Oppure è priorità della tradizione esserlo?

Il beneamato mattoncino facciavista avrà la meglio sulla metamorfosi architettonica?

Il pubblico riuscirà ad accettare l'idea di una nuova architettura fatta di tetti verdi, di pale eoliche e di materiali riciclati che copriranno le loro case?

Io sono convinta che sia possibile un'integrazione, che nuove architetture possano convivere con architetture più tradizionali poiché la bellezza può essere ovunque.

Ma più di ogni altra cosa, sono convinta che il nostro pianeta abbia bisogno di tutti noi e che per qualunque tipo di costruzioni debbano comunque essere perseguite le qualità della sostenibilità.

Architetto Loreta D’Errico

Per info, mail: loreta@derricoarchitects.com

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