FEDERICO FELLINI La svolta de La dolce vita





di Gordiano Lupi


Federico Fellini A cinema greatmaster, un libro di Gordiano Lupi pubblicato da Mediane - Carta fotografica – Selezione di foto originali.

Fellini è senza dubbio il regista Italiano più conosciuto al mondo, oltre ad essere considerato come una fra le menti più fertili e visionarie del nostro cinema del dopoguerra. Più di ogni altro regista egli è stato in grado di trasformare la realtà della vita nel surrealismo della propria arte. Per quanto proveniente dalla scuola del neorealismo, l’eccentricità delle caratterizzazioni di Fellini e la sua “commedia dell’assurdo”, lo hanno allontanato dai suoi colleghi contemporanei quali : Vittorio de Sica o Roberto Rossellini, identificandolo fino a renderlo unico. Gordiano Lupi ripercorre la vita e la carriera cinematografica del grande regista riminese, integrando gli scritti da numerose citazioni del maestro, oltre ad una approfondita analisi di tutta la sua produzione. Una selezione di rare ed inedite fotografie, ritraggono Fellini in vari momenti: sul set, dietro la macchina da presa ed in numerose istantanee di vita pubblica e mondana.



La dolce vita (1960) racconta la vita fallimentare del giornalista Marcello Rubini (Mastroianni) che ha abbandonato ogni ambizione letteraria, scrive per una rivista scandalistica e frequenta le notti romane a caccia di emozioni. Il film inizia con una visione simbolica del giornalista che sorvola la città in elicottero trasportando una gigantesca statua di Cristo. Fellini utilizza la dissolvenza per inserire nuove situazioni che presentano reporter d’assalto, tentati suicidi e un’attrice che arriva all’aeroporto. La parte interpretata da Anita Ekberg impegna buona parte del primo tempo e presenta un’attrice simbolo del modello felliniano di donna opulenta e sensuale. “Anitona Ekberg mi ricordava le prime tedesche che arrivavano a Rimini in sidecar, già ad aprile si spogliavano sul molo e si tuffavano nell’acqua gelida, come trichechi”, commenta Fellini.
Anita incontra Marcello davanti al panorama di San Pietro, finisce nel bel mezzo di una festa alle Terme di Caracalla, balla mambo e cha cha cha, soccorre un gattino per i vicoli di Roma, trascorre una notte brava che termina con un bagno nella Fontana di Trevi. La serata di musica frenetica mette in primo piano un giovanissimo Adriano Celentano con il suo clan, tra i protagonisti della festa. Un altro episodio polemizza con le false apparizioni mariane e la credulità popolare, ma sono sequenze che portano problemi con il Vaticano e con la stampa cattolica. Rubini passa il tempo seduto ai tavoli dei bar di via Veneto, collabora con un fotografo soprannominato Paparazzo (da questo film nasce il neologismo), si immerge in un mondo rutilante e borghese. Il giornalista incontra il padre e i due trascorrono una serata al night, dove il genitore si invaghisce di una ballerina. Marcello è fallito anche come figlio, perché ammette di non conoscere il padre, un uomo troppo impegnato per dedicargli tempo. Il dialogo padre - figlio a casa della ballerina, dopo un malore che finisce per far fallire il rapporto, è un grande pezzo di teatro.

Il vecchio genitore dà le spalle al figlio, guarda fuori dalla finestra e mormora: “Bisogna che vada”. Non accetta il passare del tempo, vorrebbe essere ancora giovane, non dover giustificare un malore, soprattutto non doversi vergognare davanti al figlio. Lo scrittore fallito Steiner (Alain Cuny) afferma di essere “troppo serio per fare il dilettante e incapace di fare il professionista”, ma soprattutto non riesce a vivere distaccato dalla realtà e fuori dal tempo. Ama i suoi figli con tutto il cuore, li bacia prima di andare a dormire, li accudisce, ma finisce per ucciderli e si suicida con un colpo di pistola alla tempia. Marcello deve consolare la moglie affranta dal dolore, mentre reporter cannibali scattano foto a ripetizione. “Forse aveva paura di se steso. Di noi tutti”, conclude Marcello. A questo proposito citiamo un’interpretazione avanzata da Mario Aprile Zanetti che vede come chiave di lettura del film la presenza di due nature morte di Giorgio Morandi nella sala dove si svolge il dialogo tra Steiner e Rubini. “La natura morta di Morandi e la sequenza del salotto intellettuale di casa Steiner rappresentano una grande varietà di bottiglie e di persone. Mastroianni e Cuny oltre che del quadro parleranno anche dell’esistenza umana, sospesa tra paura e desiderio, entusiasmo e depressione, ordine e caos”. (M. A. Zanetti - La natura morta de La dolce vita - Istituto Italiano di Cultura e New York Film Academy).

L’interpretazione di Zanetti mette in stretta connessione Giorgio Morandi e Federico Fellini, come due artisti capaci di creare capolavori partendo dalle cose semplici e da attori poco conosciuti. Il tema del film diventa quello dell’arte in generale: la vita stessa come capolavoro.
La vita di Marcello Rubini prosegue con una giornata trascorsa in un locale sul mare dove scrive un articolo, conosce una ragazzina che fa la cameriera (Valeria Ciangottini) e si lascia infastidire dalle note del juke-box. La notte romana prosegue con un festino a casa di nobili, tra prostitute che dicono di amarlo, omosessuali, spogliarelli e finte sedute spiritiche. Marcello litiga con la compagna, è insoddisfatto di tutto e non sopporta l’amore come convenzione borghese. “Non vuoi bene a nessuno. Resterai per sempre solo”, dice lei. “Non posso passare la mia vita a voler bene a te”, risponde il giornalista.

Fellini ritrae Marcello come un uomo perennemente inquieto, insoddisfatto della vita, deluso da tutto, persino dall’amore. Non è un personaggio positivo, ma è soltanto un giornalista che si vende per denaro, che intervista il maggior offerente e che scrive ciò che vuole il pubblico. Il film è una discesa negli inferi di una città degradata, tra nobildonne che si lasciano cavalcare, si spogliano per noia e scelgono gli eccessi per sentirsi vivi. Un barlume di speranza è racchiuso in uno splendido finale che si stempera tra il rumore del mare e gli occhi innocenti di Valeria Ciangottini, ultimo incontro di Marcello mentre sulla spiaggia sta spuntando l’alba. Il giornalista, però, non sente le parole dell’innocenza, il rumore soffoca ogni cosa, lo sguardo dolce della ragazza resterà un ricordo, perché lui seguirà i borghesi annoiati.

Gli sceneggiatori Tullio Pinelli, Brunello Rondi, Ennio Flaiano e Federico Fellini descrivono incontri erotici, orge e folli avventure. Il film è un viaggio nella notte romana, all’interno di una società corrotta dove crollano miti, valori e convenzioni. La pellicola è teatrale, girata quasi tutta in teatri di posa, con pochi esterni, costruita su parti liriche e grandi prove recitative. Fellini cita il circo in un paio di sequenze al night quando presenta una sorta di clown come domatore musicale di tre donne vestite da belve. Subito dopo entra in scena un triste suonatore di tromba che fa l’incantatore di palloncini mentre intona un languido motivo.
La dolce vita fa da spartiacque della produzione felliniana e dà il via a una serie di pellicole meno legate alle tradizionali strutture narrative. È una pietra miliare della carriera di Fellini ma anche della storia del cinema, perché rompe con un vecchio modo di raccontare storie sul grande schermo. Marcello Mastroianni diventa l’alter ego del regista, che attraverso le parole dell’attore esprime la sua analisi spietata di una società borghese in disfacimento. Fellini non sarebbe d’accordo con questa considerazione perché ha sempre detto: “Marcello Mastroianni non è il mio alter ego, sono io a essere il suo alter ego!”.

La pellicola suscita enorme scandalo, sia per la scena del bagno nella Fontana di Trevi, sia per l’orgia finale con spogliarello, sia per alcune scene di amori extraconiugali. Oscar Luigi Scalfaro scrive due articoli come Basta! e La sconcia vita per mettere all’indice La dolce vita su L’Osservatore Romano, proprio mentre in parlamento si discute sulla moralità dell’opera. Tra i critici cattolici il film viene difeso soltanto da padre Angelo Arpa, gesuita e filosofo amico di Fellini. Arpa intuisce il grande impatto estetico e sociale della pellicola, ma paga di persona per le sue idee liberali, visto che il Vaticano gli vieta di parlare di cinema in pubblico. Nonostante tutto il film conquista la Palma d’Oro a Cannes e Piero Gherardi vince l’Oscar per i costumi. La dolce vita è un film epocale anche perché Fellini riesce a inventare una nuova frase popolare che resta nel gergo quotidiano insieme a vitelloni, paparazzi e bidone. Non manca una satira dai toni farseschi ispirata a La dolce vita diretta nel 1961 da Sergio Corbucci, su soggetto di Steno e Lucio Fulci: Totò, Peppino e la dolce vita. Totò e Peppino De Filippo sono i mattatori di una commedia che riprende luoghi e situazioni del film originale tuffandoli nell’acido corrosivo della farsa.

La dolce vita porta a Fellini non pochi problemi dal fronte cattolico, ma pure le sinistre non si fidano di lui perché rifiuta di accettare il punto di vista marxista. Tutto questo non reca conseguenze negative al regista che viene premiato in tutto il mondo come autore geniale. Fellini va oltre le ideologie, deforma la realtà ma la racconta con poesia e libertà, miscelando neorealismo a eccessi barocchi.

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