di Rosa Tiziana Bruno
Premio “Cibo da fiaba” 2009 – Torino– Italia
Sul finire della giornata, il Maestrale si presentò alle porte della città annunciando la notte più gelida dell’anno. L’aria fredda si infilò nelle strade, spazzando via tutto, scompigliando i passanti e scuotendo le insegne. Perfino i piccioni sembravano perdere l’equilibrio in quel turbine improvviso. Avvolte nei loro cappotti consumati, Safi e sua madre Dara camminavano frettolose verso casa, scortate dal sibilo del vento. Intorno giornali strappati e svolazzanti, buste di plastica danzanti, cartelloni stradali che si dimenavano. Da quando si era trasferita in Europa, per Safi il freddo era diventato uno spettacolo quotidiano.
Le faceva compagnia anche fra le mura spoglie della sua cameretta, in quell’appartamento umido di periferia che suo padre Badù aveva affittato un anno fa. Ma quella sera, chissà perché, pareva pungere più intenso del solito. Seguendo con lo sguardo una foglia di acero che si infilava sotto i portici, Safi notò un gruppo di ragazzini chiassosi. Correvano con il fiato mozzato e la bocca aperta a raccogliere il vento. In quell’istante le venne spontaneo ripensare alle folate d’aria che le avevano accarezzato la faccia da piccola. Si vide mentre giocava sulla sabbia lanciando risate nel vuoto, in un paesaggio deserto e accecante.
Nella terra del Ghana la parola vento racchiudeva significati di tepore e di lentezza. Niente a che vedere con l’aria gelida dell’Europa. Il primo paese in cui si era stabilita era stato la Norvegia. Lì Safi aveva visto cose stupefacenti. Le onde del mare battevano contro il molo e il vento le ghiacciava trasformandole in sculture. Sulle prime aveva creduto ad una stregoneria. C’era voluto del tempo per abituarsi a quello spettacolo. Poi, per fortuna, si era trasferita in Italia dove il freddo mordeva meno. Ma il calore dell’Africa era ancora troppo lontano. Grazie ad un passo frettoloso, Safi adesso era finalmente a casa. Cena e a letto. Separata da una parete sottile, nella stanza accanto, anche sua madre Dara era già tra le lenzuola.
Una pesante giornata di lavoro l’aveva affaticata, come sempre. Ma forse la sua stanchezza nasceva anche da altro. Suo marito se ne era andato da più di un mese lasciandola con un addio pungente: la miseria e la difficoltà di sopravvivere lo avevano reso agitato e nervoso. Safi si addormentò presto quella sera, ma alle tre era di nuovo sveglia. Cominciò a girarsi, prima piano, poi sempre più forte. Infine si mise a pancia in su, rassegnata. Le tornò in mente il volto del suo papà. Sapeva che non si sarebbe riaddormentata. Accese la luce e cominciò a fissare il soffitto. Fu in quel momento che sentì una strana melodia. Era la sua mamma che canticchiava a bassa voce, nella loro lingua. Il silenzio della notte incorniciava quella splendida canzone. Safi pensò che le sarebbe piaciuto conoscere il significato di delle parole.
Sapeva poco delle sue origini. Scese dal letto, percorse a piedi nudi il corridoio e bussò alla porta di sua madre:
-Neanche tu mamma riesci a dormire stanotte? -
-Proprio no! –
-Neanche tu mamma riesci a dormire stanotte? -
-Proprio no! –
Accesero un paio di candele profumate, spensero la luce e si misero ad osservare la notte dietro i vetri della finestra. In silenzio. Improvvisamente udirono uno strano fruscio dalla cucina. All’inizio non ci fecero caso, ma quel piccolo rumore si ripeté.
- Sssst, andiamo a vedere cosa succede- suggerì Safi
La madre la seguì in punta di piedi, nel buio del corridoio. Accostarono l’orecchio alla porta della cucina e sentirono delle vocine stridule provenire dalla credenza:
-Non sapevo che voi cioccolatini foste così in confidenza –
-Trascorriamo molto tempo vicini, dentro la stessa scatola. E’ quasi inevitabile diventare amici!–
Safi e sua madre, ascoltando quella conversazione, pensarono d’essere sull’orlo della pazzia. Si precipitarono ad aprire lo sportello della credenza, ma non si sentiva più nulla.
-Ah, volevo ben dire!- esclamò la mamma sollevata.
Silenzio. Poi di nuovo una vocina:
-Invece no! Noi pensiamo e chiacchieriamo benissimo!-
-Chi ha parlato?- sussultò Safi
-Io, quello incartato di rosso, non mi vedi?-
Silenzio. Poi di nuovo una vocina:
-Invece no! Noi pensiamo e chiacchieriamo benissimo!-
-Chi ha parlato?- sussultò Safi
-Io, quello incartato di rosso, non mi vedi?-
Mamma Dara e la sua piccola si guardarono allibite. Non sapevano cosa pensare, eppure non c’erano dubbi: i cioccolatini parlavano per davvero!
-Avete bisogno di consolazione. Mangiate uno di noi e vi sentirete meglio – esclamò uno di loro.
-Sei solo uno sbruffone incartato!- sbottò Safi fingendo sicurezza.
-Sei solo uno sbruffone incartato!- sbottò Safi fingendo sicurezza.
Madre e figlia si sentivano come in un incantesimo e cercavano di fare appello alla ragione, ma in realtà non c’era nessuna spiegazione a quello che stava accadendo. Possibile che le cose dolci avessero un’anima? Qualche istante di esitazione, poi Dara raccolse un cioccolatino dalla scatola. Lo scartò, l’accostò alle labbra e ne respirò il profumo. Assaporandolo sentì la cioccolata fondersi sulla lingua al calore del palato.
-E io?-
chiese d’improvviso una voce dal tono polveroso, proveniente dalla credenza. In quell’istante Safi notò il pacchetto di cacao agitarsi nella sul fondo del ripiano in basso: -Anche il cacao parla adesso!- esclamò stupefatta
-Si che parlo, e voglio finalmente dirvi che mi sento abbandonato, non mi usate mai-
-E’ solo perché manca il tempo…- si giustificò mamma Dara.
Ma il cacao continuò la sua lamentela, ripetendo che si sentiva inutile e annoiato. Gli altri pacchi, il riso o gli spaghetti, venivano usati ogni giorno mentre lui se ne stava lì in attesa. Aspettava qualcosa, qualunque cosa, purché fosse alla sua altezza, s’intende! Del resto lui non era certo un ingrediente qualunque. Aveva fatto tanta strada, aveva attraversato mari e ascoltato dialetti intraducibili. Ora chiedeva soltanto di essere apprezzato fino in fondo.
Fu in quell’istante che Dara ebbe un’idea. Indossò il grembiule, prese il pacco di cacao dal suo angolino e lo poggiò sul tavolo. Uno sguardo di intesa con la sua piccola e immediatamente si arrotolarono le maniche del pigiama. Safi aprì delicatamente il pacchetto. Il cacao si sentì rovistare all’interno dell’anima. Poco dopo sentì che il suo sentimento veniva preso a manciate e versato in un liquido a base di burro e latte. Sentì che finalmente la sua esistenza acquistava un senso. Amalgamato, girato e rigirato, divenne morbido e cremoso. A quel punto una cascata di zucchero e pinoli lo invase. La voce di Safi contava: -un uovo, due uova, tre uova – .
Intanto sui fornelli, in un recipiente, ribollivano dei pezzetti di cioccolato fondente insieme al rum e all’uvetta. Il tepore li gonfiava di riconoscenza e sprigionavano un aroma che superava i confini delle mura della cucina. Dara tagliò le banane con estrema cura. Sulla tovaglia manciate di farina sparse attendevano l’arrivo del cioccolato che troneggiava nel suo composto morbido, nero e vellutato, pronto per essere massaggiato energicamente.
C’era molto calore nel tocco di Dara, il calore del sole d’Africa. Lo stesso calore che è prigioniero nei semi di cacao e aspetta con pazienza di essere liberato. Qualche minuto ed il forno era già in rovente attesa. Mamma Dara però continuava a massaggiare. Sapeva che non bisogna avere fretta quando si prepara un dolce di cioccolata. Perché non deve solo piacere, ma deve tirare fuori quello che di morbido e puro c’è dentro ognuno.
Ormai era quasi pronto e l’odore del cioccolato cominciò a spargersi generosamente tutto intorno. Impregnò i muri della cucina, si impossessò di mobili e porte, scivolò lungo il pavimento. Ma non era finita. Il profumo superò i confini della casa, trapassò i vetri chiusi e raggiunse gli altri palazzi soffiati dal vento. Tutte le abitazioni e le strade furono sazie di cioccolato e sorridenti. L’odore penetrò ovunque, svegliando quelli che dormivano senza sognare.
Ogni cosa divenne di cioccolata: le tende, i quadri, i lampadari, i saponi. La gente si alzò dal letto felice e cominciò a leccare pezzi di muro, imbrattandosi mani e guance. Anche Safi appoggiò il gomito alla parete e scoprì che era diventata morbida come un panetto di burro. Provò a spingere un po’ e ci entrò dentro con tutto il braccio.
Quando lo tirò fuori non poté fare a meno di leccare tutta la cioccolata che si era appiccicata sulla pelle. Buona e golosa. Tutti in città ormai avevano le labbra sporche e profumate e molti provarono a seguire la scia dell’aroma per capire da dove provenisse. In pochi attimi una folla si raccolse davanti all’appartamento di Safi. Quando Dara aprì, un applauso scrosciante l’avvolse. Il dolce di cioccolata fu sfornato e bastò straordinariamente per tutti.
Mentre assaporava, Safì sbirciò attraverso i vetri della finestra e vide la notte immersa in un silenzio di stelle. Si sentì per un attimo come nel suo villaggio, dove la gente festeggiava con nulla. Mamma Dara, invece, volò con il pensiero fino a suo marito Badù. Volò sui sogni e le speranze. Cominciò nuovamente a sperare e a credere nella magia della vita: -
Mettiamo da parte una fetta per papà- disse -magari dopo arriverà anche lui-. In fondo era una notte di cioccolata, poteva accadere tutto.
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