Natty Patanè
Tra costi e dubbi le domande di un educatore di comunitÃ
Tra costi e dubbi le domande di un educatore di comunitÃ
Alba sta dietro la scrivania della segreteria della comunità , una comunità per minori come tante altre. Mi guarda con uno strano sorriso, sembra amaro, la guardo sospettoso, senza far domande lei mi porge un fax, - leggi! – mi dice, sotto lo stemma del comune da cui proviene, ci sono pochissime righe: “pregasi dare, entro 24 ore dalla ricezione, disponibilità all’accoglienza del minore X. Y. Di anni 17 e ammontare della retta giornaliera” c’è scritto più o meno così.
Sembra che gli unici dati che possano servire siano l’età e le iniziali, sembra che l’unico dato che interessa è il costo.
Giriamo per le stanze con Alba, qua una porta sfondata da una improvvisa crisi di violenza, la un disordine che sembra lo specchio di un’anima confusa, in un’altra stanza improbabili disegni di croci e cuori trafitti. Ogni angolo racconta di storie e percorsi più o meno lunghi, di sorrisi e dolori, di rabbia e abbracci improvvisi e imprevisti, racconta di un tempo, vicinissimo e insulsamente lontano, in cui prima di ospitare un ragazzo si parlava a lungo, si cercava di indagare, ci si chiedeva se quello fosse il posto giusto, se quelli fossero gli educatori giusti. Si studiavano progetti in sintonia con i servizi sociali territoriali e si predisponevano periodi di “osservazione” in cui tutti insieme si provava a capire se c’era spazio nel fluire del tempo per affrontare insieme l’immersione nelle acque profonde del passato per poi provare, insieme, a riemergere, magari con un ragazzo un po’ più forte. Alba mi guarda e mi dice scuotendo la testa: “non è più così, ci sono sempre meno soldi, i comuni riescono ad intervenire solo nelle emergenze e sempre più tardi, quasi che si fossero rassegnati”. Poi mi ricorda i corsi di formazione, le gite coi ragazzi, le tante mattine spese a sviscerare i rapporti talvolta conflittuali con loro.
Giriamo per le stanze con Alba, qua una porta sfondata da una improvvisa crisi di violenza, la un disordine che sembra lo specchio di un’anima confusa, in un’altra stanza improbabili disegni di croci e cuori trafitti. Ogni angolo racconta di storie e percorsi più o meno lunghi, di sorrisi e dolori, di rabbia e abbracci improvvisi e imprevisti, racconta di un tempo, vicinissimo e insulsamente lontano, in cui prima di ospitare un ragazzo si parlava a lungo, si cercava di indagare, ci si chiedeva se quello fosse il posto giusto, se quelli fossero gli educatori giusti. Si studiavano progetti in sintonia con i servizi sociali territoriali e si predisponevano periodi di “osservazione” in cui tutti insieme si provava a capire se c’era spazio nel fluire del tempo per affrontare insieme l’immersione nelle acque profonde del passato per poi provare, insieme, a riemergere, magari con un ragazzo un po’ più forte. Alba mi guarda e mi dice scuotendo la testa: “non è più così, ci sono sempre meno soldi, i comuni riescono ad intervenire solo nelle emergenze e sempre più tardi, quasi che si fossero rassegnati”. Poi mi ricorda i corsi di formazione, le gite coi ragazzi, le tante mattine spese a sviscerare i rapporti talvolta conflittuali con loro.
L’unica cosa che sembra non cambiare è il pensiero di chi guarda le comunità da fuori, collocandole in uno spazio sospeso tra fantasie che narrano di eroi e missionari e pregiudizi da sentenza di realtà “istituzionalizzanti”.
Si ferma Alba nei suoi ricordi, tra me e lei la scrivania e un fax posato accanto ad un volantino pubblicitario di un ipermercato, irriverente mi viene da pensare che il volantino somiglia tanto a quel fax che sembra chiedere: “quanto costa al chilo la vita di un ragazzo?”
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