La bambina e la poesia di Domenico Adriano



di Roberto Tortora




Molte sensazioni frastornano il cuore di un padre che guarda la figlioletta addormentata: il piacere estatico della contemplazione, l’istinto protettivo, il richiamo del sangue. Assieme a queste, sfila sul limitare un sottile senso di inquietudine, quasi un ricercare, una brama di sapere dove abbia sede tanta pace. Guardando il sonno perfetto dei bimbi abbiamo la certezza che da qualche parte un Eden esiste e solo ci consola il fatto che almeno loro - i nostri figli - almeno ora - per un poco - l’abbiano trovato: Nell’adagio del tuo corpo, ascolto ogni mattina i silenzi che fai.//Ora, più di ieri, un po’ si acquieta/la ghiaia dei miei pensieri.
La bambina irradia il senso del sacro. Investe gli ambienti, le persone, le cose di una sacralità prima inesistente o inosservata; è una specie di catalizzatore della parte migliore di ciascuno. Quando la famiglia si ritira nella casa di montagna, tutto si anima di nuovo fervore. E’ la casa di sempre, stesse pietre, stesso legno; ma solo adesso, alla presenza luminosa e numinosa della bambina, perfino le scorie delle cose restituiscono tracce di vita: Ora la legna è allegra/nel camino, arde con l’antica/lena delle dimore/che si chiamavano fuochi, raccolgo/ogni mattina cenere e carboni/come reliquie…
La bambina ha anche il potere di risvegliare ricordi, di allacciare fili, di tessere trame che uniscono passato e presente e capaci di illuminare, come fonte di un presagio, inclinazioni infantili a loro tempo vissute inconsapevolmente. Così adesso è sufficiente che il padre maturo contempli la propria figlia per rivedere se stesso bambino, intento a scrutare con uguale rapimento i cuccioli nel bosco. E’ come se fin da allora si fosse manifestata un’attrazione spontanea per i nidi, luoghi protetti e sempre adatti a moltiplicare l’estatica erranza nel regno della fantasia e del mistero infantile: Somiglia al figlio che correva dietro/a suo padre per boschi e per foreste,/e soffiava soffiava senza emettere/suono, e provava e riprovava fino/all’abbandono, quando di nuovo/si faceva catturare dal fischio/melodioso del padre e dai nidi. C’erano a quel tempo tanti richiami,/nei boschi più bui gli animali/aprivano sentieri infiniti.
Ciò che colpisce, in questa raccolta di poesie, è lo speciale rapporto che si instaura tra la bambina, centro devozionale della famiglia, e il padre-poeta. Infatti il trasporto totalizzante cui l’uomo soggiace nei confronti della figlioletta non è solo di natura affettiva – come pure è ovvio – bensì riguarda il fare poesia, l’essere poeta, perché assistere ora dopo ora al prodigioso maturare di una vita significa scoprire quanto la vita possa essere pregna di una gioia che ubriaca e questa scoperta, per il poeta, costituisce la necessità della scrittura.
Ora, nelle poesie raccolte in Bambina mattina si assiste proprio a questa lenta e dolce mutazione, trasformazione, sovrapposizione di ruoli: quello del padre e quello del poeta. Esemplare, da questo punto di vista, l’assorta poesia in cui inizialmente il padre osserva la figlioletta addormentata e poi, trascinato dall’amore, si fonde con lei nel suo mondo incantato. La fase del giorno che viene prescelta è ancora una volta quella del risveglio della bambina, anzi quella che precede immediatamente il suo aprirsi al mondo. Il testo, sebbene perfettamente coerente nella struttura, unitario e compatto (una sola strofa), permette di cogliere il lento mutamento del punto di vista del padre poeta. In principio è lui, il genitore, l’adulto, che osserva la bambina e sente i rumori della città che si risveglia e a quei rumori associa ricordi storici e geografici e sensazioni, ma pian piano il procedimento di fusione lo induce ad assumere il punto di vista della bimba dormiente. Il padre rinuncia volentieri alle proprie conoscenze razionali e incomincia a guardare il mondo (quello reale e quello onirico, che forse per i bambini non sono marcati da differenze così macroscopiche) con gli occhi incantati della figlia. Ecco, allora, che il mattino, agli occhi della bambina sognante e del padre estasiato, si bagna di luce dorata. Proprio così, si tinge d’oro. E la ricorrenza del suono or, insistita nei due versi che descrivono il risveglio, sinesteticamente illumina la stanza di chiarore prezioso: arrivano le navi/dal lontano Oriente cariche di oli./Dormi, sorridi al sogno – grani e ori/al risveglio li troverai/ qui nella nostra stanza… Il punto di contatto è raggiunto. Anzi, è superato. Adesso il padre non è solamente “vicino” alla bimba: “è” la bimba. Nel senso che è dentro i suoi sogni, dentro le sue prime percezioni del mondo e quegli stessi quadrupedi che poco prima erano stati identificati come cavalli, ora – più probabilmente – sono creature di fiaba: …Sono/cavalli o sono topini/quelli che passano tutti i mattini?
Non a caso, in questi ultimi due versi che sigillano lo stupore infantile, appare la rima baciata. Dunque il padre è anche poeta e le due figure (verrebbe da dire “le due funzioni” se non fosse un grigio tecnicismo) sono intimamente compenetrate, sicché si giunge al paradosso – ma solo apparente e in verità felicissimo – di un uomo e poeta maturo che cerca di carpire alla sua bimba i segreti del poetare. Lei ce li ha. Lei, sì, li conosce. Se li porta dentro da sempre e li esprime con la grazia di chi ha scoperto l’essenziale delle cose. Il padre poeta lo sa; entrare in sintonia con la figlia non è solo immergersi nel lago del cuore, è anche cercare – e trovare – il giusto “peso” del poetare: Tamburelli ora con le dita/sulla mia mano, come/per tenere un tuo segreto tempo,/o forse chissà per suggerirmi/del verso il giusto verso.
Il senso di questa straordinaria relazione tra padre e figlia si riassume nella bellissima poesia che chiude la raccolta. È una perfetta sintesi di temi e di stile. Ritorna l’uso sorvegliato della rima interna, particolarmente significativa qui, dove la triangolazione che ne emerge stringe in un cerchio affettivo (e metrico) i tre riferimenti fondanti della vita dell’autore: l’amore che prova nel contemplare la figlia e che è tutt’uno con la volontà di scrivere poesia (Ho deciso); l’immagine stessa della bambina che è il miracolo svelato (il tuo viso); l’immagine della madre, fonte letterale della bambina mattina (preciso).

E’ inverno, le vie del sole
ci hanno guidato. Dentro il sacco
ti guardavo, il profilo
è come il suo, preciso.
Da me distratta e infine dalla luce
ti sei addormentata.
Ho deciso: d’ora in poi
riconoscerò le mie poesie
se avranno il tuo viso.







Domenico Adriano, Bambina mattina, Il Labirinto, Roma, 2002, II ed.

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