Alessandro, Samantha



Natty Patanè


Come Medusa, Alessandro e le luci della città
Lente, le dita trovarono nel buio l’interruttore, prese forma la stanza nel suo vuoto e silenzio. Alessandro poggiò il suo zaino sulla sedia e rapido andò a lavare le mani. Guardò a lungo il ragazzo nello specchio, i capelli ondeggiavano mossi dallo sfregamento delle mani, si fermò quasi a sprofondare nelle pupille attonite che lo miravano, poi carezzò delicato le mani con la spugna umidiccia.
Dal cassetto tirò fuori ago e filo, poi, cominciò a canticchiare: -sai, nascono così fiabe che vorrei…- intanto posizionava sul tavolo di legno strisce di panno verde e di plastica. Piano iniziò a sistemarle immaginandole già muoversi insieme ai capelli.
- aria ritornerò nell’aria che mi porta via dalla vita mia – si spinse in una danza appena abbozzata fino a posizionare il suo cd e, con lo stesso passo, tornò alla sua composizione. Guardò l’effetto che faceva con aria dubbiosa, come se qualcosa mancasse, doveva aggiungere qualcosa che brillasse sotto le luci del locale, ripescò una vecchia stoffa argentata che aveva trovato chissà dove e decise che alcune strisce luccicanti facevano sicuramente al caso suo fissando in gruppi di tre i materiali che aveva selezionato.
Dalla finestra lampi tenui del neon della pizzeria sotto casa e il tintinnare d’un tram di passaggio lo facevano sentire parte di un film che voleva posizionare nei primi anni 80.
Si accostò ai vetri e nel buio ritrovò il suo strano sogno, quel suo stanco vagare in una strada oscura e il varcare un cancello arrugginito, un giardino incolto apriva la strada verso una vecchia villa con le porte spalancate da cui svolazzavano leggere tende trasparenti. Ogni stanza era illuminata da una luce fioca e una musica antica si diffondeva nel vento leggero. Si ritrovò ad inseguire quelle note fino ad arrivare ad un uscio spalancato da cui poteva vedere la stanza grande e vuota in cui, proprio al centro, si stagliava la figura enorme di una anziana immensa, con i lunghi capelli grigi scarmigliati che con grazia inusitata pizzicava le corde di un’arpa dalle curve dorate. All’aprire degli occhi della strana musicista il suo sogno era svanito con le luci di quell’alba che lo aveva visto turbato e perplesso.
Tornò a finire il lavoro e poi, dopo aver acceso una candela profumata, provò la tuta di lycra aderente verde smeraldo e gli stivaloni lucidi, poi sistemò con cura tra i capelli i serpenti colorati e luccicanti che aveva preparato e, tornato in bagno, cominciò a provare il trucco.
Il cinturone spesso e morbido sui fianchi completò la trasformazione:
- Ecco a voi Samantha Plastique!
sussurrò alzando al cielo le braccia con posa da diva, fiero di aver scelto il nome che sarebbe stato il suo, nelle notti da Drag queen.
Già immaginava gli sguardi persi nel miscuglio di curiosità e meraviglia degli spettatori, nel vedere il suo corpo snello fasciato di verde muoversi al ritmo di un tunz tunz da discoteca, calamitati dai suoi capelli da Medusa.
Un sorriso amaro lo colse di sorpresa quando ritornò agli anni in cui viveva in un istituto e gli altri si facevano beffe di lui e delle sue piccole, incomprensibili stranezze.
Tolse gli abiti, li ripose con cura nei borsoni che li dovevano custodire fino alla sera successiva, quando Alessandro sarebbe rimasto in un camerino di fortuna augurando buona fortuna a Samantha.
- signori e signore, a voi Samantha Plastique! -

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