“Autoritratto”, di e con Adriana Civitarese.
di Chiara Di Salvo
L'arte non ha e non apprezza confini, tanto meno forme ed etichette.
Chi sente di dover raccontare qualcosa attraverso la pittura si troverà sempre difronte ad un bivio: astratto o figurativo? L'artista sente molto questo quesito ma non tanto e non solo perché se lo pone spesso nel corso della propria carriera ma soprattutto perché sono i galleristi che tendono ad incasellare gli artisti, spesso convincendoli a cambiare genere per vendere di più.
Chi sente di dover raccontare qualcosa attraverso la pittura si troverà sempre difronte ad un bivio: astratto o figurativo? L'artista sente molto questo quesito ma non tanto e non solo perché se lo pone spesso nel corso della propria carriera ma soprattutto perché sono i galleristi che tendono ad incasellare gli artisti, spesso convincendoli a cambiare genere per vendere di più.
Adriana no, Adriana sa bene cosa vuole esprimere e rifiuta di riconoscersi in uno stile.
Occhi azzurri e sguardo osservatore. Si siede davanti a me, aspettando paziente le mie domande.
Nella sua pittura prevale il ritratto, lo studio del volto. Il ritratto: perché? Adriana mi spiega che sente nel ritratto l'esistenza di un mondo particolare che spesso viene dato per scontato.
« È difficile dipingere un volto, non è certo semplice come si può pensare. Su di esso si concentra tutta la difficoltà nel dipingere l'essere umano poiché è la parte più complessa ed è per questo che mi interessa, mi spinge ad una ricerca. Ma è anche vero che il ritratto esiste da sempre e quindi da un lato mi rassicura perché non ho l'obbligo d'inventare nulla e dall'altro mi sprona appunto a cercare un aspetto delle persone che secondo me non è stato ancora sufficientemente indagato... non so se è quello che sto cercando in loro ma sicuramente è quello che sto cercando dentro di me ».
Le chiedo di mostrarmi alcuni suoi lavori in modo che facciano da sfondo alla sua figura: due bellissimi ritratti di due persone da lei molto amate: il marito Giovanni e l'artista per il quale ha fatto da assistente per 10 anni Ettore Spalletti. Precisa che non si sente figurativa o naturalista. Rifiuta con forza queste etichette che le precluderebbero di essere se stessa poiché non ha il desiderio di dipingere un ritratto a prescindere e non lo fa certo su una commissione fine a se stessa. Il ritratto le da la possibilità di fare un viaggio con un'altra persona, con il soggetto della tela e questo è possibile solo se coesistono diverse componenti quali l'ammirazione, la stima, l'affetto ed inoltre la stessa curiosità di vedere quello che l'altro riesce a vivere portato in una realtà molto differente dalla sua.
« Entro in rapporto con l’altro per offrirmi la possibilità di aprire una porta. Quando dipingo qualcuno spesso ho la sensazione di intraprendere un viaggio avventuroso: un po’ mi fa paura ma lentamente le porte si aprono e alla fine trovo un luogo piccolissimo e prezioso come un gioiello ».
Adriana scatta decine e decine di fotografie ai suoi soggetti prima di iniziare un ritratto: tre o quattro rullini fotografici per uno studio che non contempla solo l'analisi della persona ma anche l’esigenza di farla esprimere al massimo della sua capacità di concentrazione.
« Il ritratto è un universo complesso e in questo universo di relazioni e di pensiero vale ciò che l’artista vede, anche se purtroppo la tendenza è quella di assegnare valore al dipinto se questo risulta reale come una fotografia. Però capita che in quel tipo di ritratto possa risultare assente qualsiasi carica o intensità del soggetto, mentre a me interessa sempre di più la dimensione metafisica in cui l’interprete si muove. Anche la grandezza delle tele che utilizzo rende elastica la possibilità di visione. Un quadro grande paradossalmente lo si percepisce meno preponderante di un quadro piccolo perché è una presenza con cui puoi convivere in modi diversi: puoi viverne il soggetto, puoi viverne il colore e la materia oppure puoi non sentirlo e non vederlo per niente proprio perché così grande, spesso come una parete ».
Mi lascio trasportare dalle sue parole e dalle campiture di colore che mi arrivano da dietro le sue spalle. Improvvisamente, il “ritratto” perde la sua forma e diventa creatura viva, capace di sussurrare qualcosa. Adriana plasma quei volti con pazienza, arriva all'essenza e al tutto attraverso un profilo. E davanti alle sue tele quel profilo è palpabile, carico, pieno dell'intensità di quel rapporto.
« È difficile che le persone abbiano la capacità di essere serie fino in fondo: il rapporto con un artista che ti impone la serietà di un'esperienza non è facile. Serietà per me è ESSERCI anche quando non puoi esserci, essere sempre responsabili di quel rapporto ».
Ecco allora cosa rende vive le sue opere...la presenza di una serietà che, come per tacito patto, mantiene in vita il sentimento tra i due attori. Seguo con lo sguardo la tela di destra che dice essere Ettore Spalletti. Ha concluso la sua carriera come sua assistente per poter avere lo spazio per se stessa, per dipingere.
So che ha ritratto alcune personalità note e mi incuriosisce sapere come si confronta con loro e con il risultato che ne deve uscire.
Mi spiega che i ritratti delle persone conosciute - in realtà note solo all'interno del mondo dell'arte - in effetti sono molto più complessi degli altri perché incarnano già un valore. Così tende a decontestualizzarli proprio per esprimerli nel loro umano non umano.
« Se dovessi dipingere il Papa, il più grande privilegio sarebbe quello di poterci passare insieme molto tempo ma non per immortalare sulla tela un valore già dato poiché non sarei io l’artista adatta a farlo! La pittura non offre elementi del vivente; decontestualizzando il soggetto lo si può inserire in uno spazio temporale illimitato, ma a differenza della fotografia, il quadro non fa pensare mai alla morte ».
Osservo il quadro di Spalletti e mi rendo conto di essere di fronte ad un momento, ad un lampo di assoluto racchiuso e sentito con lo sguardo di Adriana.
E gli occhi? Mi colpisce il fatto che i soggetti non abbiano quasi mai gli occhi aperti o rifiniti eppure gli occhi sono “lo specchio dell'anima”, come fa a non tenerne conto?
« Il ritratto con gli occhi chiusi è il viaggio dentro se stessi, è offrirsi al mondo senza prendervene parte...forse anche con distacco, con fermezza. Non c'è una realtà temporale nel senso che non è importante l'età o la ricerca della perfetta fisionomia poiché quando abbiamo gli occhi chiusi siamo tutti uguali ».
E se siamo tutti uguali, quel famoso “specchio dell'anima” è nascosto al grande pubblico per essere percepito solo da chi, veramente e con passione, ne ha descritto i lineamenti.
L'anima di Adriana tende ad esprimersi attraverso una sintesi volta a raffigurare le persone sospese nell'azione di un movimento o di una riflessione.
Conclude l'intervista dicendo, sorridendo, che in realtà è tutta una questione di sintesi.
Occhi azzurri e sguardo osservatore. Si siede davanti a me, aspettando paziente le mie domande.
Nella sua pittura prevale il ritratto, lo studio del volto. Il ritratto: perché? Adriana mi spiega che sente nel ritratto l'esistenza di un mondo particolare che spesso viene dato per scontato.
« È difficile dipingere un volto, non è certo semplice come si può pensare. Su di esso si concentra tutta la difficoltà nel dipingere l'essere umano poiché è la parte più complessa ed è per questo che mi interessa, mi spinge ad una ricerca. Ma è anche vero che il ritratto esiste da sempre e quindi da un lato mi rassicura perché non ho l'obbligo d'inventare nulla e dall'altro mi sprona appunto a cercare un aspetto delle persone che secondo me non è stato ancora sufficientemente indagato... non so se è quello che sto cercando in loro ma sicuramente è quello che sto cercando dentro di me ».
Le chiedo di mostrarmi alcuni suoi lavori in modo che facciano da sfondo alla sua figura: due bellissimi ritratti di due persone da lei molto amate: il marito Giovanni e l'artista per il quale ha fatto da assistente per 10 anni Ettore Spalletti. Precisa che non si sente figurativa o naturalista. Rifiuta con forza queste etichette che le precluderebbero di essere se stessa poiché non ha il desiderio di dipingere un ritratto a prescindere e non lo fa certo su una commissione fine a se stessa. Il ritratto le da la possibilità di fare un viaggio con un'altra persona, con il soggetto della tela e questo è possibile solo se coesistono diverse componenti quali l'ammirazione, la stima, l'affetto ed inoltre la stessa curiosità di vedere quello che l'altro riesce a vivere portato in una realtà molto differente dalla sua.
« Entro in rapporto con l’altro per offrirmi la possibilità di aprire una porta. Quando dipingo qualcuno spesso ho la sensazione di intraprendere un viaggio avventuroso: un po’ mi fa paura ma lentamente le porte si aprono e alla fine trovo un luogo piccolissimo e prezioso come un gioiello ».
Adriana scatta decine e decine di fotografie ai suoi soggetti prima di iniziare un ritratto: tre o quattro rullini fotografici per uno studio che non contempla solo l'analisi della persona ma anche l’esigenza di farla esprimere al massimo della sua capacità di concentrazione.
« Il ritratto è un universo complesso e in questo universo di relazioni e di pensiero vale ciò che l’artista vede, anche se purtroppo la tendenza è quella di assegnare valore al dipinto se questo risulta reale come una fotografia. Però capita che in quel tipo di ritratto possa risultare assente qualsiasi carica o intensità del soggetto, mentre a me interessa sempre di più la dimensione metafisica in cui l’interprete si muove. Anche la grandezza delle tele che utilizzo rende elastica la possibilità di visione. Un quadro grande paradossalmente lo si percepisce meno preponderante di un quadro piccolo perché è una presenza con cui puoi convivere in modi diversi: puoi viverne il soggetto, puoi viverne il colore e la materia oppure puoi non sentirlo e non vederlo per niente proprio perché così grande, spesso come una parete ».
Mi lascio trasportare dalle sue parole e dalle campiture di colore che mi arrivano da dietro le sue spalle. Improvvisamente, il “ritratto” perde la sua forma e diventa creatura viva, capace di sussurrare qualcosa. Adriana plasma quei volti con pazienza, arriva all'essenza e al tutto attraverso un profilo. E davanti alle sue tele quel profilo è palpabile, carico, pieno dell'intensità di quel rapporto.
« È difficile che le persone abbiano la capacità di essere serie fino in fondo: il rapporto con un artista che ti impone la serietà di un'esperienza non è facile. Serietà per me è ESSERCI anche quando non puoi esserci, essere sempre responsabili di quel rapporto ».
Ecco allora cosa rende vive le sue opere...la presenza di una serietà che, come per tacito patto, mantiene in vita il sentimento tra i due attori. Seguo con lo sguardo la tela di destra che dice essere Ettore Spalletti. Ha concluso la sua carriera come sua assistente per poter avere lo spazio per se stessa, per dipingere.
So che ha ritratto alcune personalità note e mi incuriosisce sapere come si confronta con loro e con il risultato che ne deve uscire.
Mi spiega che i ritratti delle persone conosciute - in realtà note solo all'interno del mondo dell'arte - in effetti sono molto più complessi degli altri perché incarnano già un valore. Così tende a decontestualizzarli proprio per esprimerli nel loro umano non umano.
« Se dovessi dipingere il Papa, il più grande privilegio sarebbe quello di poterci passare insieme molto tempo ma non per immortalare sulla tela un valore già dato poiché non sarei io l’artista adatta a farlo! La pittura non offre elementi del vivente; decontestualizzando il soggetto lo si può inserire in uno spazio temporale illimitato, ma a differenza della fotografia, il quadro non fa pensare mai alla morte ».
Osservo il quadro di Spalletti e mi rendo conto di essere di fronte ad un momento, ad un lampo di assoluto racchiuso e sentito con lo sguardo di Adriana.
E gli occhi? Mi colpisce il fatto che i soggetti non abbiano quasi mai gli occhi aperti o rifiniti eppure gli occhi sono “lo specchio dell'anima”, come fa a non tenerne conto?
« Il ritratto con gli occhi chiusi è il viaggio dentro se stessi, è offrirsi al mondo senza prendervene parte...forse anche con distacco, con fermezza. Non c'è una realtà temporale nel senso che non è importante l'età o la ricerca della perfetta fisionomia poiché quando abbiamo gli occhi chiusi siamo tutti uguali ».
E se siamo tutti uguali, quel famoso “specchio dell'anima” è nascosto al grande pubblico per essere percepito solo da chi, veramente e con passione, ne ha descritto i lineamenti.
L'anima di Adriana tende ad esprimersi attraverso una sintesi volta a raffigurare le persone sospese nell'azione di un movimento o di una riflessione.
Conclude l'intervista dicendo, sorridendo, che in realtà è tutta una questione di sintesi.
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