di Gordiano Lupi
Roberto Morpurgo è un autore che non si piega a logiche commerciali. Fa letteratura, e credo ne sia consapevole, perché si dedica ad arti elitarie ma fondamentali come la poesia, l’aforisma, il racconto arricchito da citazioni colte e la saggistica filosofica.
El Djablo (Edizioni Puntoacapo – www.puntoacapo-editrice.com) è la sua ultima opera, uscita per un marchio editoriale per me ignoto, ma che confeziona i libri come una volta, senza badare all’impatto sul pubblico confezionando copertine vivaci, intriganti e piene di colori. Il curatore del testo è l’italianista Ivano Mugnaini, nome noto ai lettori di molte riviste letterarie che da anni frequenta con buon successo. El Djablo mi ha incuriosito perché Roberto Morpurgo racconta venti fantasie spagnole, infarcite di rimandi e citazioni in lingua originale, ma soprattutto perché alcune di queste fantasie riguardano Cuba. Mi soffermo su Mandingas, racconto di grande interesse che compie una sorta di storia del lavoro a Cuba partendo dalle esperienze schiaviste e sfata un’idea corrente secondo la quale gli schiavi accettavano di buon grado la loro condizione. Un discorso già fatto a Cuba dal grande antropologo Fernando Ortiz nel Contrappunto del tabacco e dello zucchero, ma che merita un approfondimento narrativo. A Cuba è a tutti nota l’epopea degli cimarrones e sono molti i lettori di Miguel Barnet e della sua Biografia de un cimarron (Letras Cubanas, 1966 - 2001). I negri che si davano alla macchia prendevano il nome di cimarrones, si rifugiavano nelle caverne (ce ne sono alcune dalle parti di Pinar del RÃo), spesso si suicidavano prima di tornare a lavorare. I mandingas - detti demoni neri - erano i più irriducibili, perché si suicidavano in gruppo per farsi beffe del padrone e liberarsi per sempre del lavoro. La loro religione induceva a credere che dopo morti sarebbero tornati sulla terra, ma nei villaggi africani dai quali provenivano. I padroni toglievano quella mera illusione, perché li mutilavano dopo morti e privavano quei corpi infelici di gambe, testicoli e testa. Tutto questo serviva a indurre i mandingas a non suicidarsi, per la paura di un castigo ultraterreno ancora peggiore. Roberto Morpurgo racconta in prima persona il tormento di un mandingo, nato da una tribù bellicosa della costa africana, non lontano dall’equatore, ma ridotto in schiavitù. Narra con poche pennellate descrittive la sua felicità primitiva e la libertà totale di cui godeva prima della Grande Notte, l’Ora del Giudizio in cui sbarcarono gli uomini bianchi armati di canne cave e fiammeggianti. L’uomo libero diventa un servo del conquistatore, ma ben presto si dà alla macchia, si trasforma in selvaggio in fuga, inseguito da cani feroci, uomini con torce e fucili. Morpurgo descrive con mano felice l’angoscia dello schiavo catturato, ucciso e soprattutto mutilato dal dispotico padrone.
El Djablo non è un libro di pronto consumo, ma è un testo profondo, letterario, intenso, ricco di cultura ispanica. Da leggere e meditare.
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