VILLA BADESSA. Vicino Pescara un'isola Arbëreshë.


Chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta – Kìmisis. Fotografia Chiara Di Salvo.


Interno della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta – panoramica dal matroneo. Fotografia Chiara Di Salvo

di Chiara Di Salvo


Forse è poco conosciuta questa realtà, ma in Italia sono presenti diverse isole allogene di antico insediamento, ovvero comunità appartenenti ad altra stirpe e/o nazione che convivono tranquillamente con la popolazione locale pur conservando i propri riti e la propria lingua. Il più “giovane e settentrionale” insediamento di origine albanese risale al XVIII secolo ed è localizzato in Abruzzo. Molte famiglie di Albanesi si stanziarono in diverse epoche anche più a nord ma finirono per essere completamente assorbite dall'ambiente circostante.
A 22km da Pescara ci apre le sue porte un piccolo villaggio agreste, completamente immerso nella campagna pescarese tra coltivazioni di viti e ulivi: Villa Badessa.

La peculiarità di questo villaggio risiede nella preziosità dei suoi riti e della sua cultura. Dal punto di vista ecclesiastico, Villa Badessa è una delle parrocchie dell'eparchia cattolica greca di Lungro (Cosenza), ovvero una porzione di territorio e di fedeli affidati alla cura pastorale di un eparca o vescovo il quale celebra le funzioni con rito bizantino-greco del Tipicòn di Costantinopoli, pur avendo accolto alcune innovazioni del Concilio Vaticano II.
L'istituzione di questa parrocchia nel 1744 fu il primo atto pubblico dell'insediamento di una colonia di 17 famiglie profughe dall'Albania che viveva ancora sotto la dominazione turca.
La leggenda vuole che i profughi albanesi, nel trasportare la loro preziosa icona della Madonna Odigitria (dal greco “Colei che indica la Via, la direzione”), furono rallentati dalla sua pesantezza fino a che non divenne così pesante da non poter essere più spostata oltre e rimasero bloccati proprio nel luogo dove ora sorge il paese. Così nacque Villa Badessa.
Proprio per questa sua matrice orientale la chiesa parrocchiale di Villa Badessa, dedicata a Santa Maria Assunta (in Arbëreshë, “Kìmisis”), risulta essere la custode di una cospicua e preziosa collezione di icone datate dal XV al XX secolo e che ad oggi consta di 75 esemplari. Nel 1965 alcune tra le più preziose icone furono interessate da un'importante campagna di restauro voluta dal papàs (parroco) Lino Bellizzi e a cura dell'allora Ministero della Pubblica Istruzione che le dichiarò “opere di interesse nazionale”, tali da costituire la più ricca collezione di icone epirote (dell'Epiro, una regione della Grecia nord-occidentale e dell'Albania meridionale) esistente in Europa occidentale.
Ma perché le icone sono così prestigiose e culturalmente importanti? Nell'ambito della cultura bizantina e slava “eikon” in greco vuol dire “immagine”, ovvero un'immagine sacra dipinta su tavola. In realtà l'icona è l'espressione grafica del messaggio cristiano, per questo motivo nelle lingue slave le icone non si dipingono ma si “scrivono”, al punto che si può parlare di arte teologica e non di arte religiosa.
Quando nel 1453 l'Impero Romano d'Oriente crollò, i popoli balcanici rafforzarono il significato di queste raffigurazioni sacre poiché il simbolismo e la tradizione non coinvolgevano solo l'aspetto pittorico ma anche quello relativo al materiale utilizzato e alla scelta del luogo dove collocarlo.
Le icone, dipinte rigorosamente su legno, erano scavate all'interno in modo da creare uno sbalzo sul bordo che poi sarebbe diventata la cornice dell'opera, concepita e creata come un tutt'uno con l'opera. Seguono le classiche tecniche di lavorazione dei dipinti su tavola, ben conosciute e utilizzate anche in Italia fino ai primi del '500: incamottatura, imprimitura, doratura e utilizzo di pigmenti vegetali pestati a mano.
La grande differenza che intercorre tra le icone bizantine e i quadri cattolici risiede nella visione stessa dell'iconografia che, in Oriente, richiedeva una profonda preparazione spirituale e non solo abilità tecniche come in Europa. Il pittore infatti prima di iniziare a dipingere passava un periodo di ascetismo che gli permetteva, attraverso una profonda purificazione mentale e spirituale, di entrare in dialogo con il Divino che infine “ispirava” la riuscita del lavoro. Proprio per questa particolare strada spirituale ed il loro contenuto teologico, le icone erano considerate come opera di Dio che si esprimeva attraverso le mani dell'iconografo; i volti “illuminati” dei santi sono inseriti in uno spazio spirituale senza tempo ma presenti nel loro corpo di umano e di mortale. Va da sé che anche la lettura di queste immagini doveva e deve avvenire per mezzo di un “dotto”, cioè per mezzo di un cultore del linguaggio iconico dei testi sacri.
Questa visione del sacro la si può facilmente accostare alla nostra arte Medievale, momento in cui la spiritualità ebbe un ruolo fondamentale nella vita dell'uomo. Poi con l'inizio del Rinascimento mutò la concezione dell'uomo rispetto alle proprie credenze. Ma nell'Europa orientale tale concezione non mutò e la storia si divise semplicemente in prima di Cristo e dopo Cristo.
Proprio per i motivi appena elencati, le icone sacre non possono essere paragonate ai quadri europei che, invece, tesero a raffigurare l'uomo al centro di un universo sempre più conosciuto e concreto.

L'isola linguistica di Villa Badessa costituisce dunque un insieme di caratteristiche che la rendono unica ed estremamente interessante nel suo essere integrata ma perfettamente conservata in territorio italiano.
Se le icone, però, hanno avuto il riconoscimento di “opere di interesse nazionale” e quindi restaurate e vincolate, meno fortuna ha avuto la sua lingua che, ormai, sopravvive solo attraverso alcune persone anziane e, per quanto riguarda il greco, nel rito ecclesiastico e nei suoi canti. Come accade a qualsiasi comunità allogena, nel corso dei secoli c'è il rischio che le tradizioni, gli usi e i costumi vengano persi per essere o cambiati con quelli presenti sul territorio ospitante oppure dimenticati per la mancanza di persone che li rendono quotidiani, come nel caso di Villa Badessa. Unico vero cardine d'apertura tra il passato ed il futuro è la chiesa parrocchiale che, con padre Mìrcea, mantiene viva la tradizione orale delle sue liturgie e quindi della sua lingua.
Però le cose stanno cambiando: i 250 abitanti del piccolo borgo sono stati coinvolti dalla passione di un piccolo gruppo di ricercatori e linguisti che, attraverso la loro esperienza e la collaborazione dell'Università di Teramo, hanno creato il L.E.M. “Langues d'Europe et de la Méditerranée” - www.portal-lem.com.
Così dà il benvenuto il sito: “Conoscere la lingua degli altri è il modo migliore per preparare un dialogo indispensabile alla pace”.
Il problema di Villa Badessa, nel 2010, è uno solo: non perdere il bagaglio culturale che possiede cercando di farlo conoscere all'esterno della comunità. Avere un progetto socio-politico affinché questo avvenga è fondamentale per il villaggio, che si sta adoperando, insieme con Henri Giordan (Responsabile progetto LEM) e Giovanni Agresti (Presidente dell'Associazione LEM-Italia) per creare quattro giornate di conferenze e performance artistiche (si tratta delle “Quarte Giornate dei Diritti Linguistici” e del “2° Festival delle letterature minoritarie d'Europa e del Mediterraneo”) atte a mettere in luce problemi, dinamiche e difficoltà presenti nelle comunità di lingua minoritaria. Dal 20 al 23 maggio 2010 Villa Badessa aprirà le sue preziose porte per accogliere studiosi e linguisti di tutto il mondo che, attraverso dibattiti, cine-documentari, fotografie d'autore e prodotti locali daranno la possibilità di mettere in risalto oggetti e parole ormai ad alto rischio.
« Il plurilinguismo è un antidoto all'irrigidimento del pensiero » Giovanni Agresti.

Per informazioni sul progetto LEM:
www.portal-lem.com

Giovanni Agresti
giovanni.agresti@portal-lem.com

Per informazioni sulle Quarte Giornate dei Diritti Linguistici:
www.portal-lem.com/fr/evenements/journees_droits_linguistiques/
enseignement_des_langues_locales-institutions_methodes_ideologies.html

2 Commenti

  1. Persino per chi è della zona , o poco distante ,questa è stata una piacevole rivelazione : mi riempie di orgoglio conoscere un patrimonio così speciale e così vicino, grazie a te per averlo reso possibile!

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  2. grazie Enza,..ma io ho solo fatto da parabola ai ragazzi del progetto LEM.
    Tra l'altro a Maggio noi di Terpress saremo presenti alle conferenze con uno stand!
    facciamo girare la voce!!!

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