Questa è l’isola dei non connessi perché anche se molti giovani vorrebbero navigare su Internet esistono molte limitazioni. Per esempio non possiamo avere una connessione casalinga. I prezzi per collegarsi a Internet dai locali pubblici sono troppo alti per un’ora di navigazione.
Avere un blog e non vederlo è come gettare in mare una bottiglia. È più di un anno e mezzo che il mio blog è censurato e oscurato all’interno del Paese. Io scrivo e invio i miei testi per e-mail, ma non posso vedere quel che faccio sul mio blog. È una sensazione molto strana, come essere una blogger cieca. Tuttavia mi arrivano le mail dei lettori che mi permettono di restare in contatto con loro. Generación Y esiste, vive, è uno spazio vitale e dinamico.
La comunità dei blogger cubani - che qualcuno chiama la blogostroika perché vuole introdurre molte riforme nel sistema informativo - ha molti contatti nella vita reale. Esiste una blogosfera cubana fuori dall’Isola e un’altra all’interno del Paese. Stiamo tentando di intrecciare rapporti. Vorremo incontrarci nella Cuba reale e non solo nella Cuba virtuale per scambiarci esperienze, conoscenze e opinioni.
Per molti anni ho posseduto un computer modello Frankenstein che avevo assemblato da sola. Nel 2007 un uomo che voleva emigrare con una zattera fatta in casa per attraversare lo stretto della Florida, mi vendette un vecchio portatile in cambio di una somma di denaro che gli permettesse di comprare un motore di una Chevrolet da montare sulla sua imbarcazione. Per fortuna adesso possiedo un portatile un po’ più sofisticato che ho vinto l’anno scorso al Premio The Bobs, l’oscar della blogosfera.
Cuba è compresa nell’elenco dei paesi che soffrono un maggior grado di censura, insieme a Cina, Iran e Tunisia. Credo che la nostra realtà quotidiana continua a penalizzare la libera opinione, visto che le persone che esprimono un pensiero anticonformista rischiano di essere punite. Questi limiti valgono anche nel mondo virtuale. L’esempio più eclatante è costituito da Generación Y e da Yoani Sánchez. Sono stata punita con il divieto di uscire dal Paese, il mio blog non si può leggere all’interno dell’Isola e sono continuamente controllata dalla polizia. Sì, quella lista nera è corretta.
Tutti i giorni temo per la mia libertà, ma nel mio caso il timore, il panico e le ginocchia che tremano non mi fanno restare paralizzata, ma mi spingono ad andare avanti.
I premi ricevuti (Ortega y Gasset e University of Columbia) sono stati una grande gratificazione, ma soprattutto rappresentano uno scudo protettivo. Per merito di certi riconoscimenti internazionali e dei lettori che mi leggono in ogni parte del mondo ho potuto continuare a pubblicare. Sono come un ombrello che non mi garantisce l’immunità totale, ma mi consente di andare avanti ancora per un po’ di tempo con il mio blog.
In realtà non vedo il mio futuro nella politica. Mi piacerebbe contribuire alla libertà di espressione a Cuba. Mi vedo come una persona adatta a lavorare nei mezzi di comunicazione per riorganizzare una stampa libera, creare case editrici e scuole di giornalismo. Mi piacerebbe impiegare la mia vita e le mie energie insieme ad altri colleghi coraggiosi per creare uno spazio di opinione e dibattito nella Cuba futura.
La situazione politica e sociale a Cuba la potrei definire con una parola: frustrazione. Potrei aggiungerne un’altra più forte: naufragio. Ma anche disillusione, cambiamenti che non arrivano, prosperità economica che non tocca mai la nostra Isola e promesse non mantenute da parte del potere. E soprattutto un’inerzia, una specie di sensazione che non succede niente, che risulta davvero insostenibile per i più giovani.
Barack Obama penso che rappresenti una speranza, soprattutto perché rompe con le vecchie formule dello scontro. Per molti anni il governo cubano ha giustificato i problemi economici, la repressione interna e la mancanza di diritti con l’esistenza di un potente nemico al nord del Paese. Obama rompe con tutto questo. Prova a tendere la mano. Mi piacerebbe che lo facesse in maniera ancor più decisa, che eliminasse l’embargo e togliesse le restrizioni di viaggio in direzione di Cuba per i nordamericani. Credo che questo metterebbe la parola fine alla maggior parte degli argomenti che il governo cubano usa per ridurci al silenzio.
La votazione delle Nazioni Unite per invitare gli USA a togliere l’embargo viene fatta ogni anno. Io personalmente - nata e cresciuta con l’embargo - sono sempre stata contraria. Non perché ritenga che tutti i nostri problemi economici dipendano dall’embargo nordamericano, ma perché penso che nei confronti dei cittadini cubani ha rappresentato la giustificazione dei fallimenti economici e di certe rigide posizioni ideologiche.
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