foto e suoni di Giuseppe Gavazza, 2010
Lo spazio della grande navata del Grand Palais di Parigi - una cattedrale in vetro e acciaio, davvero monumentale - progettato e costruito per l'Expo Universale del 1900, è immenso e meraviglioso: su un frontone si legge : «Monument consacré par la République à la gloire de l’art français »
Anche qui, come alla Tate Modern, una grande capitale offre uno spazio grandioso e pubblico ad artisti celebri e celebrati, con cadenza periodica, per un'opera specificamente concepita.
Prima di Boltanski a riempire la cattedrale dell'arte di oggi del Grand Palais sono stati invitati Anselm Kiefer e Richard Serra.
Qui la musica, almeno la sua idea, è presente: Boltanski spiega i suoi intenti per questa installazione inedita scrivendo: “Lavorando al Grand Palais ho la sensazione di realizzare un Opera, con la differenza che l'architettura sostituisce la musica.”
Mi pare di capire che l'Opera in questione sia proprio l'Opera lirica e guardando e ascoltando penso inevitabilmente al Grand Opéra francese dei secoli XVII e XVIII.
Anche il suono è protagonista: il pavimento della navata è sezionato in 69 rettangoli, regolarmente distribuiti, ricoperti di abiti gettati in terra. Tra queste “stanze” pavimentate di abiti si cammina come nei corridoi della grande planimetria di una casa o nelle vie di una piccola Flatlandia. Ogni “stanza” ha la sua voce: quella di un cuore registrato diffuso da altoparlanti posti poco più alti di un'altezza uomo. Quindi uno spazio piano, monodimensionale - una mappa - diventa un volume attraverso i suoni.
I 69 cuori registrati fanno parte di un progetto dell'artista: “Les archives du coeur” un archivio audio di registrazioni di cuori umani. Durante la mostra chi voleva poteva far registrare il proprio cuore per entrare nell'archivio e sperare di essere protagonista di una prossimo lavoro inedito di Boltanski. Con 5 Eu il visitatore poteva ottenere anche il CD con la registrazione del proprio cardio-audiogramma.
Oltre alle stanze di abiti, sotto la cupola centrale - su cui sventola orgogliosa nel vento una grande bandiera della Repubblica francese - una gru con un altissimo braccio preleva e lascia ricadere continuamente abiti da una montagna di abiti multicolori.
I cuori diffusi localmente creano una grande frammentaria pulsazione, letteralmente un corale, cupo e pulsante, sul cui basso continuo il cigolio della grande gru, acuto e lamentoso, diviene un melanconico canto. Per l'ascolto, secondo me, la cosa più bella dell'installazione, ma non se ne fa cenno nei testi di accompagnamento che spiegano invece – retoricamente - che le intenzioni dell'artista sono quelle di “far entrare lo spettatore dentro l'opera d'arte invece di metterlo semplicemente davanti, di permettergli d'immergersi in una esperienza complessa e articolata che coinvolge l'asolto, la temperatura, il muoversi dentro l'opera d'arte.”
In uno spazio grande e straordinario come la grande navata del Grand Palais, mi riesce difficile pensare che si possa fare qualcosa di diverso che un opera in cui lo spettatore s'immerge: forse da un grande artista mi aspetterei invece proprio questo: qualcosa di inatteso e capace di stupire, qualcosa di davvero inedito.
Ma la consacrazione monumentale della Repubblica della gloria dell'arte francese – così come il Grand Opéra – forse non può essere il territorio del nuovo e dell'inedito, forse ha bisogno di dare conferme più che stimolare nuove domande.
Il prossimo EWS: All is full of sound 3, da Torino
Posta un commento