Diritti umani. Amnesty: l’Italia esporta strumenti di tortura

di Valeria Del Forno

houdini

Fonte: Ko_An / Laura, Flickr

E’ una delle denunce più delicate di Amnesty International. Alcuni paesi dell’Ue usufruiscono di scappatoie legali, che aggirano il regolamento europeo, per fare commercio globale di strumenti di tortura. Nella lista delle società coinvolte ci sono anche i nomi di cinque aziende italiane.

"Una vergognosa offerta che risponde ad una squallida domanda". "Una notizia che evoca abitudini medievali, estranee a una società del 2010". Con queste parole, il vicepresidente dell'Italia dei Diritti, Roberto Soldà, commenta sdegnato la notizia sul fiorente commercio europeo di articoli per la tortura che coinvolgerebbe anche aziende sul territorio nazionale. Una pratica diventata illecita dal 2006, dopo l'approvazione del regolamento comunitario che bandisce il commercio di merci utilizzate per la pena di morte e la tortura, ma che pare essere ancora utilizzata dalla maggioranza degli stati membri.

IL BANDO EUROPEO DEL 2006.
Il Regolamento (CE) n. 1236/2005, del 27 giugno 2005, relativo al commercio di determinate merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, entrò il vigore il 30 luglio 2006. Da allora il commercio internazionale di tali attrezzature fu finalmente bandito e rappresentò per i 27 stati dell'Ue un passo importante verso il rispetto dei diritti umani e dei detenuti, dopo un decennio di campagne da parte delle organizzazioni per i diritti umani. Ma in questi quattro anni le aziende europee produttrici di strumenti di coartazione fisica, in realtà, hanno continuato i loro affari come prima. Il bando del 2006, che obbliga a rendere pubbliche le autorizzazioni a produrre e vendere questo tipo di prodotti, fu applicato solo da una minoranza degli stati membri: solo 7 dei 27 hanno reso pubbliche tali autorizzazioni.

LA DENUNCIA DI AMNESTY INTERNATIONALE E OMEGA RESEARCH FONDATION.
La denuncia arriva da Amnesty International, l'organizzazione per la difesa dei diritti dell'Uomo che, insieme alla fondazione di ricerca Omega Research Foundation, ha stilato un rapporto, intitolato "Dalle parole ai fatti”, sui Paesi membri Ue che traggono profitto da un cono d’ombra giuridico che consente loro di vendere materiale per infliggere torture in almeno nove stati del mondo, che li utilizzerebbero durante gli interrogatori. Il rapporto presenta prove della partecipazione di aziende europee a tale commercio globale e denuncia che queste attività sono proseguite nonostante l'introduzione del bando del 2006.

Cinque aziende italiane coinvolte. Gli stati membri paiono ancora poco informati sulle attività commerciali in corso al loro interno. Dopo che cinque di essi (Belgio, Cipro, Finlandia, Italia e Malta) avevano dichiarato di non essere a conoscenza di aziende che commercializzassero materiali inclusi nei controlli, Amnesty International e Omega Research Foundation hanno individuato aziende operanti in tre di questi cinque paesi (Belgio, Finlandia e Italia) in cui prodotti del genere vengono apertamente commercializzati su Internet.
A pagina 34 del rapporto, è pubblicata una tabella nella quale vengono menzionate cinque compagnie italiane (Defence System Srl, Access Group srl, Joseph Stifter s.a.s/KG, Armeria Frinchillucci Srl e PSA Srl) coinvolte in un commercio internazionale di arnesi finalizzati alla tortura tra il 2006 ed il 2010. Il fascicolo denuncia i profitti che le imprese italiane otterrebbero dalla vendita all'estero di strumenti per gli interrogatori sotto tortura. Assieme ad esse la tabella menziona tre compagnie belghe e due finlandesi.

Tipologie di strumenti. L'elenco è lungo e orrendo. Gli oggetti venduti sono fondamentalmente di due categorie: strumenti per il controllo dell'ordine pubblico quindi schiumogeni, prodotti stordenti (spray e bastoni stordenti) o strumenti atti all'incapacitazione temporanea dei detenuti che si considerano pericolosi (bracciali o manicotti elettrificati, manette serrapollice, cinture con carica elettrica).

In particolare, si legge nel testo pubblicato sul sito dell'organizzazione, tra il 2006 e il 2009, la Repubblica Ceca ha autorizzato l'esportazione di prodotti quali manette, pistole elettriche e spray chimici, mentre a sua volta la Germania lo ha fatto per ceppi e spray chimici. Aziende italiane e spagnole hanno messo in vendita manette o bracciali elettrici per tormentare detenuti con scariche anche da 50 mila volt, tre volte quelle dell'alta tensione. Una scappatoia legale permette tutto questo, nonostante si tratti di prodotti simili alle "cinture elettriche", la cui esportazione e importazione sono proibite in tutta l'Unione europea. Nel 2005 l'Ungheria ha annunciato l'intenzione di introdurre l'uso delle "cinture elettriche" nelle stazioni di polizia e nelle prigioni, nonostante la loro esportazione e importazione siano vietate in quanto il loro uso costituisce una forma di maltrattamento o di tortura.

Dove sono prodotti, a chi sono venduti. Blocca - caviglie, manette, batterie per somministrare scariche elettriche e quant’altro sono spesso prodotti là dove è lecito e vengono commercializzati in paesi dove gli interrogatori vengono condotti con metodi brutali, in violazione di qualsiasi convenzione sui diritti dell'uomo. Tali strumenti sono stati usati, ad esempio, nella struttura detentiva statunitense a Guantanamo, nel tristemente noto carcere iracheno di Abu Ghraib, ma anche in Cina e in Corea.

URSO, NON ESPORTIAMO STRUMENTI TORTURA; PRONTI A SANZIONI
"L’Italia non esporta strumenti di tortura ed è pronta a sanzionare imprese che non rispettano la legge". Lo ha detto Adolfo Urso, vice ministro allo Sviluppo economico con delega al Commercio estero. "L’Italia, come l’Unione europea", si legge in una nota del vice ministro, "ha messo al bando le esportazioni di ogni tipo o strumento riconducibile alla tortura. Per questo ogni prodotto di questo genere per poter essere esportato deve essere autorizzato dal ministero dello Sviluppo economico e, preventivamente, da un comitato intergovernativo. A noi non risultano esportazioni di strumenti di tortura, per questo chiederemo alle Dogane italiane se abbiano avuto notizie al riguardo e siamo pronti ad applicare le sanzioni penali e amministrative previste per legge a quelle imprese italiane che avessero volutamente violato la legge".

Il rapporto verrà formalmente preso in esame oggi a Bruxelles, nel corso della riunione del Sottocomitato sui diritti umani del Parlamento europeo. Amnesty International e la Omega Research Foundation chiedono alla Commissione europea e agli stati membri dell'Unione europea di tappare le falle legislative illustrate nel rapporto e di applicare e rafforzare la normativa esistente.

E’importante sottolineare che le aziende imputate approfittano di scappatoie legali e di mancati controlli esercitati dalle autorità e quindi non violano necessariamente la legge. C’è, però, un fatto importante: sta ai governi, che sono vincolati dal regolamento dell’Ue, esercitare un controllo molto rigoroso per non permettere più ad aggiri e a blande ispezioni di prevaricare i diritti umani.

Post a Comment

Nuova Vecchia