Il piacere (o il dispiacere) di leggere. Lettera aperta a Davide Rondoni

Jan Van Eyck, San Gerolamo nello studio: fonte foto: archivi.beniculturali.it


di Roberto Tortora


Caro Davide Rondoni,
sul supplemento culturale del Sole 24 ore del 21 febbraio 2010, lei scrive che gli insegnanti sono responsabili di un disastro, di uno scandalo peggiore di quello Alitalia o della Protezione Civile, perché allontanano i giovani dalla lettura trattando la letteratura come una materia arida, di cui mandare a memoria date e canoni. Per colpa degli insegnanti “l’esperienza del leggere a scuola viene massacrata tra deliri storicisti, omelie neostrutturaliste, e libroni già di per sé fisicamente ostili alla lettura”. Gli insegnanti, lei raccomanda, dovrebbero prendere esempio da Todorov.
Eh no, Rondoni. Abbia pazienza, è davvero troppo.
Nel 1965 Tzevatan Todorov raccolse saggi di Sklovskij, Tynianov, Propp, Jakobson in un’opera intitolata “I formalisti russi” che entrò come una corazzata Potëmkin in tutte le facoltà di Lettere della penisola, e quindi nella formazione critica dei futuri insegnanti e dunque nei libri di testo. Da quel momento cambiò il modo di fare letteratura a scuola. A cominciare da quel momento e per i decenni a venire chi non si fosse convertito al verbo di Todorov sarebbe stato additato come crociano; l’insegnante che avesse osato parlare d’amore commentando il personaggio di Ghismunda sarebbe stato incluso nella lista dei conservatori. Guai a leggere Leopardi e sottolinearne i sentimenti. Vietato leggere la notte dell’Innominato o i tormenti di Cloridano per provare a comprendere meglio la propria interiorità. Si correva il rischio, sul serio, d’esser giudicati fascisti da quei colleghi, da quei giornalisti, da quei critici militanti, da quei professori universitari che s’erano subito votati alle Verità rivelate da Todorov e dalla sua allegra compagnia. Secondo costoro, inebriati dall’oceanica produzione di saggi, libelli, riviste, convegni, seminari e tavole rotonde, agli studenti bisognava fornire gli strumenti per condurre una corretta “analisi del testo”. Questo e solo questo. Il testo letterario, sostenevano, ha un valore in sé, è completamente sganciato dalla realtà esterna e dal mondo dell’autore che lo ha prodotto. Perciò le pagine letterarie dovevano essere sezionate come avrebbe fatto un entomologo con uno scarafaggio; dopo aver letto una poesia o il capitolo di un romanzo occorreva disegnare tanti rettangolini e infilarci dentro, in bell’ordine, il numero di aggettivi e il numero degli avverbi presenti in ogni “sequenza” o in ogni “strofa”; il numero dei punti e dei punti e virgola; i modi e i tempi verbali prevalenti. Poi contare il tutto e fare la prova del nove.
Nell’inverno nel 1992, in una gremita e attentissima aula magna dell’Istituto magistrale di Varese ho seguito la conferenza di un eminente critico letterario, seguace di Todorov, che dichiarò di voler insegnare agli insegnati a insegnare la letteratura. Proprio così, con questa umiltà. Per due ore ha fatto a pezzi il sonetto proemiale del Canzoniere petrarchesco snocciolando logaritmi e percentuali delle occorrenze nominali, aggettivali e verbali. Roba da mandare al manicomio anche un esperto di statistica.
Tutto in nome del Formalismo che Todorov e gli altri esperti di didattica della letteratura rovesciavano con zelo devastante sugli insegnanti costretti a seguire continui corsi di aggiornamento.
Ma ecco che un bel giorno viene finalmente pubblicato un saggio dal titolo “La letteratura in pericolo”(Garzanti, febbraio 2008). L’autore denuncia che “a scuola non si apprende che cosa dicono le opere, ma che cosa dicono i critici”. L’autore attacca duramente gli insegnanti perché guardano al testo in sé, come se fosse completamente sganciato dalla realtà esterna e dal mondo interiore dello scrittore. E invece, dice sempre l’autore, “la letteratura mi aiuta a comprendere meglio il mondo e dunque mi aiuta a vivere.” E aggiunge “la letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano.”
Finalmente! Quello che ci voleva!
Solo che, guarda il caso, autore di quel saggio è un certo Todorov. Tzvetan Todorov. Lui.
Voltafaccia? Facciatosta? Faccia lei.
Caro Rondoni, lei scrive che quando chiede ai professori a cosa serve la letteratura, le rispondono “a esprimere sentimenti profondi.”
Possibile che le capiti di interrogare solo professori cretini?
Lo sa, Rondoni, già in quegli anni “formidabili” c’era nelle nostre scuole più di un docente che con calviniana leggerezza lasciava nel cassetto la mortifera aridità dei formalisti e leggendo poesie e romanzi in classe trovava i suoi diciassettenni più attenti che di fronte ad una finale di Champions.
Nella scuola, mi creda, ci sono anche insegnanti autentici, innamorati della letteratura, che hanno pianto quando Robert Jordan ha rivolto l’ultimo sguardo a Maria, che sono rimasti per tre giorni angosciati quando si è spento il principe Andrej. Insegnanti che – facendo lievitare le desolanti percentuali dei lettori italiani – hanno imparato a comprendere gli adolescenti meglio di quanto non sappiano fare i genitori. Insegnanti che si indignano quando i giornalisti, vilmente, li screditano in quattro e quattr’otto chiamandoli professorini e maestrine; insegnanti che non compaiono su Youtube, che sono amatissimi (per decenni) dai loro allievi; insegnanti che commentando Digitale purpurea hanno visto arrossire e diventare un po’ più adulte le loro alunne; insegnanti che sanno benissimo come catturare l’attenzione di un’intera classe per due ore filate e che tuttavia raggiungono il massimo della soddisfazione professionale e vedono centrato l’obiettivo più vero e più difficile del loro mestiere quando sorprendono i propri alunni a sfogliare avidamente le pagine di un romanzo sotto il banco.




1 Commenti

  1. riporto, per corretteza, la risposta che il prof. Rondoni mi ha gentilmente inviato a stretto giro di posta:
    Gent.le prof, grazie per l'attenzione al mio pezzo.
    Che non scredita nessuno, racconta una situazione che è sotto gli occhi di tutti. E che soprattutto è volto a che siano valorizzati finalmente gli insegnanti bravi come lei, i quali, quindi, non dovrebbero aver paura di insegnare facoltativamente letteratura ai nostri ragazzi. In quanto a prendere esempio da todorov, era un invito -se legge il testo- non agli insegnanti ma agli intellettuali italiani perchè riconoscano un po' di errori metodologici, quelli che lei indica.
    La difesa di un sistema che non funziona non si può fare in nome del pur lecito "ma io sono bravo". Occorre chiedere che i bravi insegnino e gli altri no.

    dr

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