Sere di Aci II

di Natty Patanè

da leggere, possibilmente, ascoltando la Callas che canta "Casta Diva"

Volute di fumo, morbide, le danzavano tra le rughe di un volto che era un arazzo di eventi e passioni.
Livia sosteneva morbidamente tra le labbra l'immancabile sigaretta appena rollata. Le dita, abili, infilavano fili di cotone nella cruna di un ago che lieve affondava nel peluche marrone. Altri due punti e lo squarcio sarebbe stato un ricordo, un buon lavaggio avrebbe fatto il resto e poi avrebbe provveduto a dargli un nome e un posto sugli scaffali, nel raparto dei peluche, forse tra l'asino con un occhio e la pecorella rosa.
Lasciò gli attrezzi e il vecchio orso trovato in un angolo di strada sul tavolo del laboratorio, salì la piccola rampa di scale e, sfiorando il muro con le nocche si diresse verso il salone dall'ampia vetrata che di giorno era illuminata da raggi smeraldini rimbalzati dal giardino. Con perizia tirò fuori dal frgio bar la sua adorata bottiglia di campari, prese dal freezer una manciata di ghiaccio e andò verso il lettore, qualche secondo e la voce della Callas si impastò con il calare già avvenuto del giorno estivo.
Si lasciò cadere sul divano verde bottiglia, a braccia larghe, la mano sinistra con l'ennesima sigaretta, la destra di tanto in tantopoggiava il bicchiere imperlato sul collo per un secondo di brivido freddo prima del sorso rosso e amico.
Né diva, né casta pensò sorridendo Livia e poggiò gli occhi sulla foto di Annie, la spalla nuda accoglieva lo sguardo basso e intenso esaltato dai capelli raccolti scompostamente sulla nuca. La ricordava così, mentre passeggiava lenta in giardino o raccoglieva gli iris dall'intenso blu che in primavera si riversavano a cascata nelle aiuole centrali. Iris come una deflagrazione buona. Già, una deflagrazione, come quella che insensata se l'era portata via mentre già si immaginava il profilo della sua isola nelle luci della sera.
La grazia di Annie aveva affascinato i teatri underground inglesi e lei, con il suo sorriso dipinto di modestia aveva ringraziato per settimane, mesi, poi aveva voluto fare una pausa perchè non poteva mancare al compleanno di Livia. Aveva pregato l'agente perchè le trovasse una combinazione che la potesse portare all'aeroporto di Fontanarossa ma non c'era stato nulla da fare, poteva arrivare solo a Palermo. Così, aveva rinunciato alla sorpresa e aveva telefonato a Livia perchè andasse a prenderla a Palermo.
Socchiuse gli occhi e cercò di concentrarsi sull'ultima pubblicazione di cui doveva occuparsi ma i colori della copertina che le avevano proposto i grafici si mescolavano fra loro, informi, e la riportavano a pensare a quell'ennesimo anniversario della feroce, inutile, attesa, l'anniversario di quella fine, delle bugie e del silenzio che era calato come una cappa.
Dalle finestre adesso entrava un ventoso buio che sollevava le tende e rendeva ad intermittenza la vista del mare oltre il muro di pietre nere. La immaginò ancora, con quella sensazione di indefinito che la coglieva nel pensare al mare, la immaginò dissolta tra quelle onde che l'avevano accolta come un non richiesto dono del cielo.
Annie che sapeva di buono, Annie che profumava di glicine, trasformata in acqua per permettere a chi l'aveva amata di sentirne il tocco fresco ad ogni estate.
Si alzò e uscì sul terrazzo, i sedili in pietra accoglievano morbidi cuscini in iuta blu e verde, un tavolo in ferro battuto troneggiava al centro, illuminato da una fioca luce che attirava insetti impazziti, unna vecchia nassa pendeva sul muro bianco. Sollevò il caffettano leggero e si acquattò su un cuscino mirando un orizzonte invisibile inghiottito da ore nel buio. Per molto tempo non aveva potuto guardare il mare quasi che fosse stato lui a celare la vista di Annie ai suoi occhi. Lentamente aveva ripreso a giocare con i suoi luccichii diurni e con il mistero che generava dall'amore con la notte.
- Carmelo! A pesca vai? -
salutò il vecchio amico che passava aldilà del basso muretto di cinta
- Donna Livia sabbenedica! -
rispose carmelo mimando il gesto del togliersi una coppola che non aveva mai portato
- stasera la divina ti ascolti? -
Livia annuì e, mentre Carmelo sorridente si allontanava, cominciò a cantare
- Casta Diva che inargenti queste sacre antiche piante.... a noi volgi il bel sembiante senza nube e senza vel -
Sorrise anche Livia e, per un attimo, le parve di avvertire un vago sentore di glicine

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