'900

di Natty Patanè



- Non voglio tenere gli occhi bassi -
pensò tra se e se Concetta aprendo la fila delle sorelle, rigorosamente allineate per ordine di età. Le campane suonavano la festa e nell'aria volteggiava il fumo dei braceri che abbrustolivano semi di zucca e ceci.
Con le mani giunte in grembo, avanzava ammirando le sue scarpe nere e lucide, dietro di lei, contrite ed ubbidienti, le tre sorelle minori rimanevano silenziose e mai si sarebbero sognate di spostare gli occhi dal selciato.
Il sole lambiva le statue della basilica e quasi schiacciava le ombre, la gente intorno era per Concetta solo una sensazione ipotizzata dal brusio e dalla visione di scarpe, ora nuovissime, serie e altere di uomini importanti, ora civettuole e sgargianti di signore bene, più in la, qualche scarpa sfiancata e qualche piede nudo di bambino, sporco e lacero.
Nelle orecchie risuonavano ancora parole latine cantate in coro quando una farfalla svolazzò temeraria fra il mento e le mani, piroettò, planò, per posarsi quasi, poi, improvvisa scattò, in alto, ad alzar lo sguardo di Concetta verso uno sprazzo di sole che si attorcigliava ebbro tra lei e degli occhi neri dipinti su un paio di baffi giovani e morbidi, un attimo, un rimbalzo fulmineo e inesorabile.
- Oddio! mi guarda -
trasecolò Concetta, le sue guance si imbellettarono di un cremisi smunto mentre Carmelo abbozzò un sorriso e un cauto gesto di saluto
- Concettina! -
le sussurrò, con fermezza che conosceva bene, sua madre che la precedeva.
Arrivate in casa la donna le ordinò di aspettare con lei all'ingresso che le sorelle sciamassero verso il giardino, e mentre si sfilava i lunghi guanti color crema sibilò:
- Adesso stai propio esagerando, sai bene quanto sia stato inopportuno quanto accaduto in collegio adesso dovresti proprio moderarti, fai parte di una famiglia per bene signorina, non puoi pensare di ferire l'onore dei Cangemi spargendo occhiate agli sconosciuti! -
- Mamma -
provò ad interromperla
- Basta così, adesso fila in camera tua dove rimarrai fino a questa sera! -
Arrabbiata ma ancora obbediente Concetta girò sulle punte e si avviò verso il piano superiore.
In camera aprì il suo libro delle preghiere dove ancora si notava il profilo della pansè che ci aveva riposto nella speranza di seccarla, arrossì di nuovo ricordando la rabbia di Suor Gerlanda che scovandola aveva cominciato a borbottare e diventar paonazza, poi aveva sbottato
- Cosa significa questo fiore? -
erano state le parole usate mentre lo accartocciava e lo scaraventava per terra, poi, quasi fosse un insulto le aveva biascicato contro:
- la solita sentimentale -
e aveva caricato l'aggettivo di un tono di disprezzo che la ragazza non aveva proprio capito.
Il pranzo rimase per buona parte sul vassoio che la madre le aveva fatto portare da Filomena che, poverina, aveva cercato di convincerla a mangiare qualcosa proponendole il racconto di una di quelle storielle popolari che le piacevano tanto da bambina
- ho quindici anni ormai -
aveva risposto lei con affetto.
Poi venne il silenzio del pomeriggio ad interrompere i giochi e gli schiamazzi delle sorelle e infine la cena silenziosa e rispettosa della presenza del padre, il commendatore, come lo chiamava la servitù.
Nel salone Erminia, dalle lunghe trecce nere, esaudì la richiesta del padre di esibirsi al pianoforte nel silenzio dei familiari che all'ultima nota la omaggiarono di un discreto applauso.
Alla fine del valzerino, mentre il commendatore tirava un pizzico di tabacco e la madre si apprestava al ricamo, Concetta chiese permesso e si ritirò nella sua camera.
Il caldo rendeva il respiro affannoso e stanco mentre i grilli rincorrevano perdute note.
Aprì le persiane e uscì sul balcone, un lieve alito soffiava tra i limoni e il canto delle foglie mosse degli agrumi non copriva le note provenienti dal salone, eppure Concetta non si accorse del calesse che si avvicinava, uno di quei calessi con la capote reclinabile, all'apparire dalla curva pensò a qualcuno che aveva sbagliato via, poi si stupì al rallentare e al sostare proprio sotto il suo balcone. Il conducente rimase immobile, mentre la capote lentamente si abbassò, lo sguardo questa volta si liberò e raggiunse gli occhi nerissimi e il sorriso pieno, incorniciato dai baffi morbidi, il giovane, lentamente, prese dal sedile qualcosa, la portò vicino al volto e Concetta capì che si trattava di un mazzo di viole, poi, lo protese verso il balcone quasi ad offrirlo e con un gesto della mano la salutò.
- Doveva essere il 1906! -
alzò lo sguardo sopra la mia testa e fermò il racconto, poi si spostò verso una toilette di legno scolpito su cui troneggiava un'aquila dalle ali spiegate e diede alcuni giri di corda al carillon d'argento che risuonò della casetta in Canadà
-1906-
ripetè sognante guardando la foto seppiata del suo Carmelo
- 68 anni fa -
sussurrò appoggiando il volto allo stipite della finestra. la strada taceva, il tempo rimandava segni vaghi a scolpire il selciato, Concettina guardò dove il niente assume forme sconosciute.


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