L’Italia della paura. Alcuni primi effetti della nuova politica migratoria (parte I)

di Leo Palmisano

Introduzione: la migrazione come fenomenologia della società globalizzata

Qualunque contributo di carattere analitico sulla condizione degli immigrati in un paese dato, non può prescindere da una più ampia considerazione dell’immigrazione come particolare fenomenologia di un modo di essere della società globalizzata. Se partiamo da questo assunto - dimostrato in sé dal fatto che non vi è società attuale al mondo che non sia interessata da un fenomeno migratorio (in uscita e/o in entrata) - si eviterà di parlare di immigrazione in termini astratti. Spesso, soprattutto in demografia e statistica, si è fatto ricorso, per esempio, alla cosiddetta teoria dei flussi migratori – che rinvierebbe a una sorta di idrodinamica delle popolazioni -, una teoria che calata nel concreto, nel vivo e nel calore dell’esistenza dei migranti, non trova più ragione di esistere o di essere validata. A questo esempio se ne possono aggiungere altri e più pertinenti ancora, per dire che se abbiamo preferito un approccio qualitativo e politologico in questo nostro contributo, è perché sta di fatto che in Italia, dall’ingresso di Berlusconi e della Lega Nord nell’agone politico, si sia mosso un passo definitivo verso la sostituzione del vecchio nazionalismo di matrice fascista o risorgimentale, con una nuova forma di localismo razzista settentrionale che si innalza, grazie alla concentrazione del potere mediatico, a nuovo nazionalismo. A prescindere da numeri e cifre che costituiscono la cornice statistica della presenza di stranieri in Italia.


1. Lega Nord e nuovo nazionalismo razzista in Italia

Le origini politico-culturale dell’attuale legislazione repressiva nei confronti degli immigrati in Italia, sono da rintracciare nell’ascesa della Lega Nord all’interno della compagine di governo del centro-destra capeggiata da Silvio Berlusconi. A nulla valgono analisi che muovono da più lontano, perché quello che il governo in carica sta producendo sul piano dell’esclusione sociale dei migranti è un fatto inedito in Italia. Va però sintetizzato come la Lega sia arrivata in poco più di dieci anni a condizionare così fortemente le scelte di governo, imponendosi come centro di produzione di quel capitale semiotico2 razzista che è divenuto il nuovo nazionalismo italiano

Nel 1996, un sondaggio Abacus riportato in un lavoro di Alessandro Dal Lago (1999, 26), rilevava come tra gli elettori italiani settentrionali di entrambi gli schieramenti politici, vi fossero sì sensibili differenze nell’atteggiamento verso i migranti, ma che almeno un quarto dell’elettorato del maggiore partito discendente dal Pci (il Pds) riteneva gli immigrati in Italia un intollerabile fastidio. È in questa diffusa cultura settentrionalista che si è radicata nel tempo l’idea artificiosa di un piccolo territorio-patria, la Padania, che dovrebbe diluire sentimentalmente ed ideologicamente le differenze materiali e di status tra i diversi cittadini in una melassa ideologica fondata sull’esclusione sociale e sul razzismo. In verità, come numerosi studi dimostrano, il fermento neo identitario che porta alla costruzione ideologica della Padania, è una conseguenza diretta di alcuni fenomeni economico-politici italiani e da ben più ampi movimenti della storia: il crollo della Democrazia Cristiana (DC) e del Partito Comunista Italiano (PCI); il ritorno alla centralità politica delle amministrazioni periferiche dello Stato italiano, contro l’eccessiva burocratizzazione della politica nazionale (definito ‘decentramento federalista’); l’opposizione diffusa, reale e virtuale, agli effetti materiali della globalizzazione; la lotta mondiale al terrorismo islamista; la nuova retorica militarista a sostegno delle operazioni di peace keeping dopo l’11 settembre; etc.

La nascita del movimento leghista deve essere letta come la risposta del nord Italia operaista della Prima Repubblica, al crollo del fordismo e delle due grandi ideologie che lo hanno contraddistinto in Italia per cinque decenni: quella democristiana e quella social-comunista. È nel momento del trapasso dalla prima alla Seconda Repubblica – quando Berlusconi entra in scena perché privo ormai di solide coperture politiche nella compagine socialista di Bettino Craxi – che l’identità leghista/padana entra a pieno titolo nelle cronache nazionali come nuova e dirompente forza politica.

Non a caso, questo avviene proprio quando l’Italia comincia a percepire di essere un paese importatore e non più esportatore di manodopera. E specificamente, l’Italia percepisce di essere una nazione ‘magrebinizzata’, in cui vivono «poco meno di ottantamila marocchini dopo la sanatoria del 1990» (Colombo e Sciortino 2004, 27)! È una sorpresa per il paese che più di ogni altro in Europa ha perso manodopera nel corso di un secolo e mezzo, una sorpresa immediatamente sgradita all’impreparato ceto politico italiano.

Da allora, la Lega – vista da tutti come argine non fascista all’inedito fenomeno immigratorio - potrà godere delle lusinghe dei più grandi partiti del centro-destra e della parte governista del centro-sinistra. Sarà considerata una forza competitiva ma amica nella rincorsa al razzismo da Alleanza Nazionale – formazione post-fascista fondata dall’attuale presidente della Camera Gianfranco Fini, e adesso confluita nella Casa delle Libertà di Silvio Berlusconi – e dallo stesso Berlusconi, che più volte si alleerà con essa alle elezioni amministrative del Nord per garantirsi una visibilità territoriale altrimenti compromessa; ma non va dimenticato che alla fine degli anni novanta la Lega arriva perfino ad appoggiare in qualche misura il lavoro di un traballante governo di centro-sinistra (il II governo D’Alema) affamato di consensi che limitassero oscillazioni ‘pericolose’ verso le forze della sinistra neo-comunista.

Ma è dall’aprile 2008 - da quando Silvio Berlusconi è tornato a governare il paese con una vastissima maggioranza di seggi – che le spinte governative più esplicitamente razziste hanno dato vita ad un costante braccio di ferro con le norme democratiche dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti. Un braccio di ferro che pare essere vincente nella conquista di consensi, tanto che la Lega - ormai ‘naturalmente’ insediata nel centro-destra - diventa il secondo partito del centro-destra avendo raggiunto alle elezioni europee del 2009 il 10% dei voti su scala nazionale, circa il 30% del nord Italia. Un risultato incredibilmente alto per una forza a vocazione localistica nella competizione elettorale certamente più universalistica!

Si deve allora alla condiscendenza interessata di Berlusconi e D’Alema (leader ex-Pci, adesso nel Partito Democratico) se la Lega Nord da formazione politica territoriale e poco strutturata, diventa il terzo partito italiano dopo il PdL e il PD. Si deve questo allo sdoganamento ideologico effettuato dai due leader, accomunati dall’ultradecennale volontà di ridimensionare il peso delle forze più nostalgiche della penisola: quelle di ispirazione fascista, come Alleanza Nazionale, e quelle di ispirazione comunista, per dar vita a coalizioni accentratrici e illibertarie. Per far questo, entrambi hanno fatto ricorso ai servigi della Lega Nord, sottovalutando la pericolosità di un movimento vassallo che fa del razzismo un’arma di feroce propaganda nazionalista.

È grazie a queste concessioni che la Lega ha evoluto il suo rozzo razzismo padano in forme più ampie e articolate, arrivando a sostituire le forze post-fasciste nella elaborazione del nuovo nazionalismo italiano, scalzandole da questo primato ed attestandosi come centro promanatore delle più violente scorribande ideologiche contro gli immigrati. Il potere berlusconiano, in ultimo, si serve sempre più dei ‘raffinati’ deputati leghisti per rimodellare i delicati rapporti tra Stato e Chiesa, facendo stabilire alla Lega quali sono i confini politici che il Vaticano non deve oltrepassare in materia di accoglienza, carità e integrazione. Nei fatti, chi detta le regole della convivenza con i migranti in Italia è questo medio partito politico razzista, il cui obiettivo dichiarato è quello di muovere guerra ai migranti del pianeta. (continua nel prossimo numero)

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