Luccichio (Sere di Aci III)

di Natty Patanè


Cominciò a rimescolare.
Le vecchie carte avevano raddoppiato nel tempo il loro volume, Livia teneva le dita ben stese e con fare teatrale incastrava fanti e assi di coppe tra quattro e re di vari semi.
Poggiò il mazzo sul tavolo fasciato di beige e lentamente andò a cambiare il disco che ormai da un po' aveva finito la sua corsa.
Cominciò a sfiorare con la punta dell'indice il dorso dei suoi CD, soffermandosi di tanto in tanto su una possibile scelta, poi ricordò le note che avrebbe tanto voluto per il saluto mai avvenuto ad Annie e quasi con sacralità diffuse "I'm fool to want you".
Tornò verso il tavolo, fuori la notte giocava coi gatti a caccia di roditori e accoppiamenti, la luna scolpiva evanescenti forme luminose tra le increspature del mare.
L'allungarsi del serpente di carte le fece comprendere che il solitario non avrebbe avuto soluzione. Riempì nuovamente il bicchiere ed uscì in giardino, la brezza le muoveva la stoffa leggera dandole l'impressione di volteggiare sulle antiche mattonelle di terracotta, un cuscino sul sedile di pietra aveva dato alla gatta Aneis la volontà di acquietarsi.
Livia scavalcò il muretto come quando era ragazzinae si spinse sugli scogli, verso l'insenatura che ospitava il porticciolo.
In lontananza riconobbe la sagoma di Carmelo, alto, un poco curvo, i ricci incolumi al passare degli anni. Non era un caso che prima fosse passato davanti casa sua, proprio in quella sera. Le sembrò di cogliere nel lieve movimento che scorgeva, lo stesso dondolarsi che da giovane contraddistingueva Carmelo nei momenti d'imbarazzo, lo rivide folgorato in un pomeriggio caldo di tanti anni prima, porgere la mano ad Annie mentre lei gliela presentava. Livia aveva colto subito quello sguardo misto tra il malinconico e l'inquieto che le rivelò subito che, come da bambini si ritrovavano a tentare di raccogliere la stessa pietra bianca, levigata e splendente portata sulla riva da un'onda spumosa, così stavano per innamorarsi, insieme, della stessa donna.
- Ciao Carmelo -
- Livia! qua sei? -
chiese retoricamente
- qua sono, c'è tropppo caldo, non si riesce a dormire -
- vero è -
aggiunse lui spostando il capo.
- non si può dormire ma dici che è solo il caldo? -
Livia per un attimo non rispose, lo guardò nel buio, Carmelo fissava qualcosa, verso l'orizzonte, nascosto dalla notte, il suo profilo era quello di sempre, forse solo un po' intristito, teneva tra le mani la vecchia canna da pesca e frugava nel buio alla ricerca di un ricordo vago che potesse proiettargli almeno una immagine. Era bello Carmelo e la sua bellezza l'aveva lasciata intatta, quasi che da un momento all'altro potesse tornare Annie e potesse servire a convincerla a guardare anche lui oltre che Livia.
- Non è solo il caldo, lo so -
sussurrò Livia e lieve appoggiò il dorso di due dita sulla guancia di Carmelo, come se fosse una minima, tardiva scusa per l'amore che era stato di suo esclusivo appannaggio.
Le sembrò che le dita tornassero bagnate e le lasciò, tentennante, a mezz'aria.
- è l'umidità della notte Livia -
Cercò di di chiarire il bruno amico.
- è l'umidità, forse è meglio che rientriamo -
- vero è, torniamo -
Poggiò la canna su una spalla mentre Livia lo prendeva sotto braccio e gli poggiva la testa sull'altra.
- vieni Carmelo, ti offro una tisana -
gli disse con fare paterno e poi cominciò a cantare
- un bel dì vedremo, levarsi un fil di fumo! -
tutto il resto,
taceva.

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