foto e audio di Giuseppe Gavazza, maggio 2010
Esattamente un anno fa scrivevo qui degli spazi della musica a Berlino il primo dei quali era la mitica sala sinfonica della Philharmonie dove sono tornato per ascoltare un concerto sinfonico dedicato a musica ungherese.
Orfeo è il quarto dei 12 poemi sinfonici di Franz Liszt: di rara esecuzione segue, come le altre composizioni per orchestra del compositore ungherese scritte negli anni compresi tra il 1848 e il 1861, un momento di riflessione e di crisi di uno dei più acclamati virtuosi della storia della musica: “Sono forse condannato alla professione del clown? Che disgustosa necessità, nella carriera di un virtuoso, questo ossessivo ripetersi delle stesse cose!”. Messa un poco da parte la tastiera e le sale acclamanti, Liszt si dedica alla composizione orchestrale: per fortuna nostra, perché le sue partiture ci arricchiscono ora più dell'eco ripetuta dei suoi successi di pianista virtuoso.
Posteriore all'Orfeo di circa mezzo secolo è Il Principe di legno, musica per un balletto commissionata a Béla Bartók dal Teatro dell'Opera di Budapest nel 1913. L'eredità della musica popolare, appena percettibile nei temi di Liszt, diventa per Bartók un motivo portante: i suoi studi sulla musica popolare non sono semplice curiosità per il folklore ma veri e approfondite ricerche etnoculturali nate dalla piena consapevolezza di un compositore grandissimo e di un intellettuale coltissimo e raffinato relativamente a ciò che stava per accadere nel mondo e nella cultura e storia europee. La fiaba che fa da narrazione portante della musica del Principe di legno è tratta dalla raccolta di Béla Balász. Il timore di Bartók che il pubblico di Budapest “ non fosse abbastanza naif ma neppure sufficientemente colto” per apprezzare la raffinatissima e grandiosa partitura si dimostrò infondato; la prima del Principe di legno fu un successo.
Sopratutto, ad essere sincero, m'interessava ascoltare in questo concerto, il meraviglioso Concerto per violino di György Ligeti, scritto per Saschko Gavriloff ed eseguito in prima nel 1992 a Colonia. In questo capolavoro il compositore sceglie di contrapporre al solista un'orchestra essenziale: gli archi, i legni, gli ottoni e le percussioni sono ridotte al minimo; al grande Ligeti servono elementi di composizione timbrica e non masse orchestrali sontuose e possenti. La scrittura è solistica anche per gli orchestrali: articolata, raffinata, minuziosa, complessa, difficile.
L'accostamento ai brani di Liszt e Bartók è illuminante: il clima sonoro è totalmente diverso, proprio per quanto detto nelle righe precedenti: pienezza, sontuosità, densità in contrapposizione con nitidezza, asciuttezza, articolazione, trasparenza. Ma la ricerca di materiali compositivi nuovi e diversi, la scrittura musicale come costruzione del suono, che è una linea abbozzata nei brani di Liszt e Bartók, si esprime in pieno nel Concerto di Ligeti: nel tardo XX secolo ormai il mondo è diventato accessibile, la conoscenza e l'approfondimento di culture lontane e diverse sono a portata di mano. Difficile trovare un brano che unisca in un tutto così miracolosamente equilibrato, materiali musicali e non musicali tanto eterogenei.
Chi conosce Ligeti sa della sua vorace curiosità culturale: nel Concerto per violino, come in tanta sua musica degli ultimi anni, trovano posto le stratificazioni ritmiche africane, echi di modi e melodie popolari, i principî della geometria frattale, le complessità polifoniche della musica rinascimentale, i paradossi visivi di Escher, le poliritmie “disumane” degli studi di Nancarrow per pianoforte meccanico.
David Robertson ha condotto con scioltezza la splendida orchestra, anche nei due brani meno di repertorio per lui (formato come direttore all'Ensemble Intercontemporain è specializzato nella musica contemporanea) e Renaud Capuçon ha dimostrato il suo grande talento tecnico e musicale per interpretare la difficile partitura di Ligeti.
Cliccando sull'immagine d'intestazione, come al solito, potete ascoltare suoni: questa volta si tratta della voce della Philarmonie di Berlino un minuto prima dell'ingresso del primo violino al suo leggio e in podio del direttore nonché i pochi secondi dell'attacco dell'Orfeo di Liszt, primo brano in programma: in sala i cartelli e la voce dagli altoparlanti puntualizzavano che è proibito registrare e fotografare, ma forse un così piccolo assaggio sonoro sarebbe ammesso anche dalle gentili ma ferme maschere della sala che mi hanno bloccato prima che potessi scattare un'immagine più significativa del mio biglietto d'ingresso.
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